Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22697 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 11/09/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 11/09/2019), n.22697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

P.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

stesa in calce al ricorso, dall’Avv. Guglielmo Lenzi del Foro di

Nola, il quale ha indicato recapito PEC, ed elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv. Stefania Iasonna, alla via

Atanasio Kircher n. 7 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 147, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Napoli, sez. staccata di Salerno, il 13.07.2012 e

pubblicata il 3.04.2013;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Dott. Di Marzio Paolo;

la Corte osserva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

All’odierno ricorrente P.G., esercente l’attività di produzione e commercio di salumi ed insaccati, il 10 ottobre 2010 veniva notificato l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) 2010, relativo ad Iva, Irpef ed Irap in riferimento all’anno 2005. L’Ente impositore riteneva di aver potuto accertare delle incongruenze tra i quantitativi di merci e materie prime acquistati e venduti e le rimanenze, nonchè l’annotazione di costi indeducibili ed altri non di competenza, e calcolava pertanto maggiori ricavi rispetto al dichiarato nella misura di Euro 36.510,64.

Il contribuente ricorreva innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino che riteneva, in via equitativa, di ridurre l’ammontare dei maggiori ricavi evasi ad Euro 25.000,00.

P.G. impugnava la decisione innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale riteneva fondate e documentate alcune delle argomentazioni difensive proposte dal contribuente. Peraltro, osservato che “i primi giudici hanno comunque tenuto conto della redditività media, riscontrata nello specifico settore di produzione e commercio”, riteneva corretto ridurre “ulteriormente i maggiori ricavi accertati, quantificandoli in Euro 18.000,00” (sent. CTR, p. 2). La CTR annotava poi che i rilievi in materia di costi indeducibili non erano stati fatti oggetto di specifica critica, da parte del ricorrente, in sede di appello.

Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale di Napoli, sezione staccata di Salerno, ha proposto ricorso per cassazione P.G., affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Mediante il suo primo motivo d’impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente lamenta alla Commissione Tributaria Regionale di essere incorsa nella nullità della decisione per non aver pronunciato in ordine ad una pluralità di questioni specifiche introdotte da esso ricorrente, con la conseguenza di aver determinato i maggiori ricavi ritenuti accertati, sia pure in riduzione da 25.000,00 a 18.000,00 Euro, ma “senza specificare nulla in merito alla modalità di raggiungimento di tale risultato” (ric., p. V).

1.2. – Con il secondo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il contribuente censura l’impugnata CTR per essere incorsa nel vizio di “omessa” motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti avendo calcolato i maggiori redditi ritenuti accertati, senza fornire alcuna motivazione, “in Euro 18.000,00 e non ritenuti inesistenti o ridotti per esempio ad Euro 10.000,00” (ric. p. VII).

1.3. – Mediante il terzo motivo di impugnazione, proposto nuovamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il contribuente critica la CTR per essere incorsa nel vizio di “contraddittoria” motivazione su un fatto controverso, perchè, pur avendo ritenuto fondate e documentate le ragioni del ricorrente, non ha ritenuto di annullare l’atto di accertamento.

1.4. – Con il suo quarto motivo di ricorso, introdotto ai sensi degli artt. 3 e 5 c.p.c., il contribuente contesta la decisione adottata dalla CTR per aver violato l’art. 111 Cost., comma 6, e l’art. 118 disp. att. c.c., comma 1, non avendo fornito una motivazione “sufficiente” in ordine al rigetto di alcune delle censure proposte dal ricorrente.

2.1. – 2.2. – 2.3. – 2.4. – I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, lamentando in definitiva il contribuente alla CTR di non aver pronunciato nel dettaglio in ordine alle censure da lui proposte, e comunque per aver proposto una motivazione “omessa”, “insufficiente” e “contraddittoria”. Preliminarmente deve allora osservarsi che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 3.4.2013, quando era già da tempo entrata in vigore la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rimanendo perciò escluso che le censure potessero essere proposte avverso una motivazione “insufficiente” o “contraddittoria”, potendo le ulteriori critiche essere esaminate soltanto in relazione ai profili della motivazione del tutto assente, o comunque omessa, in relazione ad un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti.

Tanto premesso, nella sua pur succinta motivazione, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, osserva che “l’appellante nell’affermare la legittimità del proprio operato, documenta l’incongruenza lamentata, sia nella fase del contraddittorio, che nel successivo accertamento, relativamente al conteggio riservato ad alcuni prodotti, che sarebbero stati considerati prodotti finiti rinvenienti dalla produzione e non merce destinata alla mera commercializzazione. Ciò ha comportato da parte dei primi giudici una valutazione falsata dei ricavi come quantificati, sebbene in misura inferiore a quelli accertati dall’ufficio”. Non sussiste, pertanto, un’omessa pronuncia in materia.

In ordine al profilo motivazionale della sentenza di primo grado, poi, la CTR ha scritto: “Il Collegio ritiene che, nella determinazione forfetaria dei maggiori ricavi, i primi Giudici abbiano comunque tenuto conto della redditività media riscontrata nello specifico settore di produzione e commercio, tanto da ritenere “più confacente alla realtà aziendale di cui trattasi”, una riduzione dei maggiori ricavi accertati determinandone l’importo in Euro 25.000. Quanto sopra, alla luce delle differenze indicate e provate dall’appellante, induce a ridurre ulteriormente i maggiori ricavi accertati, quantificandoli in Euro 18mila”. La CTR, pertanto, ha stimato fosse corretto il calcolo dei ricavi fondato sulla base della redditività media, criterio invero non criticato dal ricorrente nella sua impugnazione per cassazione, ed ha ritenuto di moderarne gli effetti in considerazione di quanto allegato e provato dal ricorrente. Nel suo ricorso per cassazione P.G. lamenta pure l’omessa valorizzazione di alcuni elementi da lui introdotti nel processo, come il fatto “che il ‘Core business’ aziendale per l’anno 2005 era dato dai prodotti di produzione propria; che le presunte incongruenze ipotizzate sulle merci commercializzate erano la diretta conseguenza della mancata “quadratura dei conti” ovvero del mancato confronto con gli altri dati riferiti ai prodotti di produzione propria; che era insolito rilevare “una serie di incongruenze” nella ricostruzione delle merci commercializzate piuttosto che dalla verifica di cicli di produzione”, etc. Il contribuente ha provveduto, invero, a proporre un elenco di doglianze che appaiono solo parzialmente comprensibili. In un giudizio di natura impugnatoria, quale è per eccellenza quello di legittimità, è però onere proprio del ricorrente provvedere all’indicazione specifica ed esaustiva delle proprie censure, non trascurando di indicare gli atti processuali in cui le stesse sono state proposte e, successivamente, diligentemente coltivate, non mancando di riassumere con chiarezza le formule utilizzate, in modo da consentire a questa Corte il controllo che le compete in ordine alla tempestività e congruità delle contestazioni proposte, prima ancora di procedere al giudizio sulla decisività delle stesse; a tanto, però, il ricorrente non ha provveduto.

In conseguenza il proposto ricorso risulta infondato e deve essere respinto.

Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da P.G., e lo condanna al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 2.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 11 settembre 2019

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