Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22714 del 11/08/2021

Cassazione civile sez. II, 11/08/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 11/08/2021), n.22714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22072-2019 proposto da:

I.M.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato CATERINA

BOZZOLI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

PADOVA, VIA TRIESTE 49;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– resistente –

avverso il decreto n. 2716/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato

il 13/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.M.A., cittadino (OMISSIS) nato il (OMISSIS), proponeva opposizione avanti al Tribunale di Bologna avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo che gli fosse riconosciuta la protezione sussidiarie o, in subordine, il rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorrente (che aveva studiato per dieci anni complessivi, aiutando contemporaneamente il padre nel suo lavoro di contadino) dichiarava di avere lasciato il suo paese di origine a causa delle condizioni di povertà in cui versava la sua famiglia: il padre infatti aveva smesso di lavorare nel 2015 in seguito ad un ictus, mentre una delle sorelle, una volta sposata, aveva fatto ritorno nella casa di famiglia perché non aveva dote sufficiente; che il richiedente aveva deciso di cercare opportunità lavorative altrove, lasciando il Paese d’origine il 1 maggio 2016, diretto prima in Turchia e poi in Libia, dove era rimasto 10 mesi, partendo per l’Italia il 28 marzo 2017 su un gommone. Il richiedente riferiva di non voler tornare in patria, poiché in Italia era in condizione di lavorare e di provvedere alla famiglia, ripianando il debito contratto con un usuraio per potere espatriare.

Con decreto n. 2716/2019 depositato il 13/06/2019, il Tribunale di Bologna rigettava il ricorso.

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c). Sul mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”.

1.1. – il motivo è inammissibile.

1.2. – Va innanzitutto rilevato che la valutazione, in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti per la attribuibilità delle singole protezioni, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile iin cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dalla richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.).

Orbene, i fatti allegati al presente giudizio non attengono in alcun modo a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda meramente personale e familiare del richiedente. Sicché tali circostanze inducono a ritenere che questi possa essere considerato quale “emigrante economico”; laddove, sotto tale profilo, il giudice di merito ha, peraltro, rilevato (mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate, citate nel provvedimento, D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8: decreto impugnato, pag. 5 e seg.) sia la esclusione della esistenza della schiavitù per debiti, rispetto ai quali il giudice ha escluso il timore di atti di ritorsione o prevaricazione; sia il (Ndr: testo originale non comprensibile) il riscontro dei danni cui sarebbe esposto- in caso di rientro.

1.3. – Questa Corte (come detto) ha chiarito che “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona”, cosicché “qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. n. 16925 del 2018).

1.4. – Come, inoltre precisato (Cass. n. 14006 del 2018) con riguardo alla protezione sussidiaria dello straniero, prevista dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), “l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia”.

1.5. – Tanto premesso, va rilevato che il Tribunale ha analiticamente motivato (con il dovuto specifico riferimento e richiamo a siti internazionali accreditati: cfr. Cass. n. 15794 del 2019) le ragioni per cui si debba escludere che il richiedente provenga da una zona del Bangladesh in cui si registri un clima di tensione tale da far presumere che in caso di suo rientro possa andare incontro a torture o altre forme di trattamento inumano e degradante; deducendo viceversa che la situazione politica del Paese risulta, al momento, sufficientemente stabile, concludendo nel senso che la circostanza che il Paese stia emergendo lentamente da un forte periodo di crisi dovuto al pregresso clima politico e che ciò comporti ricadute negative sulle condizioni di salute, di istruzione e sulla qualità della vita in gnerale non è idonea ad integrare i requisiti previsti tassativamente dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

La nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dev’essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicché “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07, e 30 gennaio 2014, Diakite’, C285/12; v. Cass. n. 13858 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018).

Nel caso, il giudice di merito ha puntualmente valutato la situazione del paese di origine del richiedente, giungendo ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) all’esito di un’articolata analitica valutazione desunta da numerosi siti internazionali accreditati, senza peraltro che il ricorrente abbia, in senso contrario, addotto altre fonti, essendosi limitato a contestare quanto in quelle affermato. Anche tale accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato (come sopra detto) può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censuta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6. Omessa pronuncia su motivi di gravame”.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine. Nella specie, il Tribunale territoriale non ha violato il suddetto principio né è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132 (che non è applicabile ratione temporis alla fattispecie, non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo quanto affermato dalle sezioni unite di questa Corte: Cass., sez. un., n. 29459 del 2019).

2.3. – Quanto infine al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero questa Corte (Cass. n. 4455 del 2018; e successivamente Cass., sez. un., n. 29460 del 2019) ha precisato che “In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.”

A tal riguardo il motivo appare inammissibile anche alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito con esaustiva indagine circa le condizioni descritte dello straniero con riguardo al suo paese di origine ed all’integrazione in Italia acquisita, valutazione in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede.

2.3. – Non è dato ravvisare dove si configuri una “Omessa pronuncia su motivi di gravame” evocata nel secondo motivo.

3. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto idonea attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. D.P.R. n. 115 del 2002, Ex art. 13, comma 1-quater sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021

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