Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22679 del 31/10/2011

Cassazione civile sez. II, 31/10/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 31/10/2011), n.22679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 10952/06) proposto da:

B.A. e s.c.a.r.l. “Caseificio Sociale di Villa

Fogliano”, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentati e difesi, in virtù di mandato a margine del ricorso

“di cui infra” relativo al giudizio di primo grado, dall’Avv. Coli

Paolo ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.

Francesco Fabbri, in Roma, via dell’Università, n. 11;

– ricorrenti –

contro

REGIONE EMILIA ROMAGNA in persona del Presidente della Giunta

Regionale, rappresentata e difesa dall’Avv. Peccenini Flavio in

virtù di procura speciale a margine del controricorso ed

elettivamente domiciliata in Roma, piazza Augusto Imperatore, n. 22,

presso lo studio dell’Avv. Guido Pottino;

– controricorrente –

Avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 313/2005,

depositata il 21 febbraio 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Guido Pottino, per delega, nell’interesse della

controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la

declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di manifesta

infondatezza dei primi quattro motivi del ricorso e per

l’inammissibilità del quinto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso formulato ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 depositato il 14 settembre 1999, B.A. e s.c.a.r.l.

“Caseificio Sociale di Villa Fogliano” proponevano opposizione dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia avverso l’ordinanza (n. 1066/SA del 6 agosto 1999), con la quale la Regione Emilia Romagna aveva ingiunto loro (la seconda quale obbligata in solido) il pagamento della sanzione di L. 1.875.690 (pari a Euro 928,71) per la violazione dell’art. 3, paragrafo 2 del REG. CEE n. 536/1993 della Commissione del 9 marzo 1993.

Nella costituzione della convenuta Regione Emilia Romagna, il Tribunale adito, con sentenza n. 313 del 2005 (depositata il 21 febbraio 2005), respingeva l’opposizione (ravvisandone l’infondatezza con riferimento a tutti i motivi dedotti), compensando le spese del giudizio.

Nei confronti della suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione B.A. e s.c.a.r.l. “Caseificio Sociale di Villa Fogliano” basato su cinque motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimata Regione Emilia-Romagna.

Il collegio ha deliberato di procedere alla redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata.

Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 3, 13 e segg. e 27 bis; del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45; della L. n. 62 del 1953; della L.R. n. 3 del 1999, art. 240 congiuntamente al vizio di incompetenza del Presidente della Giunta Regionale all’adozione del provvedimento opposto e all’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Con il secondo motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione dell’art. 3, paragrafo 2, del Regolamento CEE n. 536/1993, oltre che del principio del legittimo affidamento, in uno al vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Con il terzo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 18, comma 2, e dell’art. 1 della stessa Legge, unitamente al vizio di omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Con il quarto motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per violazione ed erronea interpretazione del Regolamento CEE n. 536/1993, per inapplicabilità del D.P.R. n. 569 del 1993, art. 7 in dipendenza del contrasto con la richiamata disposizione comunitaria, e per inapplicabilità della sanzione di cui all’art. 3, paragrafo 2, dello stesso Regolamento n. 536/1993.

Con il quinto motivo i ricorrenti hanno denunciato l’erroneità della sentenza impugnata sotto il profilo della disciplina delle spese giudiziali, dovendosi, in virtù della fondatezza delle doglianze proposte, pervenire alla condanna della Regione Emilia Romagna al pagamento delle spese stesse, in relazione al principio della soccombenza.

Rileva il collegio che il ricorso è inammissibile per difetto di valida procura speciale in capo al difensore dei ricorrenti.

Costituisce principio costante della giurisprudenza di questa Corte (v., da ultimo, Cass. n. 1905/2009, ord., e Cass. n. 5554/2001) che la procura per il ricorso in cassazione deve avere, ai sensi dell’art. 365 c.p.c., il carattere della specialità e, cioè, deve essere esclusivamente finalizzata alla rappresentanza e difesa in tale specifica fase del giudizio. Pertanto, tale procura – che ha, quindi, carattere necessariamente speciale dovendo riguardare il particolare giudizio davanti alla Corte di cassazione – è valida solo se rilasciata in data successiva alla sentenza impugnata, rispondendo tale prescrizione all’esigenza, coerente con il principio del giusto processo, di assicurare la certezza giuridica della riferibilità dell’attività svolta dal difensore al titolare della posizione sostanziale controversa. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile qualora la procura sia conferita a margine dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ancorchè riferendola a tutti i gradi del giudizio.

Orbene, nel caso di specie, è venuta a verificarsi proprio quest’ultima eventualità, poichè dal ricorso proposto non risulta conferita alcuna procura speciale (nè a margine nè in calce allo stesso nè, peraltro, è emerso che sia stata conferita separatamente con atto pubblico o con scrittura privata autenticata), evincendosi dal contenuto del medesimo ricorso che il difensore ha inteso agire nella presente sede di legittimità “in virtù di mandati a margine del ricorso di cui infra”, con ciò intendendo evidentemente riferirsi alla procura rilasciata a margine del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, non desumendosi alcun’altra emergenza documentale idonea a comprovarne il rilascio in data successiva alla sentenza impugnata in una delle forme ritualmente previste dall’art. 83 c.p.c., così come implicitamente richiamato dall’art. 365 c.p.c..

Conseguentemente, in difetto della prova del rilascio di una valida procura per la proposizione del ricorso per cassazione in questione (e risultando del tutto inefficace il riferimento del conferimento della procura rilasciata a margine del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ad ogni fase e grado successivi, in virtù del pacifico orientamento giurisprudenziale precedentemente richiamato), non può che dichiararsi, in definitiva, l’inammissibilità del formulato ricorso.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti, in solido fra loro, nella misura liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2011

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