Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22698 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 11/09/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 11/09/2019), n.22698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Civitillo Bar Tabacchi Snc di I.A.M. e M.C., in

persona del legale rappresentante pro tempore, con i soci

M.C. e M.G., rappresentati e difesi, giusta procura

speciale stesa su atto separato allegato al ricorso, dagli Avv.ti

Antonio Comella e Carla Comella, i quali hanno indicato recapito

PEC, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio alla via

Fulvio Renella n. 32 in Caserta;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2965, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Napoli il 16.03.2015 e pubblicata il 25.03.2015;

letta la memoria depositata dalla ricorrente Snc Civitillo;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Dott. Di Marzio Paolo;

la Corte osserva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Civitillo Bar Tabacchi Snc ed i suoi due soci, M.G. e M.C., ricevevano separati avvisi di accertamento, relativi ad Iva, Irap ed Irpef, avendo l’Agenzia delle Entrate ritenuto dimostrato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, un maggior reddito d’impresa conseguito dalla società nell’anno 2007, nella misura “di Euro 324.540,00, recuperando a tassazione ricavi, non dichiarati e non contabilizzati, pari ad Euro 171.184,00” corrispondenti “al disavanzo di cassa di massimo scoperto giornaliero rilevato dalle scritture contabili” (sent. CTR, p. 1).

Gli avvisi di accertamento erano separatamente impugnati dai verificati, soci e società, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, che procedeva a riunire i ricorsi. La CTP accoglieva l’impugnativa affermando che, a fronte dell’anomalia evidenziata dall’Ufficio finanziario, e costituita dal “saldo negativo di cassa”, i ricorrenti avevano controdedotto con valide argomentazioni, evidenziando di essere stati beneficiari di un finanziamento da parte della Regione Campania, che era stato poi revocato, con la conseguenza che i soci erano stati costretti a ripianare con fondi propri la cassa dell’impresa.

La decisione assunta dalla CTP era impugnata innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania dall’Agenzia delle Entrate, la quale insisteva sul rilievo indiziario della percezione di un reddito non dichiarato da parte della società, dipendente dal prolungato saldo negativo di cassa. I contribuenti replicavano che l’anomalia dipendeva dalla “difficoltà di contabilizzare apporti di capitale personale dei soci a seguito della vicenda del finanziamento prima concesso e poi revocato dalla Regione” (sent. CTR., p. 1), e comunque la dichiarazione dei redditi presentata dalla società risultava in linea con gli studi di settore. La CTR accoglieva il ricorso proposto dall’Ente impositore ed osservava, fondando anche su pronunce della Suprema Corte, che “se il mastro di cassa presenta un saldo negativo, vuol dire che è uscito più denaro di quanto ne sia entrato, il che è possibile solo se non siano stati registrati tutti gli incassi… una volta riscontrata tale anomalia contabile l’onere della prova si inverte” (sent. CTR, p. 2), ed i contribuenti non avevano fornito la prova di cui pure erano onerati. Evidenziava la CTR che i contribuenti affermavano, invero, di avere incontrato difficoltà di contabilizzazione dei versamenti operati dai soci, ma non chiarivano quale fosse l’ostacolo incontrato nel far emergere in contabilità l’operazione di finanziamento da parte dei soci. Inoltre, soci e società non avevano fornito la prova di come si fosse provveduto ad effettuare i pagamenti registrati in contabilità, nel mentre che il saldo di cassa risultava negativo. Il giudice dell’appello negava quindi rilievo al dato costituito dalla affermata coerenza del reddito conseguito con le risultanze degli studi di settore.

Avverso la decisione assunta dalla CTR della Campania hanno proposto ricorso per cassazione la società ed i soci, affidandosi ad un articolato motivo di ricorso. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. La ricorrente società ha pure depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Gli impugnanti contestano, con il loro articolato motivo di ricorso, che indicano di proporre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), nonchè dell’art. 2729 c.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, per avere la impugnata CTR erroneamente ritenuto che sussistessero le condizioni per l’operare dell’inversione dell’onere della prova; diversamente, la ricorrenza dei presupposti di legge per la sua applicabilità non risultava dimostrata, e dipendeva soltanto da un “errore nella ricognizione degli atti di causa tra i quali risultano allegati gli estremi di prova documentali prodotti dalla ricorrente” (ric., p. 3).

2.1. – Mediante il loro motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano, in relazione al profilo della violazione di legge, l’erronea valutazione operata dalla CTR, che ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’inversione dell’onere della prova, in presenza di anomalie contabili che essi hanno però provveduto a chiarire adeguatamente. Mediante la memoria depositata, poi, la società ha domandato di tener conto delle censure proposte anche in relazione al profilo del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5

Il motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità, ed appare comunque infondato. Innanzitutto occorre osservare che i ricorrenti non hanno provveduto a riportare in premessa un’adeguata esposizione sommaria dei fatti di causa, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, cui dedicano poche righe. Gli sviluppi della vicenda processuale possono quindi essere conosciuti dal giudice di legittimità soltanto in conseguenza dell’esame della decisione impugnata, del controricorso, e pure dai riferimenti operati dai ricorrenti, ma non nella sede propria, bensì nell’ambito della parte descrittiva del proprio motivo d’impugnazione.

In ogni caso, i contribuenti affermano che non sussistessero gli elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, che avrebbero permesso di ritenere operante l’inversione dell’onere della prova. La società era stata ammessa al finanziamento dei lavori di ammodernamento dell’esercizio commerciale dalla Regione Campania, nella misura di Euro 81.066,59, rispetto all’importo complessivo delle opere, previsto in Euro 129.829,94. Dopo aver erogato una prima parte dei fondi, però, la Regione ha poi revocato l’intero finanziamento. I soci, in date 11.9.2007 e 23.10.2007 provvedevano allora al finanziamento della società utilizzando proprie disponibilità finanziarie, e con le somme conferite si facevi fronte alle spese di ammodernamento. Tuttavia gli importi di tali accreditamenti non venivano registrati, ed è per questo che si verificava un disavanzo di cassa. La CTR ha quindi erroneamente sottolineato che questi argomenti sono stati proposti soltanto in sede contenziosa, mentre il giudizio è stato, in realtà, il primo luogo in cui hanno avuto occasione di proporre le proprie difese, interloquendo con l’Amministrazione finanziaria. Lamentano ancora i ricorrenti che, secondo la CTR, loro non sarebbero risultati in grado di chiarire adeguatamente le ragioni della mancata contabilizzazione dei versamenti effettuati dai soci in favore della società, ma deve piuttosto sottolinearsi che il solo elemento contestato è il saldo negativo di cassa, ed in proposito “l’effettività… del finanziamento dei soci, a mezzo banca, è un dato oggettivo che prescinde dalle ragioni della sua mancata annotazione nell’attivo del conto cassa” (ric., p. 5). In ordine alla pretesa inconferenza della prova difensiva offerta, poi, la CTR ha ritenuto che dovesse provvedersi a dimostrare la “situazione patrimoniale dei soci” (ric., p. 7), ma questo argomento non poteva dedursi dall’avviso di accertamento. La prova da loro fornita, pertanto, non è risultata inattendibile e neppure inconferente.

Nonostante il ripetuto richiamo agli argomenti proposti nella sua pronuncia dalla CTR impugnata, i ricorrenti non colgono le ragioni della decisione, non la contestano adeguatamente, e si limitano a riproporre la propria prospettazione.

La CTR ha innanzitutto ritenuti integrati i presupposti perchè l’Amministrazione finanziaria procedesse ad una verifica induttiva del reddito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, perchè, in presenza di un prolungato saldo negativo di cassa, l’impresa aveva continuato ad effettuare pagamenti, come risultava dalle sue scritture contabili. Questo elemento appare effettivamente decisivo, e la valutazione operata dalla CTR non può che condividersi. Questa Corte di legittimità, come del resto segnalato pure dal giudice impugnato, ha già più volte avuto modo di chiarire che “in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini IRPEG ed ILOR, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo”, Cass. sez. V, 25.10.2017, n. 25289, Cass. sez. V, 31.5.2011, n. 11988, Cass. sez. V, 20.11.2008, n. 27585. Si tratta di un orientamento assolutamente condivisibile che merita perciò di essere confermato. Se il saldo di cassa è negativo, e sono effettuati pagamenti, deve desumersene che: o i pagamenti sono stati effettuati mediante redditi conseguiti ma non contabilizzati, oppure ci troviamo in presenza di un errore contabile. In ogni caso, in presenza di un’anomalia di così rilevante entità, risultando spesi soldi che però non erano registrati come presenti nella contabilità della cassa, deve ritenersi sussistano gli elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, che consentono all’Amministrazione finanziaria di ricorrere all’accertamento induttivo, e ne consegue l’inversione dell’onere della prova, il quale deve essere pertanto posto a carico del contribuente. L’ipotesi dell’errore contabile è stata vagliata dalla CTR che ha esaminato le deduzioni sul punto proposte dagli impugnanti, i quali hanno affermato di avere incontrato “difficoltà” nel contabilizzare i finanziamenti assicurati dai soci per eliminare il disavanzo di cassa della società, e le ha ritenute inattendibili. La CTR ha sottolineato che i ricorrenti non sono stati in grado di indicare neppure in che cosa siano consistite queste difficoltà. Nonostante la chiarezza dell’argomento, neanche in questa sede i ricorrenti hanno fornito alcun ragguaglio in merito.

I ricorrenti hanno pure contestato alla CTR di aver osservato che avevano proposto le proprie giustificazioni circa l’omessa contabilizzazione dei finanziamenti operati dai soci, peraltro stimate inattendibili, solo in sede contenziosa, mentre questa sede è risultata la prima utile, non avendo l’Amministrazione istaurato un contraddittorio predibattimentale. L’Ente finanziario ha replicato in controricorso che i contribuenti avrebbero potuto avvalersi dell’istituto dell’accertamento con adesione, cui erano stati invitati. La questione risulta comunque irrilevante, tenuto conto che neppure i ricorrenti affermano che l’istituzione del contraddittorio predibattimentale fosse dovuta nel caso di specie.

Quindi la CTR, con periodare non sempre felice, ma ben comprensibile, ha osservato che, in presenza di un saldo di cassa negativo, i contribuenti avrebbero dovuto dimostrare donde fossero state tratte le somme utilizzate dalla società per effettuare pagamenti, che pure risultavano onorati nei documenti contabili. Ha ritenuto il giudice dell’appello che neppure questa prova sia stata fornita dagli odierni ricorrenti, che pure erano tenuti a provvedervi, e neppure in questa sede hanno chiarito come l’avrebbero fornita. Si osservi che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, il disavanzo di cassa è stato ripianato dai soci con versamenti dell’11 settembre e 23 novembre del 2007 (ma nella memoria depositata dalla società si legge che questo secondo finanziamento sarebbe stato accreditato l’11.10.2007). Anche a volere, per ipotesi, seguire questa linea di ricostruzione, però, rimane il fatto che non è dato comprendere come la società abbia potuto effettuare pagamenti quando la sua cassa presentava un saldo negativo, e prima che i soci ripianassero il disavanzo. Nel suo controricorso, ad esempio, l’Agenzia evidenzia che già in data 20.6.2007 “è stato girocontato dal conto cassa l’importo di Euro 163.534,91, corrispondente al reddito d’impresa dichiarato nell’anno 2006 da imputare ai soci, pur avendo una capienza di cassa a quella data pari solamente a Euro 50.404,00” (controric., p. V), ed a questa affermazione i ricorrenti neppure hanno replicato nella loro memoria. Nemmeno può trascurarsi che in un giudizio di natura impugnatoria, quale è per eccellenza quello di legittimità, i ricorrenti avrebbero dovuto indicare specificamente la questione dell’avvenuto ripianamento della cassa mediante determinati versamenti effettuati dai soci in quali atti processuali sia stata proposta e come sia stata diligentemente coltivata, indicando pure le formule utilizzate e dove si rinvengano nel fascicolo dibattimentale le relative prove documentali, al fine di consentire a questa Corte il controllo che le compete circa la tempestività e congruità delle censure proposte, prima ancora di provvedere a stimare la decisività degli argomenti addotti. Evidentemente, a tal fine non è affatto sufficiente limitarsi a sostenere, come hanno fatto i ricorrenti, che “l’attività… del finanziamento dei soci, a mezzo banca, è un dato oggettivo”.

Il ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto dalla Civitillo Bar Tabacchi Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, da M.C. e M.G., e li condanna al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese di lite del presente giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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