Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22713 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 08/11/2016, (ud. 24/06/2016, dep. 08/11/2016), n.22713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9420/2015 proposto da:

T.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MARIO FANI 20,

presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA DE MICCO PADULA, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA PATRIZI

13, presso lo studio dell’avvocato ANDREA GEMMA, che la rappresenta

e difende, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

TR.OL.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6591/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

07/10/2014, depositata il 28/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/06/2016 dal Consigliere Dott. Relatore ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato GIANLUCA DE MICCO PADULA, difensore del ricorrente,

che si riporta agli scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Tr.Ol. e T.R., con atto di citazione del 28 giugno 2010, convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la sig.ra B.V. per sentire dichiarare l’intervenuto scioglimento del preliminare di cessione di quote sociali del (OMISSIS) per recesso di essi promissari acquirenti e condannare la promittente venditrice al pagamento della somma di Euro 500.000,00, pari al doppio della caparra versata oltre interessi e rivalutazione monetaria sino all’effettivo soddisfo e al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi tra cui il lucro cessante ed il danno emergente subito dalla Tr. in seguito al licenziamento, con vittoria di spese di lite. Gli attori esponevano che, con scrittura privata del (OMISSIS), la B., quale titolare della farmacia (OMISSIS) con annessa rivendita di prodotti parafarmaceutici attività eserciate con l’apporto di capitale dell’associato Farhat Elias, si impegnava a trasferire alla Tr. e al T., che promettevano di acquistare l’intera partecipazione della costituenda società alla quale sarebbe stata conferita la suddetta azienda per il prezzo di Euro 3.500.000,00, parte in contanti e parte con l’assunzione in capo alla Tr. e al T. di tutte le posizioni debitorie gravanti sull’azienda. Il contratto preliminare di vendita veniva sottoposto con la clausola n. 9 ad alcune condizioni risolutive.

Si costituiva in giudizio la Tr., contestando che i fatti si fossero svolti così come rappresentati dagli attori, chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda, l’accertamento del diritto a ritenere la caparra ricevuta e la declaratoria di risoluzione del contratto preliminare per fatto e colpa dei promissari acquirenti con ogni conseguenza, anche in ordine alle spese di lite.

Il Tribunale di Roma con sentenza n. 11001/2013 rigettava la domanda proposta da Tr. e dal T. e condannava gli stessi al pagamento delle spese di giudizio.

La Corte di Appello di Roma, pronunciandosi su appello proposto da Tr. e T. a contraddittorio integro con sentenza n. 6591 del 2014 rigettava l’appello e condannava gli appellanti al pagamento delle spese del secondo grado. Secondo la Corte distrettuale, andava considerato che le parti contraenti all’art. 9 della scrittura di cessione avevano convenuto delle condizioni risolutive della scrittura e tra le quali: a) la mancata trasformazione da parte della B. della ditta individuale a società; b) l’inesistenza al momento della cessione dell’azienda farmacia e dell’annessa azienda di vendita di parafarmici; c) il mancato rilascio della dichiarazione di intervenuta risoluzione consensuale del contratto di associazione in partecipazione con apporto di capitale; d) lo stato di insolvenza o l’esistenza di procedure concorsuali nei confronti della venditrice e degli acquirenti; e) il mancato ottenimento da parte della promittente veditrice del richiesto finanziamento alla Creditfarma; f) il mancato rispetto delle modalità, termini e condizioni di pagamento del prezzo della compravendita; f) la mancata liberazione da parte della Creditfarma e Comif spa della Dott.ssa B.V. dalle fideiussioni personali prestate per l’ottenimento del finanziamento di cui si dice. Ora Tr. e T. non erano riusciti a dimostrare di aver adempiuto gli obblighi assunti con la scrittura di cui si è appena detto e, soprattutto quanto previsto dalla clausola n. 9 alla lettera e) e g), pertanto legittimo era il recesso della B. dal preliminare la quale aveva, dunque, diritto a trattenere la caparra versata.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da T.R. con ricorso affidato a due motivi, illustrati con memoria. B.V. ha resistito con controricorso. Tr. in questa fase non ha svolto attività giuziale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso T. lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3: A) violazione degli artt. 1353, 1354 e 1456 c.c.. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe erroneamente qualificato la controversa clausola n. 9 del contratto preliminare ai sensi dell’art. 1456 c.c., anzichè ai sensi degli artt. 1353 e 1354, cioè quale clausola risolutiva anzichè quale condizione risolutiva. In particolare ritiene il ricorrente che le parti laddove alla clausola n. 9 avevano previsto l’impegno dei promissari acquirenti a liberare la B. dalle fideiussioni personali prestate alla Credifarma spa e a Comifin spa. per l’ottenimento del finanziamento finalizzato al rimborso dell’associato in partecipazione, Farhat, aveva sottoposto il preliminare di vendita al verificarsi di una condizione risolutiva e non avevano inteso prevedere una clausola risolutiva espressa.

E, comunque, la Corte territoriale, nel caso di specie, avrebbe attri b.to alla controversa clausola del preliminare la natura di clausola risolutiva senza tuttavia compiere alcuna indagine sull’imputabilità colposa dell’inadempimento ascritto ai promissari acquirenti, limitandosi ad accertare il mero dato oggettivo dell’inadempimento ritenendo, per di più, che le asserite difficoltà di realizzazione della operazione di liberazione della garanzia personale prestata a Credifarma (dalla B.) fossero circostanze ininfluenti in quanto non incidenti sull’inadempimento della specifica obbligazione contrattuale posto a loro carico. Viceversa il giudice di merito dalla documentazione prodotta avrebbe dovuto constatare che l’inadempimento dei promissari acquirenti all’obbligo di liberazione della B. dalla fideiussione personale prestata a Credifarma non era colpevole poichè la Banca non aveva ritenuto satisfattive e di suo gradimento le garanzie personali sostitutive offerte dai promissari acquirenti. Piuttosto alla luce della documentazione depositata, la Corte distrettuale, sempre a parere del ricorrente, avrebbe dovuto dichiarare non legittimo il recesso della B..

1.1.- Il motivo è inammissibile per novità, e per alcuni aspetti, per genericità, dell’eccezione.

E’ ius receptum che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

Nel caso specifico, la sentenza impugnata non fa alcun riferimento all’eccezione relativa alla natura delle clausole previste dai contraenti nel preliminare di vendita: se condizioni risolutive oppure clausole risolutive espresse. Non vi è dubbio che, in via di principio e in via generale, le due tipologie di clausole sono diverse sia sotto il profilo dei presupposti di validità e sia, e soprattutto, sotto il profilo degli effetti: a) qualora si verifichi una condizione risolutiva gli effetti del negozio si considerano come mai verificati; mentre verificatesi una clausola risolutiva espressa, il contratto va ritenuto risolto a condizione che l’interessato dichiari di valersene profittare. Epperò, dalla sentenza impugnata non sembra che tale questione abbia formato oggetto dei giudizi di merito. Nè il ricorrente indica in quale fase e con quale atto abbia eccepito una siffatta questione. Piuttosto, dalla sentenza impugnata emerge che la domanda dei sigg. Tr. e T. era diretta a far accertare e a far dichiarare l’inadempimento contrattuale a carico della Dott.ssa B.V. (…) e per l’effetto e previa declaratoria della legittimità del recesso esercitato dagli odierni appellanti condannare la dott. B.V. alla restituzione della somma complessiva di Euro 500.000,00 rispendente al doppio della caparra. E, coerentemente la sentenza impugnata dopo aver richiamato il contenuto della clausola n. 9 del contratto preliminare ha chiarito che “(…) nè alla data del 10 marzo 2010 e neppure a quella successiva del 23 marzo 2010 fissate dinanzi al notaio M. di (OMISSIS) i promissari acquirenti furono in grado di dimostrare la liberazione della B. dalle fideiussioni personali prestate a Credifarma e a Comif per l’ottenimento del finanziamento finalizzato al rimborso liquidatorio dell’associato in partecipazione Farhat Elias (…).

1.2.- inconferente e generica appare, altresì, l’invocata violazione dell’art. 1354 c.c., per asserita impossibilità della condizione risolutiva (sul presupposto che la liberazione della B. dalla fideiussione personale prestata a Credifarma non era stata possibile perchè la Banca non aveva ritenuto satisfattive e di suo gradimento le garanzie personali sostitutive offerte), perchè il ricorrente non tiene conto delle (e non provvedere neppure a censuare le) puntuali affermazioni della Corte distrettuale secondo la quale “(…) ed è proprio la posizione assunta dagli odierni appellanti che ha correttamente indotto il Tribunale a ritenere provato, senza la necessità di alcuna approfondimento istruttorio, l’inadempimento dei promissari acquirenti, atteso che gli stessi hanno non solo riconosciuto di non aver provveduto, prima della stipula del definitivo alla liberazione della B. dalle garanzie personali concesse per l’ottenimento della somma necessaria alla liquidazione dell’associato in partecipazione, ma soprattutto il non voler provvedere neppure contestualmente o dopo al stipula del contratto definitivo (…). Ne discende anche l’ininfluenza della circostanza dedotta dalla Tr. e dal T. concernente le asserite difficoltà di realizzazione dell’operazione di liberazione della venditrice dalla garanzia personale prestata a Credifarma e l’inutilità della prova testimoniale articolata sul punto considerata la tesi difensiva dagli stessi sviluppata in giudizio, in quanto circostanze non incidenti sull’inadempimento della specifica obbligazione contrattuale, posta a loro carico (…)”.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 c.c.. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe fornito un’interpretazione del contratto contrastante con il senso letterale delle parole usate dalle parti perchè, il contratto preliminare non prevedeva l’accollo del mutuo nè lo svincolo dalla fideiussione e in mancanza di un patto espresso non potevano essere posti a carico dei promissari acquirenti. Non solo, ma la Corte distrettuale, sempre secondo il ricorrente, nell’affermare che la lettura delle clausole fornita dagli appellanti mal si raccorda con l’esigenza di preservare le ragioni della controparte contrattuale che si sarebbe trovata altrimenti esposta esecutivamente a causa delle fideiussione concesse (…) per un debito altrui, avrebbe violato la normativa di cui all’art. 1366 c.c., risultando chiaramente dalla documentazione prodotta in giudizio che la promittente venditrice non poteva fare legittimo affidamento sulla realizzabilità della svincolo della fideiussione da parte dei promissari acquirenti, in mancanza del consenso di Credifarma alla sostituzione della fideiussione personale prestata dalla B. a garanzia del finanziamento concesso. E, la stessa equità interpretativa ex art. 1371 c.c., a cui al Corte territoriale fa riferimento sarebbe eversiva della programmazione realizzata dalle parti nel preliminare, oggetto di causa.

2.1.- Il motivo è infondato.

Va in proposito osservato come costituisca principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e segg. e sulla (in)coerenza e (il)logicità della motivazione addotta (così, tra le tante, funditus, Cass. n. 2074/2002): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili, con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati.

In verità, è di tutta evidenza che, nel caso in esame, il ricorrente più che contestare una presunta violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale si limita a prospettare una propria interpretazione alternativa a quella data dalla Corte distrettuale. Infatti, il ricorrente, sostenendo che il contratto preliminare di cui si dice nulla disponeva sull’accollo del mutuo e sulla liberazione della B. dalle garanzie personali prestate, non ha tenuto conto che la Corte distrettuale ha chiarito che “(….) gran parte del prezzo (Euro 2.500.000,00) doveva essere corrisposto alla venditrice mediante l’assunzione di tutte le posizioni debitorie e creditorie aziendali, in cui era compreso espressamente anche il capitale residuo dei contratti di locazione finanziaria in essere (…) e che la risoluzione del contratto di associazione in partecipazione era stata posta dagli acquirenti come condizione per l’acquisto delle quote, non essendo Farhat neppure parte della scrittura privata, per cui il mutuo erogato alla B. nella sua qualità di titolare della farmacia allora gestita in forma di ditta individuale, non poteva non diventare debito della società ceduta e destinato quindi ad essere oggetto di accollo da parte dei promissari acquirenti”. Il ricorrente non ha tenuto conto che secondo la Corte distrettuale l’accollo del mutuo era conseguenza immediata dell’interpretazione della clausola contrattale con la quale i promissari acquirenti avevano convenuto che gran parte del prezzo (Euro 2.500.000,00) sarebbe stato corrisposto alla venditrice mediante l’assunzione di tutte le posizioni debitorie e tra le posizioni debitorie non poteva non essere ricompreso il mutuo che era stato acceso per soddisfare esigenze dell’azienda farmaceutica. Come, per altro ha avuto modo di affermare la Corte distrettuale “(…) gli appellanti invero non hanno fornito convincenti argomenti per addivenire ad una diversa interpretazione del contratto preliminare oggetto di causa e si sono limitati a indicare una lettura che non solo appare contraddetta dal tenore delle clausole, che impongono specifici obblighi a carico dei promissari acquirenti ma che mal si raccorda con l’esigenza di preservare le ragioni della controparte contrattuale, che si sarebbe altrimenti trovata esposta esecutivamente a causa di fideiussioni concesse (…) per un debito altrui, in tal modo non garantendosi un equilibrato assetto complessivo degli interessi in giuoco ed il rispetto del principio della buona fede oggettiva, cioè, la reciproca lealtà di condotta che deve presiedere all’esecuzione del contratto così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione (…)”.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.

Il Collegio, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 5.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge; dichiara la sussistenza delle condizioni per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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