Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2270 del 30/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 30/01/2017, (ud. 17/11/2016, dep.30/01/2017),  n. 2270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15957/2015 R.G. proposto da:

D.R. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di D.M.M.);

B.A. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di Bo.An., a sua

volta quale erede di D.M.T.);

F.A.L. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di

F.G.);

F.P. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di Fa.Ma. e

G.G.);

I.G. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di

L.C.C.);

L.P.R. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di L.P.A.);

E.C. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di E.G.);

P.A. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di

P.F.);

P.S. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di

P.F.);

R.G. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede di S.R.);

+ ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente

domicilia;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

Avverso il decreto dei 17.11/19.12.2014 della corte d’appello di

Caltanissetta;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 17

novembre 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Giovanni Romano per i ricorrenti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla corte d’appello di Caltanissetta depositato il 31.7.2012 i ricorrenti si dolevano per l’eccessiva durata della procedura fallimentare della s.r.l. “(OMISSIS)”, al cui passivo avevano domandato ed ottenuto l’ammissione.

Deducevano in particolare che il fallimento era stato dichiarato dal tribunale di Trapani con sentenza del 24.10.1991 e non era stato ancora chiuso alla data della proposizione del ricorso ex lege n. 89/2001; che a seguito di ricorso esperito l’1.2.2007 avevano già conseguito, ciascuno, a seguito di pronunce di questa Corte di legittimità, l’indennizzo per l'”irragionevole” durata della procedura “presupposta”, quale protrattasi sino alla data di deposito della pregressa istanza.

Chiedevano che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrisponder loro a ristoro dei danni subiti per l'”irragionevole” durata del fallimento -presupposto” successiva all’1.2.2007 un equo indennizzo indicato, per ciascuno di essi, in misura pari ad Euro 5.500,00 ovvero nella diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia; con il favore delle spese da attribuirsi ai difensori anticipatari.

Resisteva il Ministero della Giustizia.

Deduceva che il riconoscimento dell’ulteriore indennizzo avrebbe comportato l’attribuzione ai ricorrenti di un valore patrimoniale superiore a quello azionato nel giudizio presupposto.

Con decreto dei 17.11/19.12.2014 la corte d’appello di Caltanissetta

condannava il Ministero resistente a pagare a B.G. (nata il (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

condannava il Ministero resistente a pagare a S.R. (quale erede di A.G.) per l’ulteriore periodo di “irragionevole” durata la somma di Euro 2.083,33;

rigettava la domanda proposta da D.R., quale erede di D.M.M., da Bo.An., quale erede di D.M.T., da F.A.L., quale erede di F.G., da F.P., quale erede di Fa.Ma. e G.G., da I.G., quale erede di L.C.C., da L.P.R., quale erede di L.P.A., da E.C., quale erede di E.G., da P.A. e S., quali eredi di P.F., da R.G., quale erede di S.R.;

condannava il Ministero a pagare ai ricorrenti non soccombenti le spese di lite con distrazione in favore dei difensori anticipatari, compensava integralmente le spese di lite tra il Ministero e i ricorrenti soccombenti.

Esplicitava la corte che pur per il periodo compreso tra l’1.2.2007 ed il 31.7.2012 la durata, pari a 5 anni e 6 mesi, della procedura “presupposta” doveva addebitarsi all'”apparato – giustizia” e che l’indennizzo poteva quantificarsi in Euro 500,00, per ogni anno di ritardo.

Esplicitava altresì che i ricorrenti che avevano agito in qualità di eredi di creditori ammessi al passivo, non avevano assunto la qualità di parte nella procedura fallimentare “presupposta”, sicchè erano legittimati esclusivamente iure hereditatis e pro quota, limitatamente al periodo di pendenza della procedura fallimentare “presupposta” protrattasi fino al decesso del rispettivo de cuius.

Esplicitava inoltre, relativamente ad A.G., deceduta in data 3.4.2011, che l’ulteriore periodo di “irragionevole” durata si specificava in 4 anni e 2 mesi, sicchè l’indennizzo spettante all’erede, S.R., era pari ad Euro 2.083,33.

Esplicitava ancora che i creditori ammessi al passivo D.M.M., D.M.T., F.G., Fa.Ma., G.G., L.C.C., L.P.A., E.G. e P.F. erano deceduti in epoca antecedente all’1.2.2007, data di deposito del precedente ricorso ex L. n. 89 del 2001, sicchè nessun pregiudizio avevano subito in dipendenza della protrazione della procedura fallimentare “presupposta” oltre tale data e nulla era dovuto ai loro eredi a tale titolo.

Avverso tale decreto hanno proposto ricorso sulla scorta di due motivi i ricorrenti indicati in epigrafe; hanno chiesto che questa Corte ne disponga la cassazione e decida nel merito con condanna del Ministero alle spese e del primo giudizio e del giudizio di legittimità, da distrarsi in favore dell’avvocato Giovanni Romano.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato in un unico motivo; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso ed accogliersi il ricorso incidentale; in ogni caso con il favore delle spese.

I ricorrenti principali hanno depositato controricorso onde resistere all’avverso ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 2, nonchè dei principi giurisprudenziali elaborati dalla Corte E.D.U..

Deducono che “in via del tutto apodittica ed in violazione del giudicato esterno (certamente vincolante per la decisione da assumere sulla riproposizione della domanda di equa riparazione)” (così ricorso principale. pag. 20) la corte ha liquidato la somma di Euro 500,00 per ogni anno di irragionevole durata.

Deducono che in ogni caso la quantificazione dell’indennizzo, quale operata dalla corte di merito, non si conforma nè ai parametri individuati dalla giurisprudenza di legittimità, che li ha indicati in Euro 750,00 per i primi tre anni di irragionevole durata ed in Euro 1.000,00 per gli anni successivi, nè ai parametri individuati dalla giurisprudenza della Corte E.D.U..

Con il secondo motivo i ricorrenti principali denunciano in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 2, nonchè dei principi giurisprudenziali elaborati dalla Corte E.D.U..

Deducono che alla morte dei creditori D.M.M., D.M.T., F.G., Fa.Ma., G.G., L.C.C., L.P.A., E.G., P.F., S.R. ed G.A., ammessi al passivo del fallimento “presupposto”, i rispettivi eredi non erano – tenuti a costituirsi nella procedura fallimentare, dovendo soltanto attendere le eventuali distribuzioni del ricavato predisposte dal curatore fallimentare con i vari piani di riparto parziali” (così ricorso principale, pag. 31); che d’altra parte gli eredi dei creditori chirografari hanno un preciso interesse affinchè la procedura fallimentare si risolva in tempi ragionevoli, in quanto è loro interesse recuperare, nel più breve tempo possibile, le somme di denaro” (così ricorso principale, pag. 31).

Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2.

Deduce che in dipendenza della tutela indennitaria già precedentemente accordata decorre ex novo un ulteriore periodo di durata ragionevole; che pertanto nel periodo di durata ragionevole, da computare ex novo e pari, per una procedura di media complessità, a sei anni, restava ricompreso il periodo ulteriore di durata – pari a cinque anni e quattro mesi – ritenuto “irragionevole” dalla corte distrettuale; che quindi la richiesta indennitaria andava respinta.

Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale sono, limitatamente a taluni significativi profili, strettamente connessi.

Se ne giustifica perciò la disamina contestuale.

Ambedue i motivi comunque non meritano seguito.

Si rappresenta in primo luogo che non vi è violazione del giudicato esterno.

Ed invero questa Corte spiega che il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.) – che, quale riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), fa stato ad ogni effetto tra le parti per l’accertamento di merito positivo o negativo del diritto controverso – si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto che rappresentano le premesse necessarie ed il fondamento logico e giuridico della pronuncia, con effetto preclusivo dell’esame degli stessi elementi in un successivo giudizio, che abbia identici elementi costitutivi della relativa azione e cioè i soggetti, la causa petendi ed il petitum (cfr. Cass. sez. lav. 2.3.1998, n. 2217; Cass. sez. un. 14.6.1995, n. 6689; Cass. sez. lav. 17.6.2003, n. 9685).

E spiega ulteriormente che la riferita preclusione non sussiste con riguardo alla domanda risarcitoria che, pur fondata su causa petendi già dedotta in precedente giudizio fra le stesse parti (nella specie, illegittimità delle opere eseguite dal proprietario del piano sovrastante in edificio condominiale), sia rivolta a conseguire il ristoro di un danno autonomo e distinto (nella specie in quanto afferente a locali diversi da quelli per il cui danneggiamento si era in precedenza agito) (cfr. Cass. 23.4.1977, n. 1529).

In questi termini è agevole argomentare che diversa è l’azione esperita in data 1.2.2007 rispetto all’azione esperita in data 31.7.2012, siccome differente è il petitum dell’una e dell’altra domanda.

Propriamente con l’azione dapprima esercitata si è invocato il ristoro (petitum) del paterna d’animo sofferto per l’irragionevole durata della procedura fallimentare -presupposta” quale protrattasi sino al 31.1.2007, con l’azione dipoi introdotta – da cui è scaturito il presente ricorso per cassazione – si è invocato il ristoro (petitum) del “danno da irragionevole durata a partire dalla data di proposizione della prima domanda ex L. n. 89 del 2001 (01.02.2007) fino alla data di presentazione del presente ricorso” (così ricorso principale. pag. 7).

Evidentemente nei medesimi surriferiti termini neppure possono esser recepiti gli assunti dei ricorrenti principali secondo cui la corte territoriale, “nel momento in cui è stata chiamata a pronunciarsi relativamente alla seconda domanda di equa riparazione (in considerazione del fatto che la vicenda fallimentare sotto accusa risultava ancora pendente), avrebbe dovuto pronunciarsi in favore di tutti quei soggetti che avevano avuto già un giudicato favorevole” (così ricorso principale, pag. 26) e secondo cui “emerge la palese violazione dell’art. 2909 c.c., dal momento che (…) il giudice avrebbe dovuto attenersi al precedente giudicato reso tra le parti, essendo ad esso vincolato” (così ricorso principale, pag. 27).

Si rappresenta in secondo luogo che questa Corte ha chiarito che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può, tuttavia, apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli (cfr. Cass. 28.5.2012, n. 8471; Cass. 30.7.2010, n. 17922).

In tal guisa la liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella ordinariamente applicata dalla Corte E.D.U. non costituisce, a rigore, violazione di legge ed, al più, può integrare vizio della motivazione (cfr. Cass. 7.11.2011, n. 23029).

Conseguentemente la denuncia altresì veicolata dal primo motivo riveste valenza in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ben vero nella formulazione applicabile ratione temporis, ossia in rapporto alla formulazione scaturita dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Rileva dunque l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte di legittimità (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

Ovvero l’insegnamento secondo cui, da un canto, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, dall’altro, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Su tale scorta si rappresenta ulteriormente quanto segue.

Per un verso, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di Caltanissetta ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte d’appello ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito (“così determinato in considerazione del fatto che gli stessi ricorrenti hanno già ottenuto un risarcimento per la durata del giudizio presupposto in esame”: così decreto impugnato, pag. 6) con motivazione in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congrua e coerente sul piano logico – formale.

E ciò tanto più giacchè la corte di merito ha da decidere con decreto, sicchè ben può la motivazione assumere caratteri di sommarietà a condizione che si riescano ad individuare – siccome nel caso in esame – almeno per grandi linee ed anche dall’insieme delle indicazioni espresse nel provvedimento, i fondamentali elementi di giudizio sui quali la decisione è basata (cfr. in tal senso Cass. 18.2.2013, n. 3934).

Per altro verso, che la corte distrettuale ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa (ovvero l’asserito sofferto paterna d’animo correlato alla pretesa “irragionevole” durata del fallimento “presupposto” per il periodo decorrente dall’1.2.2007).

D’altra parte questo Giudice del diritto ha chiarito che legittimamente il giudice di merito può discostarsi dai parametri indennitari C.E.D.U. qualora accerti la modestia della “posta in gioco” sia per il valore della causa, sia per la natura collettiva del ricorso, che può indurre – siccome, appunto, nella fattispecie – ad una minore personalizzazione della controversia e, di conseguenza, ad una minore sofferenza per il suo prolungarsi (cfr. Cass. 12.7.20112, n. 15268).

Si rappresenta in terzo luogo che sia in relazione all’abrogato disposto della L. Fall., art. 115, sia in relazione al disposto della L. Fall., art. 115, quale riformulato a seguito della “riforma” fallimentare è da escludere certamente che l’erede del debitore ammesso al passivo dovesse e debba proporre domanda tardiva di insinuazione al passivo.

Ciò nondimeno è indispensabile affinchè l’erede possa a pieno titolo esser considerato parte della procedura fallimentare ed eventualmente “soffrire” iure proprio per la sua – irragionevole – protrazione che fornisca all’ufficio fallimentare formale riscontro di tale sua qualità merce allegazione di documentazione idonea a tale scopo, propriamente, siccome si è ritenuto in dottrina, merce allegazione della denuncia di successione ove è specifica menzione del credito concorsuale/concorrente del de cuius.

Ebbene nel caso di specie in nessun modo risulta che D.R., B.A. (e prima ancora Bo.An.), F.A.L., F.P., I.G., L.P.R., E.C., P.A. e S., R.G. e R.S. abbiano dato conto all’ufficio della procedura fallimentare “presupposta” nelle forme summenzionate della loro qualità di eredi dei rispettivi de cuius.

Anzi, in verità, non vi è stata – ancor prima – neppure deduzione in tal senso, giacchè i ricorrenti principali si sono limitati a riferire testualmente: – parti ricorrenti, infatti, pur non essendo materialmente costituite nella procedura fallimentare (…)” (così ricorso principale. pag. 30).

In tal guisa vanno senza dubbio condivise le affermazioni della corte territoriale (“i ricorrenti che agiscono nella qualità di eredi del creditore ammesso al passivo (…) hanno legittimazione iure hereditatis soltanto per il periodo di durata del procedimento fino alla morte del de cuius”).

Immeritevole di seguito è pur il ricorso incidentale.

Si rappresenta al riguardo che, al di là del rilievo per cui i ricorrenti principali hanno legittimamente inteso esperire due diverse domande di equa riparazione in relazione a frazioni cronologiche distinte della procedura fallimentare “presupposta” (possibilità per nulla preclusa, giacchè la fattispecie, ratione temporis, non intercetta il disposto dell’art. 4 – “la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva” – della L. n. 89 del 2001), il fallimento “presupposto” tuttavia non può che essere considerato unitariamente.

Cosicchè per nulla può esser condivisa la prospettazione del Ministero controricorrente “del decorso ex novo di nuovo termine di durata ragionevole in caso di intervento di tutela indennitaria in corso di procedura” (così controricorso, pag. 31).

Si giustifica in dipendenza del rigetto e del ricorso principale e del rigetto del ricorso incidentale e dunque in dipendenza della reciproca soccombenza l’integrale compensazione delle spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013) (dr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2017

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