Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22697 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/10/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 19/10/2020), n.22697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 25022/2012 RG proposto da:

Dalilauto s.n.c. di F.M. & C., F.M. e

V.V., tutti rappresentati e difesi dall’avv.to Tullio Elefante,

presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, alla Via

Cardinal de Luca n. 10, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

Avverso la decisione n. 62/12/2012 della Commissione Tributaria

regionale della Lombardia, depositata il 14/05/2012 e non

notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 novembre

2019 dal Consigliere Rosita D’Angiolella.

 

Fatto

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate emetteva avvisi di accertamento, per l’anno 2003, nei confronti della società Dalilauto s.n.c. di F.M. & C. e dei due soci, F.M. e V.V. (rispettivamente soci per il 95% e per il 5%), con il quale venivano recuperate a tassazione imposte ai fini Iva ed Irap oltre un maggior reddito di partecipazione da imputare ai soci; tale avviso scaturiva da una verifica della Guardia di finanza che, tra l’altro, vedeva coinvolte imprese cartiere che si erano interposte in operazioni intracomunitarie, senza applicazione di IVA, acquistando auto e rivendendole alla Dellilauto s.n.c., consentendo all’acquirente di portare il relativo importo in detrazione.

I destinatari degli avvisi proponevano separati ricorsi innanzi alla Commissione provinciale di Lodi, che, disposta la riunione dei procedimenti, li accoglieva parzialmente, confermando il rilievo erariale ai fini Iva ed annullandolo ai fini delle imposte sul reddito e rideterminando, di conseguenza, il reddito dei due soci. L’Amministrazione finanziaria proponeva appello avverso la sentenza di primo grado sulla statuizione riguardante la deducibilità del costo relativo alle fatture; l’appello veniva accolto con la sentenza di cui in epigrafe, che riformava integralmente la decisione di primo grado, dichiarando l’indeducibilità dei costi indicati dalla società per l’anno 2003.

Avverso tale sentenza ricorrono per Cassazione la società ed i due soci affidandosi a due motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione di legge ed in particolare della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma IV bis, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012, applicabile alla fattispecie quale ius superveniens, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che circoscrive l’ambito di indeducibilità dei costi, alle spese di beni e servizi direttamente utilizzate per il compimento di attività che configurano condotte delittuose non colpose.

Con il secondo motivo, deducono la violazione di legge ed in particolare della L. 24 dicembre 1993, n. 53, art. 14, comma IV bis e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, per aver i secondi giudici considerato la indeducibilità dei costi per il solo fatto della conoscenza della inesistenza soggettiva delle operazioni sottese alle fatture.

Entrambi i motivi, che si esaminano congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati.

La premessa da cui muove la Commissione regionale nella sentenza impugnata è che “non può condividersi il ragionamento dei primi giudici secondo i quali il costo per operazioni oggettivamente realizzate nel senso di operazioni commerciali effettivamente avvenute con la cessione del bene ed il pagamento del prezzo può essere detratto indipendentemente dalla regolarità delle fatture per inesistenza dei soggetti cedenti”. Osterebbe a tale ragionamento, la consapevolezza della società contribuente e dei suoi soci della falsità delle operazioni soggettivamente inesistenti, consapevolezza non solo acclarata con la sentenza della Commissione provinciale di Lodi, passata in giudicato (v. sentenza, pag. 4, primo cpv.) ma dimostrata dal comportamento della società e dei soci che per diversi anni hanno seguito il medesimo modus operandi (v. sentenza pag. 4, secondo cpv.). Nessun riferimento, dunque, è fatto all’applicabilità della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis ed alle modifiche intervenute, applicabili, quale ius superveniens alla fattispecie in esame.

La questione posta è agevolmente risolvibile alla luce degli esiti di questa Corte in tema di deducibilità dei costi e sull’efficacia retroattiva delle norme in parola.

Ed invero, in tema d’imposte dei redditi, questa Corte ha stabilito che “ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012), che opera in ragione della stessa disposizione, comma 3, quale “ius superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 1, (v. relazione ministeriale di accompagnamento al cit. D.L.), ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.” (cfr. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 17788 del 06/07/2018, Rv. 649801-01; Cass. n. 26461 del 2014, Rv. 633708-01).

La sentenza impugnata ha, dunque, fatto mal governo dello ius superveniens più favorevole al contribuente, escludendo che i costi potessero essere ammessi in deduzione, per il solo fatto che l’acquirente fosse consapevole della frode, senza considerare quanto disciplinato dalla normativa richiamata. Viceversa, la Commissione regionale, pur in presenza di operazioni inesistenti, avrebbe dovuto indagare, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 1, in primo luogo sulla “certezza” del costo rappresentato in fattura e, quindi, sulla sua inerenza, competenza, determinatezza o determinabilità, del che non v’è traccia nella sentenza impugnata.

In conclusione, il ricorso va accolto la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione regionale della Lombardia, in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce del nuovo assetto normativo di cui alla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012) confacente alla fattispecie concretamente accertata, nonchè perchè provveda alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

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