Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22694 del 02/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 02/11/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 02/11/2011), n.22694

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27062-2009 proposto da:

M.C.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PIETRO BORSIERI 12, presso lo studio degli avvocati SOLFANELLI ANDREA

e D’ONOFRIO SARA, che lo rappresentano e difendono, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

L.U.M.S.A. – LIBERA UNIVERSITA’ MARIA SANTISSIMA ASSUNTA;

– intimata –

nonchè da:

L.U.M.S.A. – LIBERA UNIVERSITA’ MARIA SANTISSIMA ASSUNTA, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FLAMINIA 441, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MARINI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PERSIANI MATTIA,

giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.C.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PIETRO BORSIERI 12, presso lo studio degli avvocati SOLFANELLI ANDREA

e D’ONOFRIO SARA, che lo rappresentano e difendono, giusta delega in

atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 490/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/12/2008 r.g.n. 1877/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito 1’Avvocato MARINI PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il dott. M.D.C.J., lettore di madre lingua straniera presso la L.U.M.S.A., chiese al giudice del lavoro di Roma di accertare che il rapporto lavorativo dedotto in giudizio era di natura subordinata a tempo indeterminato a decorrere dall’1/11/80, di appurare che era illegittimo il licenziamento infittogli il 31/10/92, di condannare la convenuta Università a reintegrarlo nel posto di lavoro, oltre che al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra, e di dichiarare il suo diritto a vedersi adeguata la retribuzione percepita a quella corrisposta al ricercatore universitario confermato a tempo definitivo o a quella spettante al professore associato a tempo definito di prima nomina in base al D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 e all’art. 36 Cost..

Con sentenza del 5/10/00 il giudice adito rigettò la domanda e compensò le spese. A seguito di impugnazione proposta dal lettore la Corte d’appello di Roma, con sentenza non definitiva del 13/2/03, dichiarò che il rapporto di lavoro dedotto in giudizio era di natura subordinata a tempo indeterminato fin dall’1/11/1980; nel contempo, dichiarò l’illegittimità dell’atto di risoluzione del rapporto e condannò l’appellata alla riassunzione del M.D. o al risarcimento del danno attraverso il pagamento di una indennità ragguagliata a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, da quantificarsi in separato giudizio, oltre interessi e rivalutazione; dichiarò, altresì, il diritto dell’appellante all’adeguamento della retribuzione, a decorrere dall’1/11/80, a quella corrisposta al professore associato a tempo definito di prima nomina diminuita del 20% e condannò l’appellata al pagamento delle relative differenze retributive, comprese quelle dovute per 13A e per ferie non godute, da quantificarsi in separata sede.

Con sentenza definitiva del 17/1 – 9/12/08 la Corte d’Appello di Roma quantificò l’indennità risarcitoria da illegittima risoluzione del rapporto in Euro 4051,41, comprensiva degli accessori di legge, condannò l’appellata al pagamento della somma complessiva di Euro 58.793,82, comprensiva di interessi legali al 31/8/07 e di rivalutazione monetaria al 13/2/03, a titolo di differenze retributive. Infine, condannò l’appellata alle spese del doppio grado di giudizio e a quelle di Ctu. La Corte territoriale spiegò che non era in contestazione l’esattezza dei conteggi elaborati dal CTU nel supplemento della perizia contabile, mentre lo era la computabilità o meno dell’indennità integrativa speciale sulle spettanze della 13^ e dell’indennità per ferie non godute. Al riguardo la Corte escluse che potesse spettare l’indennità integrativa speciale, in quanto prevista solo per i dipendenti statali e lo stesso doveva ritenersi per l’indennità di mancata riassunzione; per contro, spettavano la tredicesima mensilità e l’indennità per ferie non godute, mentre non spettavano le retribuzioni maturate dal licenziamento alla sentenza, non versandosi in ipotesi di tutela reale.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il M.D., il quale affida l’impugnazione a quattro motivi di censura.

Resiste con controricorso la Libera Università Maria Santissima Assunta che propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato ad un solo motivo di censura e deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. Col primo motivo del ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 112 e 436 c.p.c.), in quanto si sostiene che nell’escludere l’indennità integrativa speciale dal computo del trattamento retributivo del professore associato a tempo definito, assunto a parametro di riferimento per il calcolo delle spettanze dei lettori di madre lingua straniera, la Corte territoriale sia incorsa in vizio di ultrapetizione, posto che, nel costituirsi in giudizio, l’Università convenuta non aveva formulato eccezioni in merito all’insussistenza del diritto al computo della suddetta indennità.

Il motivo è infondato.

Invero, dalla lettura della memoria di costituzione in appello dell’Università, il cui contenuto è stato trascritto nel presente ricorso, si rileva che al punto 7 della stessa è riportato il seguente assunto difensivo: “Anche le rivendicazioni economiche sono evidentemente assorbite dalla esclusione del preteso carattere subordinato del rapporto, come l’appellante non nega, pur riproponendole, e come del resto emerge dalla già citata sentenza del Tribunale di Roma 7777/2000, che nel confermare, quanto a tale esclusione, la sentenza dell’allora Pretore (5374/95, cit.) ha appunto respinto anche le domande di adeguamento retributivo, ivi in parte accolte”.

Orbene, trattasi, all’evidenza, di affermazioni che contengono una contestazione in radice di tutte le rivendicazioni economiche dell’appellante, per cui è da escludere che la Corte territoriale sia incorsa nel vizio di ultrapetizione nel pronunziarsi con la decisione di rigetto, oggetto della presente impugnazione, in merito al computo di una delle componenti economiche della domanda, quale l’indennità integrativa speciale.

2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 112 e 323 c.p.c., art. 1362 e segg. c.c., D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 e art. 36 Cost.) in quanto sostiene che la Corte territoriale, nell’escludere con la sentenza definitiva l’indennità integrativa speciale dalla base di computo delle differenze retributive che gli spettavano, ha pretermesso il disposto della sentenza non definitiva con la quale era stato individuato il parametro di confronto stipendiale nel trattamento retributivo previsto dal D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 decurtato nella misura del 20% per la ravvisata esistenza di un diverso grado di responsabilità del lettore di madre lingua.

Osserva la Corte che il motivo è inconferente per le seguenti ragioni: anzitutto, il primo quesito di diritto formulato al termine dell’esposizione del motivo è inammissibile, in quanto non reca alcuna conclusione e non contiene l’indicazione di una “regula iuris” alternativa a quella adottata con la sentenza impugnata; inoltre, il secondo quesito, attraverso il quale si chiede di accertare se i trattamento del professore associato a tempo definito, assunto come parametro per l’adeguamento della retribuzione del lettore di madre lingua straniera, debba essere considerato complessivamente, anzichè essere scorporato nelle sue singole voci, non è conferente rispetto al tema della decisione. Infatti, l’esposizione del motivo trascura la valenza della statuizione avente forza di giudicato, rappresentata dalla sentenza non definitiva che sul punto specifico accertava il diritto all’adeguamento retributivo a decorrere dall’1/11/1980 rapportandolo al parametro del trattamento del professore associato a tempo definito di prima nomina con decurtazione del 20%: invero, non è spiegato dal ricorrente in che modo la sentenza definitiva sulla quantificazione delle spettanze, oggetto della presente impugnazione, si sia discostata dai criteri di calcolo enunciati in quella non definitiva e per quale preciso motivo l’ultima decisione non sia adeguata ai dettami della precedente avente forza di giudicato.

3. Analoghe considerazioni valgono per il contenuto del terzo motivo di doglianza attraverso il quale è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 e art. 36 Cost.). In particolare, il quesito di diritto posto ai riguardo mira a far accertare se vi sia stata violazione o meno delle norme appena menzionate, in particolare dell’art. 36 Cost., nel fatto che la sentenza abbia escluso dal trattamento retributivo del lettore di madre lingua straniera, individuato in conformità al D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 in quello complessivo del professore associato di prima nomina a tempo definito, l’indennità integrativa speciale e, comunque, qualunque meccanismo di indicizzazione della retribuzione.

Orbene, anche in tal caso non è spiegato in che modo la sentenza definitiva sulla quantificazione delle differenze retributive si sia discostata da quella non definitiva, coperta dal giudicato, contenente l’indicazione del trattamento spettante in rapporto ad un preciso parametro di riferimento, ed in qual modo abbia potuto ingenerare i presupposti di una retribuzione non proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto o non sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa del lavoratore, in guisa da farla ritenere lesiva dell’invocato precetto costituzionale. Ebbene tali spiegazioni sarebbero state tanto più necessarie sol se si consideri che il giudice d’appello ha chiaramente evidenziato che l’indennità integrativa speciale in esame era prevista esclusivamente per i dipendenti statali e non era estensibile ad un rapporto di natura privata come quello in discussione.

4. Con l’ultimo motivo del ricorso principale è lamentata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 91, 112 e 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c.), nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Ci si duole, in pratica, del fatto che nonostante la Corte d’appello si fosse riservata, in occasione della pronunzia della sentenza non definitiva, di provvedere in ordine alle spese di lite, abbia finito per non emettere, con la decisione oggi impugnata, alcuna statuizione sulle spese della fase processuale conclusasi con la suddetta sentenza non definitiva.

Osserva la Corte che il motivo è infondato in quanto con la sentenza definitiva la Corte d’appello ha provveduto a liquidare le spese di entrambi i gradi del giudizio, specificandole separatamente nel dispositivo e precisando che esse erano complessive per ognuno dei due gradi del procedimento, per cui non può sussistere alcun dubbio sul fatto che la determinazione globale delle spese di secondo grado è riferita anche alla fase procedimentale che ha preceduto l’emanazione della sentenza non definitiva. Il ricorso principale va, pertanto, rigettato.

5. Col ricorso incidentale l’Università intimata propone un unico motivo di censura attraverso il quale denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., 2099 e 2109 c.c., della L. n. 741 del 1959, art. 1 del D.P.R. 28 luglio 1960, n. 1070, oltre che l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostenendo che la Corte territoriale è incorsa in errore nel riconoscere al M.D. sia la tredicesima mensilità, già ricompresa nel trattamento complessivo del professore associato di prima nomina a tempo definito commisurato sulla durata dell’intero anno ed utilizzato come parametro di riferimento per il calcolo delle spettanze del lettore, sia l’indennità per ferie non godute, nonostante l’eccepita mancanza di prova del mancato godimento delle stesse da parte del medesimo lettore. Il ricorso incidentale è fondato.

Invero, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. sez. lav. n. 4088 del 5/4/1993), nella determinazione del limite massimo della retribuzione dovuta ai lettori di madre lingua straniera, il D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 ha stabilito che essa non può “superare il livello retributivo iniziale del professore associato a tempo definito”: tale livello è certamente comprensivo della tredicesima mensilità dovuta a detta categoria di professori. Il compenso annuale previsto dai singoli contratti di assunzione dei lettori di lingua straniera, sia esso uguale o inferiore al livello retributivo del professore associato, deve quindi (e salvo che non risulti una volontà contrattuale diversa) ritenersi comprensiva anche della 13.ma mensilità. Ne consegue che la Corte d’appello non avrebbe dovuto calcolare nuovamente il suddetto emolumento, una volta definita l’entità complessiva del suddetto parametro retributivo di riferimento del professore associato a tempo definito già comprensivo del rateo della tredicesima mensilità.

Certamente diverso è il discorso per quanto attiene all’indennità di ferie non godute.

Invero, l’ari. 36 Cost. garantisce il diritto irrinunciabile del lavoratore a ferie annuali retributive e tale diritto deve essere riconosciuto anche al lavoratore a tempo determinato (L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 5), per cui a nulla rileva il richiamo operato dal lavoratore alla natura omnicomprensiva del compenso contrattualmente previsto, posto che una tale omnicomprensività serve a dimostrare che detto compenso includeva la retribuzione dovuta per le ferie godute e non certo il risarcimento del danno per i riposo annuale non goduto, la cui dimostrazione competeva in ogni caso al lettore, il quale avrebbe dovuto dimostrare se e in quale misura non aveva goduto delle ferie annuali. Tale orientamento ha trovato conferma in un successivo precedente di questa Corte (Cass. sez. lav., n. 12831 del 3/9/2003) coi quale si è ribadito che “in base alla disposizione della L. 18 aprile 1982, n. 230, art. 5 applicabile al rapporto di lavoro subordinato dei lettori di lingua straniera assunti con contratto a tempo determinato presso le università ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 tali dipendenti – per i quali, data la scadenza annuale del rapporto, non si configura una anzianità di servizio, nè di conseguenza la spettanza di scatti di anzianità – hanno diritto all’indennità sostitutiva delle ferie in caso di mancato godimento del riposo annuale, mentre la tredicesima mensilità spettante deve ritenersi compresa nel compenso annuale stabilito dal contratto”.

Il ricorso incidentale va, dunque, accolto.

Pertanto, la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale procederà ad nuovo esame in relazione alla prova dei mancato godimento del riposo annuale ed alla conseguente rideterminazione delle differenze retributive spettanti al predetto lettore alla luce dei principi espressi con la pronunzia di accoglimento del ricorso incidentale, oltre che alla quantificazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia il giudizio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2011

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