Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2271 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/01/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32786-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

F.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 76/2005 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 31/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE STEFANO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE UMBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di F.A. (che non ha resistito) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di silenzio rifiuto su istanza di rimborso Irpef, la C.T.R. Toscana confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso del contribuente.

In particolare i giudici d’appello – premesso che, a seguito di cessione di un ramo d’azienda dalla Enel alla Wind con previsto trasferimento del personale, i sindacati si erano accordati con le due società per la corresponsione di una speciale indennità una tantum che teneva conto anche di talune clausole di maggior favore godute dai dipendenti Enel e che il contribuente si doleva della circostanza che fosse stata assoggettata a tassazione ordinaria anzichè separata la somma da lui ricevuta in relazione a tale accordo – rilevavano che la dizione letterale dell’accordo evidenziava il carattere risarcitorio dell’indennità, fondata sulle perdite che i lavoratori avrebbero subito a causa del trasferimento alla nuova società con sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro, e che perciò l’indennità, configurabile come un indennizzo per la perdita dei redditi conseguibili in anni successivi, rientrava nella previsione di cui al punto i) D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1.

2. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 1, lett. i) TUIR nonchè degli artt. 1363 e 2112 c.c., la ricorrente rileva che i compensi di cui ha beneficiato il F. non possono essere sottoposti all’applicazione del citato art. 16 perchè questo si riferisce ad indennità e risarcimenti relativi a redditi già maturati, i quali, non essendo stati percepiti, hanno già causato una perdita nella sfera economica del contribuente, mentre nella specie non si è ancora consumata alcuna perdita.

La ricorrente aggiunge che nella specie non si è verificato alcun illecito contrattuale o extracontrattuale, vertendosi in ipotesi di cessione di un ramo d’azienda in virtù della quale, a norma dell’art. 2112 c.c., il rapporto di lavoro può continuare con l’acquirente applicando il c.c.n.l. relativo ai dipendenti di quest’ultimo, dovendo pertanto riconoscersi all’indennità de qua natura (non risarcitoria ma) negoziale e finalità di incentivante.

La ricorrente sostiene infine che i giudici d’appello hanno errato nella interpretazione dell’atto prevedente l’indennità in parola, limitandosi ad una parziale interpretazione letterale senza valorizzare il disposto dell’art. 1363 c.c..

Le censure esposte sono inammissibili.

Quanto all’ultima di esse (erronea interpretazione dell’atto prevedente l’indennità in questione per mancata applicazione dell’art. 1363 c.c.) giova rilevare che non risulta formulato quesito di diritto, nè comunque essa trova riscontro nel quesito di diritto posto in calce al motivo in esame, essendo in proposito da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis c.p.c., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione (v. SU n. 5624 del 2009).

Quanto alle altre censure, il quesito di diritto proposto non risulta idoneo ad adempiere alla propria funzione, che è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, essendo il quesito in esame privo di ogni riferimento specifico alla fattispecie concreta nonchè alla ratio decidendi della sentenza impugnata, perciò privo delle informazioni necessarie a consentire una risposta utile alla definizione della controversia e non adeguato ad esplicitare la rilevanza della risposta al quesito ai fini della decisione del motivo (v. tra molte altre Cass. n. 7197 e n. 8463 del 2009 nonchè SU n. 7433 del 2009).

Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente sostiene che i giudici d’appello hanno motivato in maniera insufficiente la ritenuta natura risarcitoria dei redditi in questione, senza considerare la disciplina prevista dall’art. 2112 c.c. e la circostanza che tale norma prevede espressamente un peggioramento delle condizioni di lavoro.

La censura è inammissibile sia perchè non è ipotizzabile la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla motivazione in diritto, sia perchè manca nella specie l’illustrazione prevista dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. Cass. n. 8897 del 2008).

E’ poi appena il caso di sottolineare che l’illustrazione di cui al citato art. 366 bis deve sempre avere ad oggetto (non più un una questione o un “punto”, secondo la versione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 anteriore alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ma) un fatto preciso, inteso sia in senso storico che normativo, ossia un fatto “principale”, ex art. 2697 c.c. (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo, e che nella specie manca non solo l’illustrazione di cui alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., ma, ancor prima, l’individuazione e indicazione di uno o più “fatti” specifici (intesi come sopra e non come generico sinonimo di punto, circostanza, questione) rispetto ai quali la motivazione risulti viziata nonchè l’evidenziazione del carattere decisivo dei medesimi fatti.

3. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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