Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22706 del 28/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/09/2017, (ud. 28/04/2017, dep.28/09/2017),  n. 22706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4129/2016 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

LA TORINESE S.p.a già I.D.A.T. S.r.l. (p.iva (OMISSIS)) in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA DI VILLA CARPEGNA 58, presso lo studio dell’avvocato

MARCO PETRINI, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO

FANELLI;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

04/07/2015, procedimento R.G.N. 58596/2010, Cron. 9642/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato:

che il Ministero della Giustizia ricorre avverso il decreto della Corte d’appello di Roma che, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, lo ha condannato a corrispondere alla società La Torinese spa un indennizzo di Euro 10.500, oltre interessi, come equa riparazione per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare in cui la ricorrente si era insinuata il 24.7.84, ancora pendente alla data della domanda di equa riparazione;

che il ricorso si articola in due motivi;

che la società La Torinese ha resistito con controricorso;

che con il primo motivo il Ministero ricorrente censura la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in cui la corte capitolina sarebbe incorsa facendo esclusiva applicazione del criterio tabellare, seppur ridotto nella misura di 500 Euro per anno di ritardo, senza contemperare tale criterio con altri altrettanto rilevanti) quali la natura del procedimento (procedura concorsuale) ed il limite della “posta in gioco”, espressivo della natura riparatoria e non risarcitoria (nè, tantomeno, sanzionatoria nei confronti dello Stato), dell’equa riparazione, così pervenendo ad un risultato indennitario sproporzionato rispetto al valore (lire 2.282.263) del credito (chirografario, quindi con esigue probabilità di realizzazione) insinuato nel passivo della procedura fallimentare della cui durata si discute;

che il motivo non può trovare accoglimento perchè la regola che l’equa riparazione del danno conseguente alla eccessiva durata di un processo non può essere liquidata in misura superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice è stata introdotta nell’ordinamento solo con il D.L. n. 83 del 2012, art. 55, convertito, con modificazioni, con la L. n. 134 del 2012, applicabile ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione e, pertanto, non applicabile nel presente procedimento, introdotto il 17.9.10 (Cass. 19897/14, Cass. 10054/15);

che il secondo motivo – con il quale si censura l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia che ha formato oggetto di discussione tra le parti, in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa trascurando di motivare specificamente sull’assenza di effettivo nocumento derivato alla società intimata dalla eccessiva durata della procedura concorsuale – va disatteso perchè non individua un fatto storico non esaminato nel decreto impugnato, come previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo, ratione temporis applicabile, novellato dal D.L. n. 82 del 2012, ma si risolve nella riproposizione di doglianze di merito in sede di legittimità;

che, per quanto sopra, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna dell’Amministrazione ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione in favore del contro ricorrente;

che non trova applicazione il disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, D.Lgs. n. 546 del 1992, essendo la ricorrente una amministrazione dello Stato (Cass. 5955/14, Cass. 1778/16).

PQM

 

rigetta il ricorso;

condanna l’Amministrazione ricorrente a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2017

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