Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22695 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/10/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 19/10/2020), n.22695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosina – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17717/2012 RG proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

I.V.E., Industria Vernici di F.G. e Figli s.r.l., in

persona del legale rapp.te, c/o la sua sede in Seregno, Via Arturo

Toscanini n. 53;

– intimata –

Avverso la decisione n. 83/49/2011 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata il 27/05/2011 e non

notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 novembre

2019 dal Consigliere D’Angiolella Rosita.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

A seguito di verifica della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle entrate, emetteva avviso di accertamento nei confronti della I.V.E., Industria Vernici di F.G. e Figli s.r.l., (di seguito, per brevità, “Società”), con il quale veniva contestato e recuperato a tassazione l’importo complessivo di Euro 289.845,14, derivante da una serie di rilievi (n. 15) determinanti una maggiore imposta Irpeg di Euro 88.865,00, maggiore Irap per Euro 11.641,00, maggiore Iva di Euro 16.020,00.

La Società impugnava l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che accoglieva parzialmente il ricorso rideterminando il maggior reddito imponibile, per l’anno 2003, nella misura di Euro 20.630 e l’Iva nella misura di Euro 312.00, oltre sanzioni.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Ufficio, per la parte dei recuperi non riconosciuti.

Con la sentenza in epigrafe, la Commissione regionale della Lombardia rigettava l’appello ribadendo quanto già oggetto di verifica e dell’accertamento dei primi giudici.

Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a tre motivi.

La Società è rimasta intimata, nonostante la ritualità della notifica avvenuta, a mezzo posta, in data 9 luglio 2012, sia presso il domicilio eletto in primo grado (presso lo studio del difensore avv. F.N.), sia presso la sede della Società, in Seregno, Via Arturo Toscanini n. 53.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge ed in particolare del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109), dell’art. 53 (ora 85) stesso decreto, nonchè del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 4 e 5, nella parte in cui la Commissione regionale non ha minimamente tenuto in conto la erronea contabilizzazione dei ricavi per Euro 154.313,83, in aperta violazione de principio di competenza e dell’art. 75 TUIR, ritenendo che non vi sarebbe stato danno erariale ma solo uno svantaggio per l’azienda dal momento che nell’anno 2002 la Società aveva dichiarato inesistenti ricavi imponibili, e nell’anno 2003, anno di effettiva competenza dei ricavi in contestazione, il bilancio societario era in perdita. A sostegno del motivo richiama la sentenza di questa Corte n. 3947 del 2011.

2. Con il secondo motivo, lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76 (ora 110), nonchè del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 4 e 5, nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno ritenuto che le norme in parola non si applicavano alla Società in quanto non operava in Paesi a fiscalità agevolata; viceversa l’art. 76 TUIR, al comma 5, non fa alcuna differenza tra società con sede all’estero e società con sede in paesi a fiscalità agevolata.

3. Col terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67 (ora 102), del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 4 e 5, nonchè dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui la Commissione regionale ha ritenuto sufficientemente provata l’esistenza e la corretta deduzione dei costi rappresentati dalla Società sulla scorta della loro mera rappresentazione contabile e pur nell’assenza di qualsivoglia documentazione inerente alla spesa o alla fattura di acquisto di supporto.

4. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito esposte.

5. Col rilievo n. 8 – su cui si appunta il primo motivo di ricorso in Cassazione ed il primo motivo di appello -, l’Ufficio aveva ripreso a tassazione la somma di Euro 154.314,00, afferente all’illegittima riduzione di ricavi di vendita, ritenendo che, in dispregio dell’art. 75 TUIR, la Società aveva rappresentato nel bilancio 2003 un’illegittima diminuzione di ricavi per saldo merci possedute già dal 2002 e artatamente riportate nelle fatture da emettere. La Commissione regionale, su tale questione ha ritenuto di condividere “per gli aspetti sostanziali di equità fiscale le argomentazioni sul punto svolte dalla CTP che motivano l’accoglimento del ricorso tenendo presente il disposto del vecchio art. 75 TUIR, comma 3, che non può essere ignorato limitandosi ad includere nel conto economico ricavi in discussione senza apportare alcuna rettifica le rimanenze delle merci ricavo si riferisce.”.

6. La ricorrente ha ragione di dolersi essendo principio consolidato di questa Corte, già affermato con le pronunce richiamate in ricorso, che “in tema di reddito d’impresa, i costi relativi a prestazioni di servizio sono, a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 2, lett. b), di competenza dell’esercizio in cui le prestazioni medesime sono ultimate, senza che abbia rilevo alcuno il momento in cui viene emessa la relativa fattura o effettuato il pagamento” (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 3947 del 18/02/2011, Rv. 61695-01; Sez. 5, Sentenza n. 27296 del 23/12/2014, Rv. 633658-01), con l’unica eccezione per i contratti di locazione, mutuo, assicurazione o altro contratti da qui derivino corrispettivi periodici, in relazione ai quali le spese per i corrispettivi sono imputabili all’esercizio di maturazione degli stessi (Cfr. Sez. 5 n. 9096 del 2012; Sez. 5, Sentenza n. 11311 del 31/05/2016, Rv. 639979-01).

6.1. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, già 75, ha, dunque, sancito quale regola generale per l’imputazione temporale dei componenti di reddito, il principio di competenza ossia che i ricavi, le spese e altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui è sorto l’obbligo giuridico di sostenimento dell’onere e non in quello in cui il costo è stato assolto (cfr. Sez.5, n. 23855 del 2019, non massimata).

6.2. La Commissione regionale non ha fatto retta applicazione di tali principi, nella parte in cui, decidendo secondo equità (criterio non consentito, non essendo il giudice tributario dotato di poteri di equità sostitutiva, dovendo fondare la propria decisione su giudizi estimativi, di cui deve dar conto in motivazione in rapporto al materiale istruttorio, cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 16960 del 25/06/2019, Rv. 654389-01), ha annullato il rilievo fiscale ritenendo la neutralità del circuito contabile, per mancanza di danno erariale; viceversa trattandosi di prestazioni di servizi (trasporto di merci), i costi vanno imputati all’esercizio di competenza in cui le prestazioni sono ultimate, con la conseguenza che poichè nella specie tale momento impositivo si è realizzato nell’anno 2003 e non nell’anno 2002, i secondi giudici avrebbero dovuto confermare l’accertamento.

7. Col secondo motivo di ricorso, riguardante la decisione dei giudici di appello sul rilievo n. 10, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, comma 5.

7.1. Va premesso che l’Ufficio aveva ripreso a tassazione la somma di Euro 70.527,00, per aver la Società contribuente venduto prodotti alla società I.V.E. Do Brasi LTDA, con sede in Brasile, di cui la Società deteneva l’80% della partecipazione, a prezzi sensibilmente inferiori al valore di mercato, in una percentuale variabile di sconto dal 42 al 116%. L’Agenzia delle entrate ha contestato, dunque, alla Società (consolidante) la cessione di merci ad un prezzo inferiore al valore “normale” di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, trattandosi di cessione infragruppo, con cessionaria estera, soggetta al medesimo D.P.R., art. 110, comma 7, (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, vecchio).

7.2. La Commissione tributaria regionale, ha ritenuto di confermare la decisione dei primi giudici, sposandone la tesi secondo cui la fattispecie non poteva essere sussunta alla norma invocata perchè in essa “non era ipotizzabile la sussistenza di una strategia di trasferimento di utili in nazione a fiscalità agevolata”, nè era ipotizzabile – come dedotto dall’Ufficio – il monopolio della società controllata in Brasile, “trattandosi del primo anno di attività e quindi deve essere prima conosciuta nel paese perchè il monopolio possa di fatto realizzarsi”.

7.3. Orbene, effettivamente, così come dedotto dalla ricorrente, la Commissione regionale della Lombardia sembra avere travalicato il significato e l’ambito di applicazione della norma (applicabile alla fattispecie ratione temporum) considerato che, per interpretazione unanime, la normativa di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, comma 5, (ora 110, comma 7) – finalizzata alla repressione del fenomeno economico del “transfer pricing” (spostamento d’imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) non pone a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, incombendo, invece, sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c. ed in materia di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dal medesimo decreto, art. 9, comma 3.

Sez. 5, Sentenza n. 18392 del 18/09/2015, Rv. 636455-01; Sez. 5, Sentenza n. 9673 del 19/04/2018,Rv. 647715-01). Nulla di tutto ciò ha appurato la sentenza impugnata, con ciò incorrendo nel vizio denunciato.

8. Il terzo motivo di ricorso censura la gravata sentenza nella parte in cui ha ritenuto illegittimi i rilievi nn. 1,2,3,4, dell’accertamento, riguardanti le quote di ammortamento per complessivi Euro 21.171,00, aderendo, così, alle conclusioni dei primi giudici in ordine “alla congruità delle quote di ammortamento portate in deduzione nell’anno di verifica con la produzione delle schede dei costi interessati e di un prospetto di calcolo dimostrativo delle eccedenze portate in deduzione negli anni successivi, in base alla considerazione che il libro dei cespiti ammortizzabili è uno strumento per rilevare la ripartizione di un costo sostenuto per un bene a fecondità ripetuta, atteso che per tale dimostrazione sono stati consentiti strumenti alternativi al libro dei cespiti ed anche perchè i dati esposti sono stati acquisti dai bilanci di esercizio depositati presso il registro società” (v. pag. 6 sentenza).

8.1. La censura è fondata.

8.2. In tema di deducibilità di costi, questa Corte, con indirizzo assolutamente unanime, ha affermato la stretta correlazione con il principio dell’inerenza, quale espressione della necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’impresa, secondo un giudizio di natura qualitativa, che prescinde, in sè, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo, nonchè da una valutazione di congruità del costo (ex plurimis, cfr. Sez. 5, Sentenza n. 18904 del 17/07/2018, Rv. 649772-01; Sez. 5, Ordinanza n. 13882 del 31/05/2018, Rv. 649087-01 che evidenzia come il principio dell’inerenza dei costi deducibili non si ricava dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, (in precedenza, medesimo D.P.R., art. 75, comma 5), che attiene alla correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili, ma costituisce espressione della necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’impresa; adde, Sez. 5, Ordinanza n. 22938 del 26/09/2018, Rv. 650335-01; Sez. 5, n. 450 del 2018 Rv. 646804-01).

8.3. Anche per le società infragruppo, si è evidenziato che “la deducibilità è subordinata all’effettività ed inerenza della spesa in ordine all’attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima, sulla quale grava l’onere di specifica allegazione degli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante.” (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 17535 del 28/06/2019, Rv. 654376-01, che richiama Cass. Civ., 16480 del 2014; cfr., altresì, Cass. Civ. n. 14016 del 1999 e, in relazione ai costi di regia, Cass. Civ., 4/10/2017, n. 23164).

8.4. Quanto alle regole di riparto dell’onere probatorio – pur esse oggetto della censura – la Corte ha avuto modo di chiarire che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, se contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista la documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità del costo (v. parte-motiva di Sez. 5, n. 13588 del 30/05/2018; conforme, Sez.5 n. 11942 del 2016).

9. Alla luce di tali principi, considerato che i secondi giudici hanno espresso un giudizio di congruità dei costi portati in deduzione in base alla rappresentazione contabile offerta dalla Società, senza alcuna valutazione dell’inerenza in termini qualitativi e considerato, altresì che non hanno compiuto alcuna valutazione circa il soddisfacimento dell’onere probatorio gravante sulla Società contribuente, non v’è dubbio che siano incorsi nel vizio denunciato.

10. Conclusivamente il ricorso va integralmente accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

11. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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