Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22711 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. un., 11/09/2019, (ud. 12/02/2019, dep. 11/09/2019), n.22711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20701/2017 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLO MERANI e

STEFANO GATTAMELATA;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

e contro

PROCURA REGIONALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE

PER LA LIGURIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 55/2017 della CORTE DEI CONTI – III SEZIONE

GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 2/02/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/02/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso in via principale per

l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il rigetto;

udito l’avvocato Romano Vaccarella.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2/2/2017 la Corte di Conti – Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello, in accoglimento del gravame interposto dalla Procura Regionale per la Liguria e in conseguente parziale riforma delle pronunzia Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Liguria n. 85 del 2/7/2014, ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione sollevata dal sig. C.M. in relazione alle poste di presunto nocumento pari ad Euro 689.023,43 (da quest’ultimo percepita quale professore universitario a tempo pieno) e 62.532,35, (dal medesimo percepita quale professore universitario a tempo definito), rinviando la causa al giudice di 1^ cure quanto alla prima posta e condannando il C. a risarcire l’Università degli Studi di Genova (anche) quanto alla 2^ posta, e così per complessivi Euro 191.507,88.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice contabile di appello il C. propone ora ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., illustrato da memoria.

Resiste con controricorso la Procura Generale presso la Corte dei Conti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 362 c.p.c..

Si duole che nello stabilire nel caso “l’obbligo di comunicare all’Università lo svolgimento di attività libero-professionale da parte di un docente”, il giudice contabile abbia nell’impugnata sentenza integrato un “eccesso di potere giurisdizionale e difetto assoluto di giurisdizione”, in quanto “nel caso di specie la norma che impone al professore universitario a tempo pieno di comunicare lo svolgimento di attività professionale non esiste”.

Lamenta che l'”erroneità del ragionamento sviluppato dalla sezione Centrale di appello della Corte sta nel fatto che il procedimento autorizzativo, nel quale sarebbe immanente l’obbligo di comunicazione, non è procedimento, per espressa previsione dello stesso art. 53, a iniziativa dell’interessato bensì del soggetto pubblico o privato che vuole ricevere la prestazione di quest’ultimo. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 10, prevede infatti che “l’autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all’amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici e privati, che intendono conferire l’incarico; può, altresì essere richiesta dal dipendente interessato”.

Si duole non essersi dal giudice contabile considerato che l'”obbligo non grava sull’interessato, che è invece titolare solo di una facoltà”, sicchè “se non esiste un obbligo di attivare il procedimento autorizzativo (perchè grava sui soggetti pubblici o privati che intendono conferire l’incarico), a maggior ragione non vi è obbligo di comunicazione”. Con la conseguenza che, “con specifico rilievo in tema di decorrenza della prescrizione”, l'”iter argomentativo della Sezione centrale di Appello” ha “portato… alla creazione di un obbligo di informazione non previsto da alcuna disposizione di legge o regolamentare”, in quanto “sotto il profilo della possibile interruzione della prescrizione… un conto è rilevare l’espressa violazione di una norma legislativa specifica che impone un obbligo giuridico di comunicare; diverso è, invece, ritenere esistente in modo immanente – un generico dovere di comunicazione”, in quanto “la violazione di uno specifico obbligo giuridico di comunicare può rappresentare quell’occultamento doloso che consente il differimento del dies a quo della prescrizione, mentre la mera violazione di un generico dovere ricondotto unicamente al concetto di buona fede – ma non specificamente contemplato da una norma giuridica o da una clausola contrattuale- non può rappresentare quell’occultamento tale da far conseguire l’interruzione della prescrizione”.

Lamenta che “la Corte dei Conti ha erroneamente ricondotto la fattispecie in esame alla prima ipotesi, creando (in quanto inesistente nell’ordinamento) la specifica norma che impone l’obbligo di comunicazione”, quantomeno “ai soli fini della decorrenza o sospensione della prescrizione”, potendo “anche ammettersi che un obbligo di informazione del dipendente pubblico si trovi in re ipsa nell’ordinamento, ma la relativa violazione non può assumere valenza ai fini della decorrenza della prescrizione (mentre può averla ad altri fini, come quello – ad esempio – dell’applicazione di sanzioni disciplinari, circostanza avvenuta proprio nei confronti del prof. C., sottoposto a procedimento disciplinare da parte dell’Università”.

Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare in tema di sindacato della Corte Suprema di Cassazione sulle decisioni giurisdizionali del giudice contabile (o amministrativo), l’interpretazione della legge o la sua disapplicazione rappresentano invero il proprium della funzione giurisdizionale, e non possono pertanto integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione legittimante il ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, fatti salvi i casi del radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc (v. Cass., Sez. Un., 31/5/2016, n. 11380).

L’eccesso di potere giurisdizionale è dunque configurabile solo ove il giudice applichi non già la norma esistente bensì una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete.

Esso non si estende infatti al modo in cui la giurisdizione del giudice contabile (o amministrativo) è stata esercitata e non include, pertanto, una verifica delle scelte ermeneutiche della Corte dei Conti suscettibili di comportare errores in iudicando (v. Cass. Sez. Un., 11/7/2018, n. 18239; Cass., Sez. Un., 27/6/2018, n. 16973).

Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di precisare, la mancata o inesatta applicazione di norme di legge non comporta la creazione di una norma inesistente, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, giacchè il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale (v. Cass., Sez. Un., 16/10/2018, n. 25936; Cass., Sez. Un., 27/6/2018, n. 16974).

Orbene, tale ipotesi invero non ricorre allorquando come nel caso il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, a fortiori allorquando questa abbia come nella specie correttamente argomentato non già dal mero tenore letterale delle singole disposizioni bensì anche dalla relativa ratio, nel legittimo esercizio della potestà giurisdizionale del giudice amministrativo avuto riguardo

al sistema normativo invocato, in termini che non comportano la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, tale operazione ermeneutica potendo al più dare luogo – come detto – ad un error in iudicando (v. Cass., Sez. Un., 12/12/2012, n. 22784), sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite (cfr. Cass., 13/6/2019, n. 15893; Cass., Sez. Un., 9/4/2018, n. 8720; Cass., Sez. Un., 9/4/2018, n. 8719; Cass., Sez. Un., 25/9/2017, n. 22251; Cass., Sez. Un., 14/12/2016, n. 25628; Cass., Sez. Un., 10/9/2013, n. 20698; Cass., Sez Un., 10/6/2013, n. 14503. Cfr. altresì, con riferimento all’error in procedendo costituito dall’applicazione di regola processuale interna incidente nel senso di negare alla parte l’accesso alla tutela giurisdizionale nell’ampiezza riconosciuta da pertinenti disposizioni normative dell’Unione Europea, direttamente applicabili, secondo l’interpretazione elaborata dalla Corte di giustizia, Cass., Sez. Un., 29/12/2017, n. 31226; nonchè, in relazione alla violazione dell’obbligo di rimessione alla Corte di Giustizia delle questioni relative all’interpretazione delle norme dell’U. E., Cass., Sez. Un., 15/11/2018, n. 29391).

Nella specie, chiamato a pronunziarsi in ordine alla sussistenza o meno per un professore universitario a tempo pieno dell’obbligo di comunicare lo svolgimento di attività professionale, e se la mancata comunicazione possa configurare l’ipotesi dell'”occultamento doloso” idoneo a non far decorrere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale L. n. 20 del 1994, ex art. 1, comma 2, fino all’effettiva conoscenza della sua esistenza (cfr. Cass., Sez. Un., 16/10/2018, n. 25936), nel pervenire a dare nell’impugnata sentenza risposta positiva al riguardo argomentando da un’interpretazione di norme giuridiche (in particolare, D.P.R. n. 3 del 1957, art. 60,D.P.R. n. 382 del 1980, artt. 11 e 15, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, nonchè gli artt. 1175 e 1375 c.c.) non ancorata al mero tenore letterale ma altresì alla stregua della relativa ragione, il giudice contabile non ha integrato il lamentato sconfinamento dei propri poteri, ma dei medesimi ha fatto invero necessario e legittimo esercizio, l’attività d’interpretazione delle norme costituendo – come detto – il proprium della funzione giurisdizionale, e la relativa eventuale erroneità rientrando nei limiti interni della giurisdizione esercitata dando luogo a mero error in iudicando, sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite.

Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, stante la natura di parte meramente formale della Procura Generale presso la Corte dei Conti.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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