Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22701 del 28/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/09/2017, (ud. 20/04/2017, dep.28/09/2017),  n. 22701

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8192-2013 proposto da:

OMNIA BUS SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SISTINA 121, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO PANUCCIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO CARNUCCIO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA TRASPORTI AREA METROPOLITANA ATAM REGGIO CALABRIA SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio

dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARIO DE TOMMASI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 70/2012 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 09/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

RITENUTO

che il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 22 maggio 2003, condannò l’Azienda Trasporti per l’Area Metropolitana di Reggio Calabria a restituire alla Omnia Bus s.p.a. la somma di Euro 248.364,12, trattenuta a titolo di penale per la ritardata consegna della fornitura di 41 autobus;

che avverso la predetta statuizione proponeva appello l’A.T.A.M., deducendo l’erronea interpretazione del contratto da parte del Tribunale, assumendo la illogicità di calcolare i previsti sessanta giorni, di cui al negozio, per la consegna degli autobus, al netto delle giornate di sabato, oltre che dei festivi, in ossequio al contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici; nonchè per essere stata ingiustamente considerata causa del predetto ritardo, per non avere tempestivamente trasmesso i nullaosta necessari per la immatricolazione dei mezzi;

che la Corte d’appello della stessa città, con sentenza del 9 febbraio 2012, accogliendo, per quanto ritenuto di ragione, entrambi i profili di censura, condannò l’A.T.A.M. a corrispondere alla Omnia Bus la complessiva somma di Euro 61.974,83;

che avverso quest’ultima decisione propone ricorso l’Omnia Bus, corredato da due motivi di censura, ulteriormente illustrati da memoria;

che la controparte resiste con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 167,133 e 145 c.p.c., in correlazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto “La Corte territoriale, pur prendendo atto che l’AMA (oggi ATAM), nel costituirsi in primo grado, ha fatto propria l’indicazione del termine di consegna fatta dalla Omnia Bus, e ha ribadito tale indicazione anche nella successiva memoria ex art. 180 c.p.c., non trae le dovute conseguenze sul piano processuale, adottando un’interpretazione della volontà contrattuale contraria a quanto convergentemente affermato e confessato dalle parti in giudizio”;

ritenuto che con il secondo motivo il ricorso lamenta la violazione dell’art. 1362 c.c., in correlazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di merito, violando le norme sull’interpretazione del contratto, non aveva considerato che le parti avevano concordemente ed irretrattabilmente stabilito, anche attraverso le manifestazioni di loro volontà successive alla conclusione del negozio, che al fine del computo del termine, soggetto a penale, per la consegna degli automezzi, dovevasi tener conto dei giorni effettivi lavorativi previsti dal contratto nazionale collettivo dei metalmeccanici;

osserva:

non è controverso che la resistente, costituendosi in primo grado, pur contestando la pretesa restitutoria della controparte, concordò con quest’ultima sul temine di consegna dei veicoli, computando cinque giorni lavorativi a settimana, ciò ribadendo nella memoria depositata ai sensi dell’art. 180 c.p.c.;

la Corte locale afferma che l’onere di specifica contestazione, di cui all’art. 167 c.p.c., comma 1, concerne solo “i fatti principali o secondari, rilevanti ai fini della decisione e che siano suscettibili (e abbiano altresì bisogno) di essere provati nel processo”, evenienza che nel caso viene esclusa in quanto il tema della lite non si incentra su un fatto “ma ben diversamente solo sulla interpretazione di un fatto di per sè molto chiaro e con altrettanta evidenza già acquisito a processo, ossia una clausola contrattuale” e, di conseguenza, “non rileva il fatto che la parte oggi appellante di quel fatto abbia dato in un primo tempo, più o meno consapevolmente, un’interpretazione conforme a quella data da controparte, e poi invece, sia pure dopo il maturare di tutte le preclusioni addirittura in appello, ne dia un’altra ben diversa, poichè ciò riguarda il piano delle mere difese o argomentazioni giuridiche, il cui mutare non trova limite nel successivo svolgimento del processo e nemmeno nell’appello”;

il fatto da contestare siccome perimetrato e descritto dalla Corte reggina non trova conforto nei principi disciplinanti la materia, ed in primis, nella regola di cui all’art. 167 c.p.c., comma 1, la quale impone al convenuto l’onere di puntualmente descrivere i fatti rilevanti di causa, prendendo precisa posizione sui medesimi, così da consentire al giudice di vedere nitidamente ritagliata l’area di effettiva controversia, con la conseguenza che nel resto la vicenda deve intendersi non contestata;

trattasi, com’è evidente, di regola diretta allo scopo di valorizzare la leale e non defatigante condotta processuale delle parti e assicurare il pieno espletamento del diritto di difesa dell’attore, messo al sicuro da revirement e deduzioni rateali;

ridurre un tale onere alla mera e materiale contestazione dello svolgimento fattuale tradisce, piuttosto macroscopicamente lo scopo della regola: il convenuto ha l’onere processuale (se vuole che la sua prospettazione venga presa in considerazione dal giudice) di “prendere posizione”, vale a dire di svolgere le proprie difese in ordine alla ricostruzione materiale della vicenda di vita evocata dalla controparte, vicenda che non può in alcun modo prescindere dalla interpretazione che di essa ne ha dato l’attore, con la conseguenza che si riduce ad un mero artificio argomentativo affermare, come fa la Corte di merito, che il significato di una clausola contrattuale costituisca terreno estraneo ad un tale onere di contestazione, divenendo liberamente modificabile e retrattabile in corso di causa, in spregio al principio d’integrale, tempestiva ed irretrattabile contestazione;

a ciò consegue che nel caso in cui il convenuto nulla abbia eccepito in relazione a tali fatti, e, a maggior ragione ove, come nella specie, abbia concordato su essi con la controparte, gli stessi devono considerarsi come pacifici, sicchè l’attore è esonerato da qualsiasi prova al riguardo (cfr., Sez. 3, n. 18202, 3/7/2008, Rv. 604221) ed è inammissibile la contestazione successiva dei medesimi fatti;

risulta, inoltre, violata la regola ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c., in quanto, richiamandosi specifico precedente di legittimità, deve ribadirsi che nell’interpretazione del contratto, operazione istituzionalmente riservata al giudice di merito, l’interpretazione comune che di esso danno le parti, pur non vincolando il giudice, in quanto costituente solo un canone ermeneutico, deve essere tenuta in particolare considerazione; inoltre, poichè il giudice è vincolato alla domanda e ai fatti confessati dalle parti e poichè l’individuazione della volontà contrattuale ha ad oggetto una realtà fenomenica ed obbiettiva e costituisce un accertamento fattuale del giudice di merito, questi non può adottare un’interpretazione della volontà contrattuale contraria a quanto espressamente e concordemente affermato dalle parti in giudizio e posto pacificamente a base delle loro pretese (Sez. 3, n. 5954, 18/3/2005, Rv. 580843);

Diritto

CONSIDERATO

doversi, pertanto, cassare con rinvio la sentenza impugnata in relazione ai proposti motivi e, oltre a riaffermare il principio di diritto di cui immediatamente sopra, affermare l’ulteriore principio di cui appresso: il convenuto, adempiendo all’onere di cui all’art. 167 c.p.c., comma 1, è tenuto a prendere posizione sui fatti posti a fondamento della domanda, in essi inclusa la interpretazione delle clausole contrattuali, sulla cui valenza e portata il predetto deve tempestivamente, integralmente ed irretrattabilmente esprimersi;

considerata l’opportunità di rimettere al Giudice del merito il regolamento anche delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

accoglie entrambi i motivi; cassa e rinvia alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2017

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