Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22709 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 20/10/2020), n.22709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13995-2017 proposto da:

PONTIFICIO ORATORIO SAN PAOLO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GOLAMETTO 4/B,

presso lo studio dell’avvocato FERRIOLO ABBATE STUDIO LEGALE,

rappresentato e difeso dagli avvocati MARCO ALUNNI, ROBERTO PALOMBI,

giusta procura in calce;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, con domicilio eletto in ROMA VIA

PIEMONTE 39, rappresentata e difesa dall’Avvocato VARI’ PASQUALE,

giusta procura in calce;

– controricorrente –

contro

AGENZIA RISCOSSIONE ROMA EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7859/2016 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 02/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2019 dal Consigliere Dott. MARINA CIRESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PALOMBI che si riporta agli

scritti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Pontificio Oratorio San Paolo impugnava dinanzi alla CTP di Roma l’intimazione di pagamento n. (OMISSIS) notificata ex art. 140 c.p.c. nonchè la prodromica cartella di pagamento emessa a titolo di imposta comunale sulla pubblicità 2000/05.

A sostegno del ricorso eccepiva l’inesistenza della notifica dell’intimazione e della cartella sottesa per violazione delle prescrizioni di cui alla Convenzione tra l’Italia e la Santa Sede del 6.9.1932 in materia di notificazione di atti, l’illegittimità dell’intimazione in ragione dell’illegittimità delle somme richieste a titolo di compensi di riscossione e di interessi di mora, l’omessa allegazione degli atti prodromici, la decadenza e la prescrizione, l’inesigibilità del ruolo e l’illegittimità della pretesa.

La CTP di Roma, con sentenza del 17 giugno 2015, rigettava il ricorso ritenendo che la notificazione degli atti fosse regolare e che non potesse trovare applicazione nella fattispecie la Convenzione tra l’Italia e la Santa Sede del 6.9.1932 avente ad oggetto la notificazione di atti in materia civile e commerciale.

Proposto appello da parte del contribuente, la CTR del Lazio, con sentenza in data 2.12.2016, rigettava il gravame confermando le statuizioni del giudice di primo grado.

Avverso detta pronuncia il Pontificio Oratorio San Paolo proponeva ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui resisteva la Equitalia Servizi di Riscossione S. P.A. con controricorso.

Entrambe le parti depositavano memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso rubricato “Nullità della sentenza e/o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4 per a) inesistenza della notificazione; b) violazione del Trattato Lateranense artt. 13-15 e Convenzione dell’Afa”, parte ricorrente censurava la sentenza impugnata che, confermando la decisione di primo grado, aveva ritenuto regolare la notifica dell’atto di intimazione effettuata secondo le norme del codice di procedura civile, senza tenere conto che il Pontificio Oratorio San Paolo è un ente ecclesiastico avente sede nel complesso immobiliare di (OMISSIS) di proprietà esclusiva della Santa Sede (quale edificio annesso alla Basilica di San Paolo) perciò munito delle immunità diplomatiche di cui agli artt. 13-15 del Trattato Lateranense dell’11.2.1929 con la conseguente applicabilità delle norme di diritto internazionale e non già del codice di procedura civile.

In relazione alla normativa internazionale in tema di notificazione di atti, riteneva che dovessero invece trovare applicazione le prescrizioni della Convenzione internazionale sottoscritta tra l’Italia e la Santa Sede in data 6.9.1932, resa esecutiva in Italia con la L. n. 379 del 1993, in cui sono espressamente richiamate le “immunità riconosciute dal Trattato 11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia” da richiamarsi anche nei casi di notificazione in materia tributaria. Deduceva altresì che in ogni modo doveva ritenersi vigente la Convenzione Plurilaterale dell’Aja del 1954 atteso che tra gli enti muniti di immunità vi è anche il Pontificio Oratorio San Paolo.

In via subordinata, nella ipotesi in cui si ritenesse di dover applicare l’art. 142 c.p.c. e non la normativa dei trattati, chiedeva di rimettere la questione alla Corte di Giustizia UE ex art. 267 del TFUE.

Il motivo di ricorso è infondato.

La censura, che peraltro potrebbe astrattamente concretare una ipotesi di violazione di legge e non già di nullità della sentenza, involge il tema delle modalità con cui deve essere effettuata la notifica degli atti in materia tributaria ad enti di proprietà dello Stato della Città del Vaticano ma ubicati nell’ambito territoriale dello Stato Italiano, nel caso di specie al Pontificio Oratorio San Paolo. In particolare, si sostiene che la notificazione della cartella di pagamento doveva essere effettuata non già direttamente dall’Agente della Riscossione ma in via diplomatica.

Va premesso che il Trattato Lateranense Stato – Chiesa dell’11 febbraio 1929, ratificato con L. n. 810 del 1929, definisce il peculiare statuto degli immobili della Santa Sede in Italia. La soluzione accolta di circoscrivere il nuovo Stato ad un’enclave del territorio della città di Roma non poteva essere da sola idonea ad assicurare l’ubicazione di tutti gli organi, i dicasteri e gli uffici della Santa Sede a causa della limitata estensione dell’area. Ed è per questo che, alla Santa Sede, è stata garantita la proprietà di taluni edifici e complessi immobiliari, al di fuori del confine geografico del nuovo Stato, assicurando agli immobili che ospitano i Dicasteri della Curia Romana un singolare e caratteristico regime giuridico.

La disciplina degli immobili della Santa Sede in territorio italiano è prevista dagli artt. 13, 14, 15 e 16 del Trattato, costituenti le norme che contengono lo speciale statuto giuridico pattiziamente assunto da due soggetti sovrani, la Santa Sede e lo Stato Italiano, ed operante nell’ordinamento internazionale. Tali disposizioni individuano puntualmente i complessi immobiliari e, per ognuno di essi, le garanzie ed immunità di cui godono.

In particolare l’art. 13 prevede che “L’Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà delle Basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, di Santa Maria Maggiore e di San Paolo, cogli edifici annessi (Alleg. II, 1, 2 e 3)” e l’art. 15 che “Gli immobili indicati nell’art. 13 e negli alinea primo e secondo dell’art. 14, nonchè i palazzi della Dataria, della Cancelleria, di Propaganda Fide in Piazza di Spagna, il palazzo del Sant’Offizio ed adiacenze, quello dei Convertendi (ora Congregazione per la Chiesa Orientale) in piazza Scossacavalli 13, il palazzo del Vicariato (Alleg. II, 6, 7, 8, 10 e 11), e gli altri edifici nei quali la Santa Sede in avvenire crederà di sistemare altri suoi Dicasteri, benchè facenti parte del territorio dello Stato italiano, godranno delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri”.

L’esercizio delle funzioni degli agenti diplomatici (Ambasciatori, Plenipotenziari) è d’altra parte contraddistinta da privilegi e immunità di natura reale, in quanto gli agenti devono avere una condizione di favore rispetto a quella degli stranieri che risiedono all’interno di un Stato.

Tali immunità, che si traducono in particolari limiti alla potestà di governo nell’ambito del territorio previsti dal diritto consuetudinario nonchè dalla Convenzione di Vienna del 1961, sia personali (per tutti gli atti commessi a titolo privato) che funzionali (per gli atti commessi nell’esercizio delle proprie funzioni) non sembrano riguardare invece il diverso aspetto delle modalità di notificazione degli atti ad essi destinati.

In ordine a tale profilo, occorre quindi fare riferimento alle convenzioni internazionali, ed in primis alla Convenzione stipulata tra Italia e Santa Sede del 6.9.1932, che disciplina gli atti “in materia civile e commerciale” (resa esecutiva con la L. 13 aprile 1933 n. 379) che all’art. 1 recita “In materia civile e commerciale la notificazione degli atti da eseguirsi nello Stato della Città del Vaticano su istanza di persone, enti o autorità, che si trovino nel Regno d’Italia, si farà in seguito a domanda del Procuratore del Re diretta al Promotore di giustizia presso il tribunale di prima istanza dello Stato della Città del Vaticano e la notificazione degli atti da eseguirsi nel Regno d’Italia su istanza di persone, enti o autorita, che si trovino nello Stato della Città del Vaticano, si farà in seguito a domanda dell’anzidetto Promotore di giustizia diretta al Procuratore del Re presso il tribunale nel cui territorio l’atto deve essere notificato”.

La predetta convenzione, che sembra richiedere una notifica in via diplomatica, reca altresì una dichiarazione secondo cui “Resta inteso che le forme stabilite dalla convenzione suddetta saranno osservate in tutti i casi in cui, tenuto anche conto delle immunità riconosciute dal Trattato 11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e l’Italia, occorresse, secondo le norme del diritto internazionale, seguire le ordinarie vie diplomatiche per la notificazione di atti in materia civile o commerciale”.

Pertanto detta convenzione non trova applicazione con riguardo agli atti di natura tributaria. Neppure può richiamarsi la Convenzione “generale” adottata all’Aja il 15 novembre 1965, riguardando anch’essa la materia civile o commerciale, e non anche quella tributaria; ed inoltre, nella specie, non trattandosi neppure di notificazione all’estero, ma in Italia.

Alla materia tributaria si riferisce invece specificamente il verbale di intesa 20 aprile 2006 tra Santa Sede e Ministero Affari Esteri circa la notifica degli atti di natura tributaria, ove si prevede il principio della notifica per via diplomatica nei confronti sia degli enti aventi sede nello Stato del Vaticano sia di alcuni enti aventi sede fuori dallo Stato del Vaticano, tra i quali è previsto (Alleg.II) anche l’Oratorio San Paolo annesso alla basilica di San Paolo fuori le mura.

Trattasi, tuttavia, di un mero verbale d’intesa, privo di efficacia cogente, che doveva essere necessariamente trasfuso in una successiva convenzione o accordo. Tale intesa ha poi trovato attuazione solo successivamente, in epoca ben posteriore alla notifica degli atti per cui è processo, ovvero con la L. 7 luglio 2016, n. 137, di Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica Italiana e la Santa Sede in materia fiscale, siglata nella Città del Vaticano il 1 aprile 2015, con relativo Scambio di Note verbali del 20 luglio 2007.

In particolare l’art. 7 di detta convenzione, intitolato “Notifica degli atti tributari”, recita: “E’ confermato l’accordo di cui al Processo Verbale della riunione sulla questione delle modalità di notifica degli atti tributari, svoltasi il 20 aprile 2006, con relativi allegati, già oggetto dello scambio di Note Verbali del 20 luglio 2007 tra la Segreteria di Stato, Sezione per i Rapporti con gli Stati (Nota Verbale n. 4886/07/RS), e l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede (Nota Verbale n. 2797), in allegato alla presente Convenzione e che ne costituisce parte integrante”.

Alla luce del quadro normativo fin qui tracciato, deve quindi ritenersi che, con riguardo all’epoca di notifica degli atti per cui è causa, non era prevista una procedura notificatoria specifica per gli atti tributari, che invece è stata introdotta solo successivamente con la citata L. n. 137 del 2016, e che, pertanto, la disciplina di riferimento era quella ordinaria, dettata dal codice di procedura civile.

Ne deriva pertanto, conformemente a quanto statuito dal giudice di secondo grado, la legittimità della notifica della intimazione di pagamento e della sottesa cartella di pagamento.

Quanto alla domanda subordinata, la stessa va rigettata. Ed invero, non sussistono i presupposti per la rimessione della questione pregiudiziale alla CGUE ex art. 267 TFUE, atteso che non si configurano dubbi interpretativi sulla normativa interna in relazione alla disciplina dell’Unione Europea, venendo in rilievo esclusivamente la corretta applicazione di convenzioni internazionali, e non avendo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea competenza applicativa/interpretativa sulle convenzioni internazionali eventualmente concluse dagli Stati membri (sent. Columbus, in causa C-298/05, sent. 6 dicembre 2007; Jacques Damseaux c/Belgio, in causa C-128/08, decisione 16 luglio 2009; AMID, in causa CE141/99, sent. 14 dicembre 2000).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese vanno compensate tra le parti in ragione della novità della questione oggetto del ricorso, anche alla luce dell’evolversi della normativa.

PQM

Rigetta il ricorso;

compensa le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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