Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22721 del 11/08/2021

Cassazione civile sez. II, 11/08/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 11/08/2021), n.22721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23886-2019 proposto da:

G.A., domiciliato in ROMA, piazza Cavour n. 1, presso

la cancelleria della Corte di Cassazione, difeso dell’Avv. Antonino

Ciafardini del foro di Pescara, che lo rappresenta con procura

allegata in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 541/2019 della Corte di appello di L’Aquila,

depositata il 20/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari, che rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, interponeva opposizione, che veniva respinta dal Tribunale di L’Aquila con ordinanza del 12.03.2018;

– in virtù di appello proposto dal medesimo G.A., la Corte di appello di L’Aquila, con sentenza n. 541/2019, rigettava l’impugnazione con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado;

– la decisione di secondo grado evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, esprimendo preliminarmente una valutazione di non credibilità del richiedente asilo, il quale non solo non aveva provato i narrati spostamenti fra le plurime nazioni indicate (dichiarava di essere fuggito dalla Russia a causa del suo appoggio, anche finanziario al partito di opposizione “Solidarietà”, per il quale aveva anche partecipato alle manifestazioni pro-Cecenia e dopo essere stato arrestato e detenuto arbitrariamente nel suo paese di origine, aveva invano richiesto protezione internazionale, nel 2014, in Italia e, nel 2015, in Finlandia), ma non aveva prodotto alcun documento, neanche dinanzi alla CT, con la conseguenza della insussistenza in radice dei presupposti per la protezione internazionale. Aggiungeva la Corte di merito che non vi erano neanche i presupposti per la concessione della protezione umanitaria per la subita concussione, per essere la vicenda legata a ragioni di natura prettamente economica;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione G.A. affidato a sei motivi, cui resiste il Ministero intimato con controricorso.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia ovvero per motivazione carente, contraddittoria e/o apparente non essendo percepibile il fondamento della decisione quanto alla mancata ritenuta veridicità della storia personale riferita dal richiedente avanti alla Commissione, pur avendo riconosciuto espressamente la mancanza di motivazione dell’ordinanza del giudice di prime cure, circostanza che avrebbe dovuto indurre all’accoglimento del gravame.

Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per non avere il tribunale valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 applicando nella specie il principio dell’onere probatorio attenuato così come affermato dalle Sezioni Unite nella decisione n. 27310 del 2008, cui conseguirebbe vizio del decreto in parte qua ex art. 134 c.p.c. (rectius: art. 132) n. 2. Ad avviso del ricorrente a fronte delle sue prospettazioni, tra l’altro credibili e verosimili, ai giudici era richiesto un intervento, quanto meno esplorativo e informativo, volto a verificare se la situazione personale rappresentata dall’istante potesse essere plausibile per gli effettivi pericoli per la sicurezza e la vita dello stesso.

I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la comune scaturigine dal medesimo accertamento fattuale (la credibilità della vicenda narrata), sono inammissibili perché mirano a rappresentare una situazione di fatto diversa, peraltro in forma assolutamente generica, rispetto a quella che risulta dall’esame del materiale istruttorio compiuto dalla Corte d’Appello.

Giova, invero, premettere che questa Corte, ancora di recente (cfr. Cass. n. 18431 del 2019), ha ribadito quale sia il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

In primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma, esclusivamente, su quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacché, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (art. 3, comma 5, medesimo D.Lgs.). Ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere/dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante, si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (cfr. Cass. n. 17069 del 2018). Al contrario, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in quanto la richiesta di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015).

Infatti, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

Una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere dell’Autorità Giudiziaria di cooperazione istruttoria, e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poiché è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel Paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – né, d’altronde, avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal D.Lgs. n. 251 del 2007, già citato art. 3, comma 5.

Nella specie, la Corte di appello di L’Aquila (cfr. amplius, pag. 2-3 della sentenza impugnata) ha innanzitutto dato atto che il ricorrente ha dichiarato di essere partito dal suo Paese nel gennaio 2014, di avere aderito al partito di opposizione “Solidarietà”; di aver lasciato il proprio Paese dopo essere stato arrestato e detenuto arbitrariamente nel suo paese di origine, oltre ad avere subito una pretesa concussione, cercando invano protezione internazionale, nel 2014, in Italia e, nel 2015, in Finlandia.

La Corte di appello ha poi ritenuto di poter condividere le perplessità espresse dalla Commissione sulla credibilità dei fatti narrati dal ricorrente e delle ragioni che l’avrebbero indotto a lasciare il suo Paese, apparendo inverosimile il racconto fatto dal ricorrente, come viene ben spiegato nel provvedimento di rigetto, avendo il ricorrente rilasciato delle dichiarazioni sommarie e per nulla circostanziate, incredibile poi l’episodio secondo cui la Polizia tedesca gli avrebbe sequestrato la chiavetta USB concernente i documenti relativi all’attività politica svolta dallo stesso in concreto, genericamente indicata in sede di audizione, senza restituirgliela insieme al passaporto, senza il quale non si comprenderebbe come avrebbe raggiunto la Svezia e da lì la Finlandia. Trattasi, pertanto, di accertamenti le cui evidenziate incongruenze hanno indotto la Corte territoriale alla logica conclusione di ritenere non credibile il GACHENKOV, con valutazione in fatto qui evidentemente non sindacabile (cfr. Cass. n. 3340 del 2019, secondo cui “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito”), se non nei ristretti limiti e con le peculiari modalità sancite da Cass., Sez. Un. 8053 del 2014, qui rimaste assolutamente inosservate, con cui è ancora oggi prospettabile un vizio motivazionale, giusta l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 18 febbraio 2019. Il vizio di violazione di legge consiste, invece, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, e, come tale, è inammissibile in subiecta materia (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. n. 3340 del 2019).

Deve, dunque, ritenersi che il ricorrente abbia posto a fondamento della propria domanda di protezione internazionale una vicenda scarsamente credibile, riguardo alla quale, evidentemente, non vi era alcun dovere di cooperazione istruttoria e che doveva e poteva essere scrutinata soltanto sulla base della sua intrinseca credibilità: credibilità che il giudice merito ha escluso, con giudizio qui non ulteriormente sindacabile per le ragioni già precedentemente evidenziate.

Ove, peraltro, le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nemmeno occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), – salvo che (ipotesi qui neppure allegata) la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018).

L’insindacabilità dell’accertamento fattuale svolto dal giudice di merito va, peraltro, estesa non solo alla valutazione della credibilità (qui esclusa) del racconto personale del richiedente ed alla valutazione oggettiva dei motivi di timore da lui palesati (Cass. n. 3340 del 2019 cit.), ma anche all’apprezzamento della situazione di fatto oggettivamente esistente nel Paese (distretto) di provenienza (Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018);

– con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) per non avere la corte territoriale ritenuto la situazione del ricorrente rientrare nelle ipotesi di riconoscimento dello status di rifugiato. Ad avviso del ricorrente la situazione da lui rappresentata rientrerebbe pienamente nelle ipotesi di tutela del rifugiato politico per avere subito una persecuzione per motivi politici.

Anche il terzo mezzo è privo di fondamento.

Dall’ordito argomentativo esposto con riferimento ai primi due mezzi di censura appare chiaro che il Giudice distrettuale ha effettuato la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente applicando i principi sanciti da questa Corte, secondo la quale la valutazione deve essere svolta alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (verifica dell’effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; deduzione di un’idonea motivazione sull’assenza di riscontri oggettivi; non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; presentazione tempestiva della domanda; attendibilità intrinseca) (ex multis, Cass. n. 16202 del 2012).

Dunque, nel caso di specie il ricorrente non ha provato l’esistenza dei presupposti legittimanti la richiesta di protezione internazionale, compresa quella maggiore di status di rifugiato politico, per non ha assolto l’onere probatorio su di esso gravante. In altri termini, in assenza di dichiarazioni attendibili dello straniero opera pacificamente il principio applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) in virtù del quale non è necessario alcun approfondimento istruttorio officioso, con conseguente legittimità del rifiuto delle forme di protezione de quibus.

Peraltro, la Cedu e la Carta dei diritti fondamentali della UE non rilevano ai fini dell’inversione dell’onere probatorio, che grava in ogni caso sullo straniero seppur in modo attenuato, come già evidenziato;

– con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) per non avere la Corte distrettuale riconosciuto la sussistenza del timore espresso dallo straniero di poter subire, in caso di rientro nel paese di origine, trattamenti inumani e degradanti ad opera di soggetti appartenenti a strutture ed apparati statuali e filo-governativi.

Anche siffatta censura non può trovare ingresso alla luce delle considerazioni svolte nei motivi precedenti con riferimento alla inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, venendo in rilievo istanza per protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, cit. ex art. 14, lett. b);

– con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) per non avere la Corte di merito riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata, così come meglio definita nella sentenza della Corte di Giustizia proc. n. C465/07. A fronte delle ragioni esposte dal ricorrente la Corte si sarebbe sostanzialmente limitata a sostenere la infondatezza della istanza per insussistenza dei motivi per ritenere che il ricorrente potesse correre rischi effettivi di subire una minaccia grave alla vita o alla persona ai sensi della norma invocata, senza neanche citare e/o riportare nessun rapporto COI.

La censura è fondata.

La Corte d’Appello non ha svolto alcun esame officioso delle fonti, al fine di accertare la sussistenza delle condizioni di violenza indiscriminata interna o di Conflitto armato esterno secondo il paradigma indicato nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e neanche ha verificato officiosamente se sussista una situazione di grave deprivazione dei diritti umani, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, sostenendo illegittimamente la superfluità di tali indagini a causa della rilevata inattendibilità del racconto del richiedente. Tale valutazione conduce soltanto ad escludere l’esercizio del potere dovere officioso di esame delle fonti in relazione alla causa persecutoria connessa a motivi politici, senza tuttavia, svolgere alcun effetto sulle altre protezioni fondate su condizioni protezione sussidiaria ex art. 14 di riconoscimento diverse, quali il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) incentrata proprio sull’accertamento officioso della situazione generale dell’area di provenienza del cittadino straniero e la protezione umanitaria, fondata sulla valutazione comparativa del grado d’integrazione e della condizione di deprivazione dei diritti umani, sempre nell’area di origine;

– con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per non esservi stato dai giudici di merito il riconoscimento della sussistenza dei motivi umanitari per la concessione della relativa tutela, nonché vizio del provvedimento in parte qua ex art. 134 c.p.c., (rectius: art. 132) n. 2, per motivazione contraddittoria e/o apparente non essendo percepibile il fondamento della decisione sul punto.

Per le considerazioni svolte con riferimento all’accoglimento del quinto motivo, l’ultima censura rimane assorbita,

Per tutto quanto sopra esposto, va accolto il quinto motivo di ricorso, assorbito il sesto, rigettati le prime quattro censure.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Al giudice del rinvio va rimessa anche la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, assorbito il sesto, rigettati i primi quattro;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche le determinazioni sulle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021

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