Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22708 del 28/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/09/2017, (ud. 23/05/2017, dep.28/09/2017),  n. 22708

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14132-2013 proposto da:

D.M.G., (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIOLUIGI IACOMINO;

– ricorrente –

contro

S.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato

MARCELLO IZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato GENNARO TORRESE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1587/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 10/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con atto di citazione notificato nell’aprile 2003 S.P. conveniva innanzi al Tribunale di Torre Annunziata D.M.G. deducendo che:

– in data 26/07/2001 aveva stipulato con il convenuto un atto di transazione, contenente anche la promessa di vendita di un villino, sito in (OMISSIS), per un importo di Euro 258.228,44, da versarsi in rate semestrali di Euro 25.822,84;

– il D.M. era stata immesso nel possesso materiale del bene, ma aveva versato solo la prima rata del prezzo, omettendo i pagamenti successivi.

Ciò premesso, chiedeva la pronuncia di risoluzione del preliminare di vendita per inadempimento del promissario acquirente, con condanna di quest’ultimo al rilascio del bene ed al pagamento di Euro 50,00 per ogni giorno di ritardo nel rilascio, a far data dal 30/06/2002, nonchè al risarcimento dei danni quantificati in Euro 50.000,00.

D.M.G. contestava la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto.

Il convenuto esponeva che:

– in data 27/04/1995 aveva sottoscritto una proposta di acquisto del bene, accettata dallo S., qualificatosi come proprietario del bene stesso, e rilasciato un assegno bancario di Lire 10.000.000, in acconto del prezzo di Lire 450.000.000;

– all’inizio del 1996 S.P. lo aveva immesso nel possesso materiale dell’immobile per l’occupazione del quale le parti avevano pattuito il versamento mensile di Lire 2.000.000, da decurtare dal prezzo di vendita;

– in data 19/10/1999, le parti avevano sottoscritto una scrittura ricognitiva dei rapporti pregressi con la quale il D.M. si obbligava ad acquistare il bene al prezzo di Lire 500.000.000, con termine per la stipula del definitivo fino al 31/12/2000. In detta scrittura, inoltre, le parti davano atto della consegna da parte del D.M. di assegni bancari per un importo di Lire 100.000.000 e precisavano che il villino era stato edificato in assenza di licenza edilizia, ma era stata al riguardo presentata istanza di condono;

– nel frattempo, il convenuto aveva scoperto che l’immobile era stato realizzato su suolo di proprietà di S.M., fratello di S.P., il quale aveva rilasciato al fratello la procura a vendere il bene, e che non era mai stata presentata istanza di condono a nome del proprietario del suolo.

Con l’atto del 26/07/2001 le parti avevano definito il giudizio instaurato da S.P., avente ad oggetto la risoluzione per inadempimento del preliminare concluso dalle parti il 19/10/1999 ed avevano inoltre concluso una nuova promessa di vendita dell’immobile, al prezzo di Lire 550.000.000,

da pagarsi con rate semestrali, in relazione alla quale egli aveva rilasciato allo S. 11 effetti cambiari, dell’importo di Lire 11.000.000 ciascuno.

Le parti avevano inoltre stabilito che le somme fino ad allora versate dal D.M. venissero incamerate dallo S. a titolo di occupazione dell’immobile.

Successivamente, il convenuto era peraltro venuto a conoscenza che, con atto del 06/02/2002, S.M. aveva revocato al fratello la procura a vendere.

Ciò premesso, il D.M. affermava che il mancato pagamento della rate successive era stato determinato dal comportamento dell’attore e formulava domanda riconvenzionale, chiedendo l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre e la condanna dell’attore alla restituzione delle somme versate e delle spese per la ristrutturazione dell’immobile da lui sostenute, oltre al risarcimento dei danni.

Il Tribunale di Torre Annunziata – sezione distaccata di Torre del Greco – dichiarava risolto il contratto del 26/07/2001 per inadempimento del convenuto e lo condannava all’immediato rilascio del bene, oltre al pagamento di Euro 25.822,84 e rigettava le domande riconvenzionali proposte da quest’ultimo.

La Corte d’Appello di Napoli, per quanto in questa sede ancora interessa, confermava la sentenza del giudice di prime cure, rilevando, innanzitutto, che il Tribunale aveva correttamente rigettato la domanda restitutoria avente ad oggetto le somme già corrisposte alla controparte, formulata dal D.M..

La scrittura privata stipulata in data 26/07/2001, infatti, seppur formalmente unica, conteneva due distinti contratti, uno di transazione e l’altro costituito da un preliminare di vendita dell’immobile: la domanda formulata da S.P. aveva a oggetto la risoluzione del solo contratto preliminare e non anche della transazione, con la conseguenza che non si determinava la reviviscenza delle obbligazioni precedenti all’atto transattivo.

La Corte, inoltre, rilevava la sussistenza dell’inadempimento del D.M., atteso che la consegna delle cambiali non era idonea ad estinguere il debito ed affermava che il mancato pagamento delle rate successive alla prima non trovava giustificazione nella revoca della procura conferita al promittente venditore dal fratello, poichè tale revoca non comportava, di per sè, l’invalidità o inefficacia del contratto.

Ancora, il Giudice di appello escludeva che il mancato pagamento trovasse giustificazione nella mancata regolarità urbanistica dell’immobile, dal momento che la sanzione della nullità L. n. 47 del 1985, ex art. 40 trova applicazione esclusivamente nei contratti traslativi e non anche con riferimento ai contratti preliminari; inoltre, il promittente alienante aveva allegato la copia dell’istanza di condono ed il promissario acquirente aveva accettato tale situazione.

La Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado in relazione alla mancata ammissione delle prove relative al processo pendente tra i fratelli S. ed al compimento dei lavori di ristrutturazione da parte del D.M., atteso il difetto di rilevanza di tali elementi e riteneva, infine, che la quantificazione del risarcimento disposto in favore dello S. non potesse ritenersi eccessiva.

Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso, con cinque motivi, D.M.G.. S.P. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), deducendo che la Corte territoriale non ha sufficientemente argomentato il rigetto della domanda di restituzione delle somme già versate a S.P., atteso che la risoluzione dell’atto 26/07/2001 avrebbe dovuto comportare la reviviscenza di tutte le precedenti obbligazioni. Ad avviso del ricorrente, infatti, seppure la scrittura privata in questione contenesse due distinti contratti, la volontà delle parti di fonderli in un unico atto ne comportava la configurazione unitaria.

Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella sollecitazione ad operare una diversa interpretazione della domanda giudiziale e della scrittura privata conclusa dalle parti, riservata al giudice di merito ed estranea al sindacato di legittimità.

La Corte, sulla base dell’esame degli elementi acquisiti, ha infatti ritenuto, con valutazione di merito adeguata, di dover qualificare la scrittura privata stipulata in data 26/07/2001 come atto formalmente unico ma contenente due distinti contratti, l’uno una transazione e l’altro un preliminare di vendita, con la conseguenza che l’accoglimento della domanda di risoluzione del preliminare non comportava il venir meno della transazione, che aveva definito i pregressi rapporti tra le parti sull’ immobile per cui è causa.

Quanto, poi, alla doglianza di mancata ammissione di mezzi istruttori rilevanti se ne rileva la genericità, ed il difetto di autosufficienza.

Ed invero, posto che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova è assegnato un valore legale (Cass. n. 6064/2008), non risulta in alcun modo evidenziato il carattere di decisività dei mezzi istruttori non ammessi.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte non ha adeguatamente motivato circa l’efficacia solutoria delle cambiali consegnate alla controparte ed, in particolare, in ordine all’esclusione della loro idoneità a fungere da mezzo di pagamento sostitutivo della moneta. In particolare, secondo la prospettazione del ricorrente, le cambiali costituiscono un mezzo ordinario di pagamento sostitutivo della moneta e, secondo la vigente normativa (sia civilistica che tributaria) il pagamento si considera effettuato all’atto del loro rilascio.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, la cambiale è un mero strumento di credito, e la sua emissione e trasmissione non costituiscono pagamento, in quanto l’adempimento della obbligazione portata dal titolo si verifica solo nel momento in cui, alla scadenza, il debitore provvede ad onorarla (Cass. Civ. Sez. 1 sent del 21/01/1999 n. 51; Cass. Civ. Sez. 2 sent del 31/10/2013 n. 24560).

Nel caso in esame, la Corte territoriale risulta essersi conformata a tale consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di titoli di credito ed ha conseguentemente escluso, con iter argomentativo esente da vizi logici, che la cessione di cambiali da parte del D.M. avesse effetto solutorio, attesa la loro natura di strumento di circolazione del credito e non anche di mezzo di pagamento.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte, affermando l’inadempimento del ricorrente, aveva omesso di motivare in ordine alle circostanze che detto inadempimento giustificavano, desumibili dalla lettera, del 10.01.2003, con la quale S.M., fratello del promittente alienante, gli aveva comunicato la propria indisponibilità a procedere alla vendita.

Ancora, il ricorrente deduce la carenza argomentativa della sentenza impugnata, per aver escluso che l’irregolarità urbanistica dell’immobile costituisse circostanza idonea a giustificare il mancato pagamento delle rate successive, omettendo di considerare che il procedimento amministrativo per la regolarizzazione dell’immobile poteva concludersi oltre i termini finali per la stipula del definitivo.

Tale motivo è per taluni profili inammissibile e per altri infondato.

Deve senz’altro rilevarsi che, nel caso di specie, in violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente ha omesso di riportare, anche in modo sommario, il contenuto della lettera 10.01.2003, onde non è possibile valutarne natura, portata ed efficacia.

In ogni caso, una generica dichiarazione di indisponibilità alla vendita, proveniente del fratello del promittente alienante, che non era parte del contratto, che non sia stata ritualmente contestata alla propria controparte, non appare idonea a giustificare l’inadempimento dell’odierno ricorrente, quale promissario acquirente.

In relazione al profilo della irregolarità urbanistica dell’immobile si osserva invece che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la sanzione della nullità prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 10 e succ. mod., con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita (Cass. Civ. Sez. 2 sent del 09/05/2016 n. 9318).

Nel caso in esame, la Corte territoriale risulta essersi uniformata al su menzionato indirizzo interpretativo, ed ha pertanto escluso la nullità L. 28 febbraio 1985, n. 47, ex art. 40 e succ. mod. dell’atto in questione, dal momento che si trattava di un contratto con efficacia obbligatoria e non con effetti traslativi.

In relazione ad un immobile costruito senza la necessaria licenza o concessione (o in difformità dalla stessa), peraltro, è necessario che la situazione dell’immobile venga resa nota in sede di preliminare di vendita ed accettata dal promissario acquirente, essendo evidente che un tale immobile, ancorchè commerciabile, è pur sempre esposto al rischio del rigetto della domanda di concessione in sanatoria (Cass. Civ. Sez. 2 sent del 23/02/1999 n. 1501; Cass. Civ. Sez. 2 sent del 22/09/2003 n. 14030).

Orbene il giudice di appello, facendo corretta applicazione del su menzionato orientamento di questa Corte, ha ritenuto che la situazione di irregolarità dell’immobile non potesse giustificare l’inadempimento del D.M., atteso che lo stesso era stato messo a conoscenza dell’irregolarità urbanistica dello stesso, ed aveva, nonostante ciò, accettato tale situazione in sede di stipula della scrittura privata 19/10/1999.

Da ciò discende che non assume rilievo decisivo la circostanza che il procedimento amministrativo per la regolarizzazione dell’immobile potesse concludersi oltre i termini finali per la stipula del definitivo, o con il rigetto della domanda di concessione in sanatoria, posto che il promissario acquirente, era evidentemente in grado, secondo l’ordinaria diligenza, di valutare 1′ effettiva situazione del bene dal punto di vista urbanistico-amministrativo, ed aveva evidentemente confidato nell’esito positivo della procedura di sanatoria del bene; e ciò, fatta salva la facoltà di far valere l’eventuale successivo inadempimento del promittente alienante alla data pattuita per la stipula del definitivo.

Ne consegue che l’irregolarità urbanistica dell’immobile, in quanto già conosciuta ed accettata dal promissario acquirente all’atto della conclusione del preliminare, non costituisce ex art. 1460 c.c. circostanza idonea a giustificarne l’inadempimento.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte territoriale non ha adeguatamente motivato il mancato accoglimento delle richieste istruttorie ed, in particolare, della prova testimoniale in relazione all’esistenza della procura a vendere e della revoca della stessa, nonchè del mancato espletamento di C.T.U. in relazione ai lavori di ristrutturazione realizzati dal D.M. nell’immobile in questione.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. Civ. Sez. 3 sent del 17/05/2007 n.11457).

Nel caso in esame, la Corte ha diffusamente indicato i motivi per cui ha ritenuto che, alla stregua del complessivo impianto probatorio, non assumesse rilevanza l’ammissione della prova testimoniale in relazione all’esistenza della procura a vendere e della revoca della stessa, posto che in sè la revoca della procura a vedere comportava soltanto che il rogito di vendita avrebbe dovuto essere stipulato da S.M. in proprio e non dal fratello, in qualità di rappresentante.

Allo stesso modo, il Giudice d’appello ha indicato, con iter argomentativo privo di vizi logici o di errori di diritto, le ragioni per le quali non era possibile derogare ai limiti di cui all’art. 2721 c.c. con riferimento alla prova testimoniale sull’ammontare delle somme spese per la ristrutturazione dell’immobile in questione e, di conseguenza, le ragioni che hanno condotto alla mancata ammissione della ctu relativa all’accertamento di tali importi, consulenza che, in assenza di specifici elementi da valutare, avrebbe assunto una inammissibile natura esplorativa.

Ne discende che non è ravvisabile il dedotto vizio motivazionale, atteso che la Corte territoriale ha adeguatamente motivato il proprio convincimento sul punto, mentre le circostanze oggetto delle richieste probatorie dell’odierno ricorrente non sono tali da inficiare la ratio decidendi della decisione adottata al riguardo dal giudice d’appello.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte non avrebbe sufficientemente motivato in ordine alla quantificazione del risarcimento, non avendo tenuto conto delle ingenti somme che il ricorrente aveva versato nel corso degli anni allo S., e della condotta inadempiente di quest’ultimo.

Il motivo è destituito di fondamento.

La Corte territoriale ha dettagliatamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto che la quantificazione operata dal Giudice di prime cure in via equitativa del danno subito dallo S. a causa dell’occupazione dell’immobile da parte del D.M. fosse adeguata e conforme alla volontà espressa dalle parti.

In particolare, nell’atto di transazione del 2001 gli stessi contraenti dichiararono di imputare le somme corrisposte dal D.M. all’occupazione del bene sino a quella data ed, al momento dell’immissione nel possesso materiale dell’immobile, avevano determinato in Lire 2.000.000 mensili la somma dovuta per il godimento del bene, fino alla stipula del definitivo.

Ne consegue che il risarcimento liquidato in via equitativa per l’occupazione dell’immobile per un periodo di 8 anni e 6 mesi, da parte del promissario acquirente, risulta fondato su criterio logico e ragionevole ed appare conforme alla valutazione delle parti, le quali, per il godimento di detto bene avevano pattuito un corrispettivo mensile di gran lunga superiore.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in 3.700,00 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2017

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