Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22697 del 02/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 02/11/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 02/11/2011), n.22697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.C., + ALTRI OMESSI

tutti domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato RIZZO FERNANDO,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA;

– intimata –

e sul ricorso 19918-2007 proposto da:

B.M., MO.RO., domiciliati in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato RIZZO FERNANDO, giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA;

– intimata –

e sul ricorso 19920-2007 proposto da:

G.N., D.L., P.V., DE.

S.F., C.F., D.G., D.

S., tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato RIZZO FERNANDO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 457/2006 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 30/06/2006, R.G.N. 1099/2004, per il ricorso n.

19000/2007;

avverso la sentenza n. 457/2006 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 30/06/2006, R.G.N. 1099/2004, per il ricorso n.

19918/2007;

avverso la sentenza n. 457/2006 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 30/06/2006, R.G.N. 1099/2004, per il ricorso n.

19920/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Gli odierni ricorrenti, già dipendenti dell’Università degli Studi di Messina, hanno chiesto che venisse accertata l’illegittimità del recupero disposto nei loro confronti dall’Università relativamente alle somme da essi percepite a titolo di retribuzione individuale di anzianità (RIA) per gli anni 1992-2000, somme che l’Università ha ritenuto essere state indebitamente corrisposte ai lavoratori, atteso che, in forza della norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 51 – secondo cui la proroga al 31.1.21993, disposta dal D.L. n. 384 del 1992, art. 7 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto non modificava la data del 31.12.1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità – il termine da considerare ai fini della maturazione del diritto all’incremento della retribuzione in parola era quello del 31.12.1990 e non già quello del 31.12.1992.

Il Tribunale di Messina ha accolto la domanda con sentenza che, sull’appello proposto dall’Università, è stata riformata dalla Corte di appello di Messina, che ha ritenuto legittima la ripetizione degli importi da parte dell’Università sul rilievo della doverosità del recupero e della irrilevanza, a questi fini, della buona fede del percipiente.

Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione con tre distinti ricorsi i lavoratori, affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei ricorsi iscritti al RG n. 19000/2007, n. 19918/2007 e n. 19920/2007, trattandosi di ricorsi proposti avverso la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

1.- Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 2033 c.c., chiedendo a questa Corte di stabilire se “l’istituto previsto dall’art. 2033 c.c. è applicabile al caso di specie, per sussistenza della causa debendi al momento del versamento degli incrementi RIA da parte dell’amministrazione universitaria e, in caso di riscontro negativo, se è illegittima la successiva ripetizione eseguita dall’odierna resistente”.

2.- Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 3 Cost., formulando il seguente quesito di diritto: “se la ripetizione operata dall’odierna resistente abbia violato l’art. 3 Cost. e pertanto possa ritenersi illegittima per avere l’Amministrazione eseguito, con disparità di trattamento rispetto ad altri colleghi, tale operazione in difformità a tutti gli altri Atenei e alle direttive del MIUR, trattenendo somme che, per la loro esiguità, erano già state spese dagli accipientes in totale buona fede”.

3.- Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 36 Cost., chiedendo a questa Corte di stabilire se “la ripetizione de qua sia illegittima … nella parte in cui ha inciso in via preclusiva ed illegittima su voci del trattamento stipendiale degli odierni ricorrenti”.

4.- I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi tra loro, sono infondati. Questa Corte ha costantemente ritenuto che il principio di intangibilità della posizione economica acquistata dal lavoratore subordinato postula per la sua operatività la spettanza del trattamento economico per legge o per contratto e, pertanto, non è applicabile nel caso di indebite erogazioni economiche di cui abbia beneficiato il lavoratore per errore del datore di lavoro, con la conseguenza che quest’ultimo, nei limiti del termine prescrizionale, ben può agire per la loro ripetizione (vedi, nel caso di somme indebitamente corrisposte ai dipendenti ex combattenti per effetto di erronea interpretazione di disposizioni di legge, Cass. n. 5596/87, che ha precisato che l’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo va ammessa indipendentemente dalla scusabilità dell’eventuale errore interpretativo). E’ stato altresì precisato che l’azione di ripetizione proposta dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore (nella specie, per ottenere il rimborso delle quote della retribuzione corrisposte in violazione del divieto di riconoscere, per effetto della scala mobile, incrementi retributivi più favorevoli di quelli previsti dagli accordi interconfederali) non è preclusa nè dalla regola relativa al diritto del lavoratore alla retribuzione per il lavoro prestato in esecuzione di contratti di lavoro nulli, perchè l’art. 2126 c.c. non è applicabile nel caso di nullità che non riguarda il contratto di lavoro ma lo specifico trattamento retributivo (con conseguente non incidenza della nozione di retribuzione sufficiente, ex art. 36 Cost.: cfr. Cass. n. 12495/99), nè dalla regola della irripetibilità delle prestazioni eseguite spontaneamente in esecuzione di doveri morali o sociali (art. 2034 c.c.), inapplicabile in caso di prestazione effettuata contra legem (cfr. Cass. n. 17076/2007, in tema di richiesta del datore di restituzione di quanto versato al lavoratore a titolo di contingenza sulla quattordicesima mensilità).

5.- Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che il recupero delle somme indebitamente erogate dall’ente pubblico ai propri dipendenti costituisce esercizio di un diritto del datore di lavoro che non può trovare ostacolo nella buona fede del percipiente o nella circostanza che numerosi altri atenei italiani abbiano ritenuto di non dover procedere al recupero delle somme indebitamente versate ai lavoratori, ma, se mai, solo nella idoneità di tale ripetizione ad incidere in modo irreparabile sulle esigenze di vita del lavoratore (sull’applicazione di tale principio, cfr. Cass. n. 13235/2009, nonchè Cass. n. 14528/99), idoneità che, tuttavia, la Corte d’appello ha ritenuto di escludere, indicando le specifiche ragioni per cui in concreto le trattenute operate dall’Università nei confronti dei lavoratori non potevano incidere in maniera significativa sulle loro esigenze di vita, con una valutazione di fatto che, oltre a non essere stata fatta oggetto di specifiche censure, non è comunque sindacabile in questa sede di legittimità.

6.- Alla stregua delle argomentazioni espresse, tutti i rilievi formulati dai ricorrenti con i motivi di impugnazione circa la illegittimità del recupero disposto nei loro confronti dall’Università degli Studi di Messina devono ritenersi privi di fondamento. Deve solo aggiungersi che il terzo motivo è comunque inammissibile per la genericità del quesito e perchè non risulta, nè viene specificato, che la questione sia stata posta anche nei precedenti gradi del giudizio.

7.- Il ricorso deve essere pertanto respinto con la conferma della sentenza impugnata.

8.- Le spese vanno compensate anche in ragione del difforme esito del giudizio di primo e di secondo grado e del comportamento processuale della parte intimata, che si è limitata, con il controricorso, a richiamare genericamente le difese svolte nei precedenti gradi di giudizio e non ha partecipato alla discussione orale.

P.Q.M.

La Corte riunisce al presente ricorso i ricorsi n. 19918/07 e n. 19920/07;

pronunciando sui ricorsi riuniti, li rigetta; spese compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2011

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