Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22719 del 11/08/2021

Cassazione civile sez. II, 11/08/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 11/08/2021), n.22719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22231-2019 proposto da:

G.S.A., rappresentato e difeso dall’avvocato

ALESSANDRA DI TOMMASO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 1652/2019 del TRIBUNALE di

L’AQUILA, depositato il 17/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. G.S.A. ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione del decreto con cui il tribunale di L’Aquila, Sezione specializzata in materia di Protezione Internazionale, gli ha negato, confermando il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona, il riconoscimento dello status di rifugiato, richiesto in via principale, nonché la protezione sussidiaria e quella umanitaria, richieste in via gradatamente subordinata.

Il tribunale di L’Aquila, dopo un’ampia premessa sui presupposti per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione internazionale invocate e sul ruolo attivo richiesto all’autorità amministrativa e al giudice dell’impugnazione nell’istruzione di tali domande, ritiene che la vicenda narrata dall’odierno ricorrente non integri gli estremi per il riconoscimento di alcuna protezione internazionale. Il ricorrente afferma, infatti, di aver lasciato la Costa d’Avorio, suo Paese d’origine, nel giugno 2016 e di essere giunto in Italia dopo aver attraversato il Buriana Faso e il Niger e dopo aver soggiornato per un anno in Libia. Nel 2012 si trasferisce nella capitale della Costa d’Avorio, Abidjan, per studiate; viene a sapere mentre si trovava lì che il padre aveva costretto il fratello a sposare una donna da lui scelta; poco dopo il matrimonio, il fratello viene trovato morto e nel corso di una riunione del villaggio volta a indagare le ragioni della morte, il padre riconosce di averlo ucciso lui, avendone il diritto. Il padre viene arrestato, ma dopo pochi giorni viene rilasciato. Manifestata la volontà che l’altro figlio, l’odierno ricorrente, sposi una donna da lui scelta, costui si rifiuta e, a fronte della minaccia del padre di farlo rientrare a forza nel villaggio, fugge, temendo di essere ucciso dal padre.

Il tribunale, in via preliminare, respinge le censure relative a vizi formali dell’atto amministrativo (della Commissione Territoriale) di diniego, affermando che, in materia di protezione internazionale, il giudizio introdotto dal ricorso al tribunale non ha ad oggetto il provvedimento della Commissione ma il diritto soggettivo del richiedente alla protezione invocata, dovendo dunque pervenire ad una decisione di spettanza o meno del diritto alla stessa. In ogni caso, osserva il tribunale, la censura relativa alla mancata traduzione del provvedimento di diniego è del tutto inconsistente: in primo luogo, perché l’obbligo di traduzione del provvedimento assunto dall’amministrazione nei confronti dello straniero nella lingua di quest’ultimo è previsto solo per i provvedimenti di espulsione dall’art. 13 TUI, norma di carattere eccezionale, non suscettibile di interpretazione estensiva; in secondo luogo, perché il ricorrente ha tempestivamente proposto l’impugnazione, sicché, nonostante la mancata traduzione, ha pienamente esercitato il suo diritto di difesa, senza subire alcun pregiudizio. Quanto alle censura relativa alla mancanza di sottoscrizione e di attestazione di conformità all’originale, esse appaiono frutto di un errore materiale, essendovi nel fascicolo telematico una copia del provvedimento impugnato recante tutti i segni grafici che attestano la presenza di una firma digitale.

Nel merito, il Collegio reputa non credibile, alla stregua dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 il racconto del ricorrente. Il sig. Gougou ha omesso di circostanziare i fatti e, nel complesso, le vicende raccontate risultano prive di coerenza e alquanto inverosimili: il genitore professa la religione cristiana ma tiene atteggiamenti incompatibili con questo credo, quali uccidere il figlio ritenendo di averne diritto; non si specifica quali riti di magia nera seguisse il padre; risulta poco plausibile che la polizia, a fronte di un’accusa di omicidio, lo abbia rilasciato dopo soli 15 giorni.

In ogni caso, il racconto del ricorrente, anche a ritenerlo attendibile, riguarda vicende private che non integrano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale. Certamente va escluso lo status di rifugiato, non risultando dalla narrazione delle vicende personali che il richiedente sia sottoposto a persecuzione per motivi di razza, religione o appartenenza ad un gruppo sociale o etnico.

Va parimenti esclusa la concessione della protezione sussidiaria, poiché non risulta, dal racconto del richiedente, né che egli sia destinatario, nel Paese d’origine, di provvedimenti comportanti la pena di morte o la tortura, anche perché il timore di essere ucciso dal genitore appare del tutto ipotetico, né l’esistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da un conflitto armato, interno o internazionale. Si riporta, a tal proposito, un frammento di un rapporto del Ministero dell’Interno, Unità COI, del gennaio 2018, dal quale risulta che, pur essendo la Costa d’Avorio ancora oggi teatro di tensioni e violazioni dei diritti umani, non si può ritenere sussistente un conflitto armato interno.

Il tribunale nega, infine, la protezione umanitaria, non ravvisando alcuna correlazione tra le violazioni dei diritti umani nel Paese d’origine e la vicenda personale del richiedente ed escludendo, altresì, l’avvio di un serio percorso di integrazione.

Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 il sig. G.S.A. deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, con conseguente nullità del provvedimento della Commissione Territoriale e degli atti presupposti e conseguenti per omessa traduzione degli stessi in lingua a lui conosciuta; la nullità del provvedimento impugnato per violazione della L. n. 15 del 1968, art. 14 come modificato dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18 e s.mi e la violazione dell’art. 137 c.p.c.; infine, la nullità del provvedimento per mancanza di sottoscrizione. Il tribunale, ritenendo doveroso l’esame del merito della domanda, involgendo le cause relative alla protezione internazionale diritti soggettivi, ha rigettato le eccezioni proposte sin dal primo grado di giudizio dall’odierno ricorrente in ordine alla nullità del provvedimento amministrativo di diniego della Commissione Territoriale. Al contrario, secondo il ricorrente, la nullità di quest’ultimo provvedimento – per difetto della sua necessaria formalità comunicatoria – comprometterebbe l’intero corso del procedimento. La traduzione non integrale del provvedimento di diniego e la consegna al destinatario di una semplice copia del detto provvedimento, priva dell’obbligatoria attestazione di conformità all’originale, determinerebbero un’evidente compromissione del diritto di difesa, da un lato, e richiederebbero l’accertamento della nullità dell’atto per carenza di sottoscrizione, dall’altro.

Con il secondo motivo di ricorso, riferito ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., il sig. G.S.A. deduce la violazione di legge per mancata applicazione degli arti 1 e 2 della Convenzione di Ginevra, per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la mancata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il tribunale ha fornito, a detta del ricorrente, una motivazione carente o del tutto mancante in ordine alla ritenuta insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, nelle tre forme gradatamente richieste dall’odierno ricorrente, liquidandole con mere clausole di stile e omettendo di esaminare del tatto la storia personale del richiedente. Contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, parte ricorrente reputa il suo racconto logicamente coerente e credibile alla stregua dei parametri del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e ritiene che da esso risulti chiaramente il “danno grave”, nel senso indicato dall’art. 14, lett. a) e b) dello stesso decreto, cui sarebbe esposto in caso di rientro in Patria. Si allega inoltre un frammento di un articolo tratto dal sito “viaggiaresicuri.it”, dal quale sembra emergere che la Costa d’Avorio non è affatto uno Stato sicuro a causa dei continui episodi di violenza e delle minacce terroristiche. Si contesta, infine, il diniego di protezione umanitaria, sulla base dell’assunto che i motivi di carattere umanitario possono rispondere all’esigenza di tutela dei diritti umani imposta in generale dall’art. 2 Cost. e sulla base del fatto che il richiedente ha iniziato il percorso di inserimento nel territorio nazionale, sia tramite la ricerca di un lavoro, che a mezzo dell’avviata alfabetizzazione.

Il Ministero dell’Interno non ha depositato controricorso, bensì atto di costituzione in giudizio per resistere al ricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 7 ottobre 2020, per la quale non sono state depositate memorie.

Il sig. G.S.A. è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Il primo motivo – relativo alla denunciata nullità del provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per omessa traduzione, per irregolarità della procedura notificatoria e per inesistenza della sottoscrizione – è inammissibile per carenza di interesse alla stregua del principio che “In tema di immigratone, la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto mediante ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poiché tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, e deve pervenire alla decisione nel merito circa la spettanza, o meno, del diritto stesso non potendo limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo” (Cass. 17318/19). Inammissibile è anche il secondo motivo, con cui si censura la pronuncia del tribunale nella parte in cui ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, nonché per la concessione della protezione sussidiaria e, in ulteriore subordine, umanitaria. Il motivo si risolve, infatti, in una generica doglianza di insufficienza e incoerenza della motivazione della sentenza impugnata – secondo il ricorrente limitata a “clausole di stile” – che pretende, sulla scorta di considerazioni astratte e scollegate dalla fattispecie (come il riferimento a precedenti giurisprudenziali di merito relativi a cittadini iraniani), una rivalutazione, inammissibile in sede di legittimità, degli apprezzamenti di merito operati dalla Corte territoriale.

11 ricorso è dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, giacché il Ministero dell’Interno non ha sostanzialmente svolto attività difensiva.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021

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