Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22700 del 11/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/08/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 11/08/2021), n.22700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32784-2019 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUISA FLORE;

– ricorrente –

contro

R.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

AVEZZANA 31, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA FLAUTI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA PISTORIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3565/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza non definitiva n. 1361/2018, il Tribunale di Pavia, adito da R.P. con un ricorso per cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario da lui contratto con M.N., accolse tale richiesta, contestualmente dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale della M. volta ad ottenere l’annullamento, per vizio del consenso, dell’accordo di separazione consensuale tra essi precedentemente sottoscritto ed omologato dal medesimo tribunale il 13 giugno 2016, e disponendo, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio in relazione alle altre domande ivi formulate.

1.1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 26 agosto 2019, n. 3565, ha respinto il gravame promosso dalla M. contro quella decisione, assumendo che: i) “l’art. 40 c.p.c. consente la trattazione simultanea di domande da trattarsi con riti diversi solo se vi sia tra le stesse un rapporto di connessione qualificata, secondo quanto ivi indicato; nel caso in esame, la domanda di divorzio e la domanda di annullamento di un accordo di separazione per dedotti vizi della volontà di una delle parti sono del tutto autonome tra loro, in quanto hanno causa petendi e petitum del tutto diversi; la prima, da trattarsi con rito speciale perché camerale in appello, attiene allo scioglimento del vincolo matrimoniale e presuppone la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 3 L. Div.; la seconda, da trattarsi secondo il rito ordinario, riguarda eventuali vizi della volontà di una o più parti nel momento della stipulazione di accordi aventi natura contrattuale; la sola connessione soggettiva non può consentire la trattazione congiunta nell’ambito di un giudizio speciale, quale quello di divorzio, di cause del tutto autonome; la legge processuale consente la trattazione nel giudizio di divorzio solo dell’eccezione relativa ad eventuale intervenuta riconciliazione che abbia interrotto la separazione”; ii) “non può condividersi l’opinione dell’appellante che richiama a sostegno delle proprie domande il principio di economia processuale, posto che la trattazione nel giudizio di divorzio di domande non connesse secondo le previsioni dell’art. 40 c.p.c. ritarderebbe notevolmente l’attuazione del diritto dei coniugi, favorito nella legislazione italiana con la previsione di pronuncia parziale sullo status, ad ottenere in tempi ragionevoli una pronuncia di divorzio, in presenza dei presupposti di legge”.

2. Per la cassazione di questa sentenza ricorre la M., affidandosi ad un motivo, cui resiste, con controricorso, il R.. Risultano depositate memorie ex art. 380-bis c.p.c. di entrambe le parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva pregiudizialmente il Collegio che la documentazione (sentenza del Tribunale di Pavia del 25 marzo 2021, n. 396) allegata da entrambe le parti alle rispettive memorie ex art. 380-bis c.p.c. esula dal perimetro di quella di cui è ammesso l’ulteriore deposito ai sensi dell’art. 372 c.p.c., sicché non se ne terrà conto ai fini della decisione.

2. Il formulato motivo, rubricato “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3640 c.p.c., in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 3 e art. 4, comma 12”, ascrive alla corte distrettuale di aver escluso, erroneamente, la possibilità di trattazione congiunta delle domande di divorzio e di annullamento della separazione consensuale per vizio della volontà in ragione della ritenuta assenza di connessione qualificata tra le stesse. Al contrario, una siffatta connessione si sarebbe dovuta ritenere esistente posto che “il giudice adito in sede di divorzio ha l’espresso compito di verificare, innanzi tutto, la sussistenza di tutti i presupposti per una pronuncia di cessazione degli effetti civili/scioglimento del matrimonio, tra i quali compare certamente la condizione di separazione legale tra le parti e l’assenza di riconciliazione”. Del resto, la giurisprudenza di legittimità, sebbene relativamente alla distinta problematica della sospensione del processo di divorzio, ex art. 295 c.p.c., in pendenza di una separata domanda di annullamento dell’accordo separativo per vizi della volontà, ha già riconosciuto che “la pendenza di un giudizio sulla validità dell’accordo di separazione pregiudica, in senso tecnico giuridico, l’esito del giudizio di divorzio, atteso che l’eventuale annullamento di quell’accordo comporterebbe il venir meno, ex tunc, del corrispondente presupposto del divorzio” (cfr. Cass. n. 25861 del 2014).

2. La descritta censura – in ordine alla quale va pregiudizialmente disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente, ex art. 360-bis c.p.c., n. 1 (stante l’insussistenza del corrispondente presupposto), e per asserita sua assoluta indeterminatezza (le argomentazioni del motivo consentono agevolmente di individuarne la questione giuridica posta all’attenzione di questa Corte) – si rivela fondata alla stregua delle considerazioni di cui appresso.

2.1. E’ utile premettere che, mentre il procedimento avente ad oggetto la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario si svolge secondo il rito speciale descritto dalla L. n. 898 del 1970, art. 4, il giudizio volto ad ottenere l’annullamento, per vizio del consenso, dell’accordo di separazione consensuale precedentemente sottoscritto tra i coniugi ed omologato dal tribunale, è sottoposto, innegabilmente, alle forme del rito ordinario.

2.1.1. Infatti, nel delineare la natura giuridica del provvedimento di omologazione della separazione personale, questa Corte ha rimarcato la distinzione fra gli aspetti di natura negoziale sottesi alla separazione consensuale e quelli propri del decreto previsto dall’art. 158 c.c., precisando che la separazione trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del tribunale e che la successiva omologazione è unicamente diretta ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo di separazione, assumendo la funzione di condizione sospensiva della produzione degli effetti delle pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un negozio giuridico perfetto ed autonomo (cfr. Cass. n. 26202 del 2013, in motivazione; Cass. n. 17607 del 2003). E’ stato invero rilevato che l’accordo tra i coniugi costituisce l’elemento fondante della condizione di coniugi separati e del regolamento dei loro rapporti, mentre il provvedimento di omologazione svolge la funzione di controllare la compatibilità della convenzione rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché di compiere la più pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative all’affidamento ed al mantenimento dei minori al loro interesse, e quindi di imprimere efficacia giuridica all’accordo stesso (cfr. Cass. n. 26202 del 2013, in motivazione; Cass. n. 9287 del 1997). La sostanziale differenza, di natura ontologica e funzionale, fra l’atto in cui si realizza il consenso prestato dai coniugi in merito all’accordo di separazione, avente, secondo il prevalente orientamento della dottrina e della giurisprudenza, natura negoziale, ancorché non contrattuale, ed il decreto di omologazione, che con il primo non è legato da un rapporto immediato e diretto, non investendo l’accordo in sé e non svolgendo una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti, si riflette pure, comportando diverse soluzioni, sulla loro impugnabilità. Per quanto qui di interesse, all’accordo di separazione la giurisprudenza di legittimità ritiene applicabile in via estensiva la normativa sull’annullamento dei contratti per vizi del consenso (cfr. Cass. n. 26202 del 2013; Cass. n. 7450 del 2008; Cass., n. 24321 del 2007; Cass. n. 17902 del 2004. Sulla non assoggettabilità del provvedimento di omologa al ricorso straordinario ex art. 111 Cost., si veda, invece, Cass. n. 26202 del 2013).

2.2. La questione posta oggi all’attenzione di questa Corte è se vi possa essere un simultaneus processus tra la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio introdotta dal R. con il proprio ricorso della L. n. 898 del 1970, ex art. 4, e quella volta ad ottenere l’annullamento, per vizio del consenso, dell’accordo di separazione consensuale precedentemente sottoscritto tra i coniugi ed omologato dal tribunale, proposta in via riconvenzionale, in quel giudizio, dalla M..

2.2.1. Il cumulo delle domande predette, assoggettate a riti diversi, determinato dalla proposizione della riconvenzionale dell’odierna ricorrente, impone, allora, di fare riferimento all’art. 40 c.p.c., comma 3, il quale, nel testo novellato dalla L. n. 353 del 1990, consente il cumulo nello stesso processo di domande soggette a riti diversi esclusivamente in presenza di ipotesi qualificate di connessione cd. “per subordinaione” o “forte”.

2.2.2. In questa categoria rientrano, senza dubbio, le figure disciplinate dagli arti. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., cui l’art. 40, comma 3, predetto fa espresso rinvio, vale a dire le forme cd. forti di collegamento fra cause, per le quali l’esigenza di scongiurare conflitti fra accertamenti particolarmente gravi spinge l’ordinamento a favorire la realizzazione del processo simultaneo (le principali figure di subordinazione sono costituite dal nesso di pregiudizialità-dipendenza e dal nesso di incompatibilità fra rapporti sostanziali; peraltro, nella categoria generale della subordinazione, secondo parte della dottrina, possono essere ricondotte tutte le figure di collegamento fra rapporti giuridici che siano in grado di condurre ad episodi di conflitti logici o pratici di giudicati). Sono da ricondursi, invece, alla diversa categoria della connessione cd. “per coordinazione” tutte le forme “deboli” di collegamento fra cause, rispetto alle quali l’accertamento uniforme risponde essenzialmente ad esigenze di economia processuale (rientrano in questa seconda categoria la connessione per identità anche parziale del fatto costitutivo e la connessione per identità di questioni da risolvere. Anche in tali ipotesi, è indubbiamente rinvenibile un interesse dell’ordinamento al coordinamento delle decisioni aventi ad oggetto controversie con elementi comuni, onde evitare “conflitti tra motivazioni”; si tratta, tuttavia, di un’esigenza che può essere derogata, nel caso concreto, nel bilanciamento con altre esigenze, quale, ad esempio, quella di celerità dei procedimenti).

2.2.3. Quanto alle fattispecie di domande caratterizzate da connessione cd. “per subordinazione” o “forte”, l’art. 40 c.p.c., comma 3, stabilisce che le stesse, cumulativamente proposte o successivamente riunite, devono essere trattate secondo il rito ordinario, salva l’applicazione del rito speciale qualora una di esse riguardi una controversia di lavoro o previdenziale. La medesima disposizione, dunque, esclude la possibilità di proporre più domande connesse solo soggettivamente ai sensi dell’art. 33 c.p.c. o dell’art. 103 c.p.c., e soggette a riti diversi (cfr. Cass. n. 18870 del 2014; Cass. n. 20638 del 2004).

2.2.4. Nella specie, pertanto, occorre valutare se tra le descritte domande del R. e della M., pacificamente soggette a riti diversi, sussista soltanto una connessione meramente soggettiva riconducibile alla previsione dell’art. 33 c.p.c. – trattandosi di cause tra le stesse parti ma aventi tra loro causa petendi e petitum del tutto diversi, come opinato dalla corte distrettuale (ed ancor prima dal tribunale) oppure se sia configurabile tra le medesime una

connessione “per subordinazione” o “forte”, rendendo così applicabile, diversamente dalla prima ipotesi, l’art. 40 c.p.c., comma 3.

2.3. Orbene, costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità che non è consentita la trattazione unitaria, in un unico procedimento, della domanda di divorzio (soggetta a rito camerale) e di scioglimento della comunione e divisione dei beni (soggetta al rito ordinario), trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione ma autonome e distinte l’una dall’altra (Efr. Cass. n. 6424 del 2017; Cass. n. 26158 del 2006; Cass. n. 10356 del 2005). Questo filone interpretativo si riferisce, evidentemente, all’ipotesi di cumulo di domande delle quali una investe lo status, mentre l’altra riguarda le sole pretese economiche ricollegabili al venir meno dello stesso.

2.3.1. Non vi è chi non veda, però, come la fattispecie oggi in esame riguardi due domande legate tra loro da un chiaro rapporto di pregiudizialità tecnico giuridica: vale a dire quella pregiudizialità che non riguarda la mera coincidenza del petitum e/o della causa petendi ma è determinata da una relazione tra rapporti giuridici sostanziali distinti ed autonomi, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell’altro (dipendente), in modo tale che la decisione sul primo rapporto si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione del secondo (Dott.. Cass. n. 8174 del 2006. In senso sostanzialmente conforme, peraltro si vedano pure, ex multis, Cass. n. 12999 del 2019, in motivazione; Cass. n. 4183 del 2016).

2.3.2. Infatti, presupposto della declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio e’, giusta la L. n. 898 del 1970, art. 3, n. 2), lett. b) (nel testo, qui applicabile ratione ternportis, modificato, da ultimo dalla L. n. 55 del 2015, art. 1), che vi sia stata separazione, giudiziale o consensuale omologata, dei coniugi protrattasi per almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale di stato civile.

2.3.3. Ove, quindi, si tratti, come nell’odierna vicenda, di separazione consensuale, la controversia sulla validità dell’accordo di separazione addirittura pregiudica, in senso tecnico-giuridico, l’esito del giudizio di divorzio, atteso che l’eventuale annullamento di quell’accordo comporterebbe il venir meno, ex tunc, del corrispondente presupposto del divorzio (cfr. Cass. n. 25861 del 2014, benché resa in tema di sospensione del processo di divorzio, ex art. 295 c.p.c., in pendenza di una separata domanda di annullamento dell’accordo separativo per vizi della volontà), sicché deve ritenersi configurabile tra quelle due domande una situazione di connessione “per subordinazione” o “forte” (atteso il palese nesso di pregiudizialità che lega quelle domande), rendendo così certamente applicabile l’art. 40 c.p.c., comma 3, e salva ogni diversa determinazione del giudice di merito in ordine all’adozione di un eventuale provvedimento di sospensione, ex art. 295 c.p.c., della domanda (pregiudicata) di divorzio in attesa della definizione di quella (pregiudicante) sul richiesto annullamento dell’accordo di separazione.

3. Il ricorso, dunque, va accolto, e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

4. Va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021

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