Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22713 del 11/08/2021

Cassazione civile sez. II, 11/08/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 11/08/2021), n.22713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23979-2019 proposto da:

A.M.A.S., rappresentato e difeso

dall’Avvocato GIULIO MARABINI, ed elettivamente domiciliato in ROMA,

presso la CORTE di CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 2887/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato

il 25/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.M.A.S. proponeva, in data 31.1.2019, ricorso avanti al Tribunale di Bologna avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, sez. di Forlì-Cesena emesso il 19.12.2018 e notificato il 17.1.2019, che aveva dichiarato “inammissibile in quanto reiterata rispetto alla istanza presentata alla Commissione (…) decisa con provvedimento di rigetto il 13.4.2015” la precedente istanza di protezione internazionale dallo stesso proposta in data 9.8.2018.

Il ricorrente ((OMISSIS) di religione (OMISSIS), nato ad (OMISSIS)) deduceva di essere rimasto coinvolto nella esplosione di una bomba il 31.12.2010 che aveva provocato decine di morti; di essere stato vittima di minacce ed aggressioni in considerazione della religione di appartenenza; di avere presentato nel 2015 domanda di protezione internazionale concessa, dopo il rigetto della Commissione, con ordinanza del Tribunale di Bologna; che il provvedimento di accoglimento veniva riformato in appello in seguito alla impugnazione proposta dall’Avvocatura distrettuale dello Stato; che il ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d’appello era stato dichiarato inammissibile con ordinanza del 3.5.2018, che nelle more della definizione del giudizio di legittimità (definito da questa Corte con ordinanza di inammissibilità n. 17416 del 2018), il ricorrente aveva ottenuto un visto per gli Stati Uniti (valido dal 9.7.2018 fino al 10.12.2018) finalizzato a ricongiungersi con la famiglia; che al momento della partenza all’aeroporto di Venezia, gli agenti di frontiera si avvedevano dell’avvenuto rigetto del menzionato ricorso proposto avanti alla Corte di cassazione e gli revocavano il permesso di soggiorno ed il titolo di viaggio; che il difensore del ricorrente rappresentava alla Questura di Forlì sia il permanere di una situazione critica per i (OMISSIS) in (OMISSIS) tale da rendere pericoloso il rientro in patria per il richiedente, sia la necessità di un permesso di natura strumentale all’ottenimento da parte del Consolato USA in Italia di un nuovo visto per ricongiungimento familiare, idoneo a consentirgli di lasciare l’Italia definitivamente.

Con il decreto n. 2887/2019, depositato il 25/06/2019, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso.

Il ricorrente assume che la decisione impugnata non avrebbe valutato adeguatamente il permanere di una situazione di insicurezza per i (OMISSIS) in (OMISSIS), ed il fatto che il rientro in (OMISSIS) costituisca un rischio effettivo per la libertà personale, religiosa e persino per l’incolumità del ricorrente; laddove la libertà di culto in (OMISSIS), riconosciuta formalmente in seguito all’insediamento del Presidente Al.Si., in luogo di M., non ha trovato in concreto applicazione. Afferma l’illegittimità del provvedimento impugnato, per non avere riconosciuto la protezione sussidiaria, sussistendo in ogni caso i presupposti di quella umanitaria, in considerazione sia della instabilità politica in cui si trova l'(OMISSIS), sia del livello di integrazione linguistica ed autonomia economica raggiunto in Italia dal ricorrente.

Avverso tale decreto il richiedente propone quindi ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi; l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 29 nella parte di motivazione che ritiene infondata la domanda di protezione in quanto reiterata e priva di nuovi elementi”.

1.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3,5,6,7 e 8, nella parte di motivazione che ritiene infondata la domanda con riferimento allo status di rifugiato”.

1.2. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la “violazione e falsa applicazione degli artt. 2, lett. e), artt. 4, 9, 15 e 20 Direttiva 2004/83/CE e degli artt. 2, lett. g) ed D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, (per) omesso esame degli elementi di fatto ed omessa motivazione in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica e formulazione, detti motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – Essi sono inammissibili.

2.2. – Nel decreto impugnato, il Tribunale rileva come, del tutto coerentemente a quanto disposto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 29, lett. b), la Commissione territoriale avesse ritenuto inammissibile la nuova domanda (oggetto della presente decisione) giacché il richiedente aveva reiterato identica domanda, senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo paese di origine.

In particolare, il giudice di merito osserva che altra (medesima) domanda di protezione internazionale era già stata proposta dal ricorrente e respinta dalla Corte distrettuale, con decisione divenuta definitiva in seguito alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione (Cass. n. 17416 del 2018) e che il ricorrente non aveva “addotto elementi nuovi, non precedentemente esaminati dalla Commissione”, trattandosi di circostanze (la situazione di insicurezza in cui si trova lo Stato (OMISSIS) e la pericolosità della vita per la comunità (OMISSIS)) che erano già state sottoposte alla valutazione della Commissione in occasione della prima richiesta di protezione, che come tali non potevano essere riesaminate stante il menzionato divieto ed in considerazione del fatto che la vicenda del ricorrente era stata già oggetto di decisione irrevocabile, conseguente alla declaratoria di inammissibilità del proposto ricorso per cassazione.

Pertanto, va condiviso il corretto assunto del Tribunale felsineo, secondo cui non assume rilievo quale “elemento nuovo” la volontà del ricorrente di procurarsi un titolo finalizzato solo ad ottenere un visto per l’espatrio negli Stati Uniti; tale circostanza lungi dal configurare un elemento sopravvenuto – appalesa la non celata assenza in capo al ricorrente di un reale bisogno di protezione internazionale e/o umanitaria nel nostro Paese, avendo piuttosto necessità di un titolo per l’espatrio. Laddove poi il Tribunale (sulla scorta di quanto riportato dai siti internazionali) evidenzia che la situazione attuale dei (OMISSIS) in (OMISSIS), seppure ancora critica, non risulta di gravità tale da giustificare il riconoscimento della invocata protezione.

2.3. – La censura e’, dunque, inammissibile perché tenta di introdurre riferimenti, oltremodo generici, sicché questa Corte non è posta in condizione di apprezzare la validità delle recriminazioni del ricorrente, che omette totalmente di dimostrare, e anche solo dedurre, le ragioni, che, a suo dire, avrebbero giustificato la mancata allegazione della nuova circostanza in sede di prima domanda e soprattutto nell’ambito del giudizio di cognizione attinente il riconoscimento della protezione internazionale, da lui introdotto.

Tale giudizio, secondo l’orientamento del tutto consolidato di questa Corte, non ha per oggetto l’impugnazione del provvedimento di diniego da parte della Commissione territoriale, ma il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata (ex multis: Cass. n. 18440 del 2019; conf. Cass. n. 867 del 2020; Cass. n. 7385 del 2017; Cass. n. 11754 del 2016). In tale giudizio, il ricorrente, nell’osservanza delle norme di rito, ben può produrre nuove prove e anche allegare fatti nuovi, anche non sopravvenuti, rispetto al proprio precedente racconto reso in sede amministrativa, arricchendone la narrazione, colmandone le lacune e correggendone le incongruenze e così introducendo i nova tempestivamente nel dibattito processuale, offrendo, se possibile, una ragionevole spiegazione della mancata precedente allegazione da parte sua, in ottemperanza dell’obbligo generale di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 1, di presentare, unitamente alla domanda di protezione internazionale, o comunque appena disponibili, tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda.

Pertanto, in caso di reiterazione della domanda di protezione D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 29, lett. b), , dopo che si sia già svolto un precedente giudizio diretto al riconoscimento della protezione internazionale, il richiedente asilo, a pena di inammissibilità della nuova istanza, è tenuto (cosa che l’odierno ricorrente non ha fatto) a indicare le ragioni per cui, senza colpa, non abbia potuto addurre i “nuovi elementi” nel giudizio di cognizione da lui proposto, atteso che quest’ultimo ha ad oggetto non già l’impugnazione del provvedimento di diniego da parte della Commissione territoriale, ma il riconoscimento del proprio diritto soggettivo alla protezione invocata, sicché in esso è anche possibile integrare le deduzioni svolte in sede amministrativa.

2.3. – Sotto altro profilo, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

2.4. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, (per) omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed omessa motivazione in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria”.

3. – Il motivo è infondato.

Come affermato da questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., S.U., sent. n. 29459 del 2019). Dunque, l’elemento del radicamento nel territorio italiano di per sé solo non è sufficiente a tale scopo.

Nella specie, il giudice di merito ha operato la richiesta comparazione, rilevando – come già evidenziato – che la situazione attuale dei (OMISSIS) in (OMISSIS) non risulta di gravità tale da giustificare il riconoscimento della invocata protezione. Inoltre, ha sottolineato l’assenza in capo al ricorrente di una reale esigenza di protezione in Italia, come dimostra la sua volontà di procurarsi un titolo finalizzato ad ottenere un visto per l’espatrio negli Stati Uniti.

4. – Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Non v’e’ luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021

 

 

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