Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22719 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 11/09/2019), n.22719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24062-2018 proposto da:

O.O.O., elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato FLAVIO GRANDE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 20 giugno 2018, comunicato il successivo 22 giugno, il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda di O.O.O., nativo della Nigeria, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale, all’esito della disposta comparizione del ricorrente, ne ritenne complessivamente inattendibili le dichiarazioni perchè incongruenti rispetto a quanto da lui riferito innanzi alla commissione territoriale, altresì osservando che lo stesso non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la sua domanda, che era infondato il suo timore di far rientro in Nigeria e che, quanto alla situazione di detto Paese, le COI più recenti delimitavano l’area critica a regione diverse da quella (Edo State) di provenienza dell’istante. Escluse, infine, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione cd. umanitaria.

2. Avverso il descritto decreto, O.O.O. ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c.. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia “violazione di legge (art. 111 Cost., comma 7) e/o violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”. Si ascrive al tribunale bolognese di avere considerato inattendibili le dichiarazioni rese dal ricorrente sulla base di assunti “non condivisibili”.

1.1. Con il secondo motivo, si deduce “violazione di legge (art. 111 Cost., comma 7) e/o violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7,8 e 14”, affermandosi che, se considerate veritiere quelle dichiarazioni, O.O.O. avrebbe avuto diritto al riconoscimento dello status di rifugiato o, quanto meno, della protezione sussidiaria.

1.2. Con il terzo motivo, si deduce la “violazione di legge (art. 111 Cost., comma 7) e/o violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”, censurandosi il decreto impugnato nella parte in cui aveva ritenuto che a Edo State, zona di provenienza del ricorrente, non sussistesse il pericolo da lui paventato ai fini della protezione sussidiaria.

2. Gli esposti motivi sono suscettibili di una trattazione congiunta perchè tutti affetti dal medesimo vizio di inammissibilità, concernendo, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio, senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

2.1. Nella specie, invece, le argomentazioni esposte dal ricorrente in ciascuno dei formulati motivi si rivelano, palesemente, come volte a criticare i complessivi accertamenti fattuali operati dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

2.1.1. Dette argomentazioni, invero, investono, da un lato, la valutazione di non credibilità delle dichiarazioni rese O.O.O. (primo e secondo motivo); dall’altro, la ritenuta insussistenza, da parte del tribunale bolognese, nella zona di Edo State (di provenienza del ricorrente), del pericolo da lui paventato ai fini della protezione sussidiaria.

2.2. Rileva, però, il Collegio che, come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 31481 del 2018 e da Cass. n. 16295 del 2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013. Principio affatto analogo è stato, peraltro, ribadito dalla più recente Cass. n. 17850 del 2018). Infatti, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295 del 2018; Cass. n. 7333 del 2015). Inoltre, Cass. n. 30105 del 2018 ha sancito che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

2.2.1. Nella specie, il tribunale felsineo ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente (cfr., amplius, pag. 4-6 del decreto impugnato) sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Analoga valutazione negativa, poi, è stata effettuata, mediante l’utilizzo delle COI più aggiornate, quanto alla sussistenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (cfr. pag. 6-7 del medesimo decreto).

2.2.2. Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto reso il 20 giugno 2018), come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, da Cass., SU, n. 8053 del 20144.

2.3. Va, infine, solo ricordato che la riferibilità soggettiva ed individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status (cfr. Cass. n. 31481 del 2018).

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, altresì rilevandosi che, non rinvenendosi in atti la prova dell’avvenuta ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna O.O.O. al pagamento, nei confronti del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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