Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22677 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 19/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 19/10/2020), n.22677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2879-2019 proposto da:

ANAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresen t-51 e difende

ope legis;

– ricorrente –

contro

COSEPI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 12, presso lo

studio dell’avvocato FRANCO DI LORENZO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANTONIO GIUDICI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1690/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 05/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con sentenza n. 1690/2018 depositata il 5-11-2018 e notificata il 15-11-2018 la Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’appello proposto da Anas s.p.a. avverso la sentenza la sentenza del Tribunale di Bergamo n. 1682/2016. Con la citata sentenza di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da Cosepi s.r.l. nei confronti di Anas s.p.a., veniva dichiarato risolto per inadempimento di Anas s.p.a. il contratto stipulato inter partes in data 1-2-1994, avente ad oggetto l’appalto deì lavori di completamento della variante in corrispondenza dell’abitato di Schilpario, e la convenuta Anas veniva condannata al risarcimento dei danni subiti da Cosepi s.r.l., quantificati in Euro107.438,85, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.

2. Avverso detta sentenza Anas s.p.a. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, a cui resiste con controricorso la Cosepi s.r.l.. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

3. Con il primo motivo la ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1256 c.c. e dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3”. Deduce, riportando nel ricorso le parti di rilevanza dell’atto di appello, che il parere negativo espresso dal Comune di Schilpario in sede di conferenza di servizi aveva determinato l’oggettiva impossibilità di dare esecuzione al progetto di opera pubblica cui il contratto inter partes era preordinato. Rileva Anas s.p.a. di essere assoggettata alle regole di diritto pubblico e di gestire, costruire e mantenere strade non per proprio interesse, ma per l’interesse pubblico. Afferma che, pur essendo astrattamente corretto quanto asserito sia dal Tribunale sia dalla Corte territoriale circa la non vincolatività del parere della conferenza dei servizi, non era stata considerata dai Giudici di merito la rilevanza dell’interesse delle comunità interessate alla costruzione delle strade ed era stato di fatto violato il disposto dell’art. 1256 c.c., sussistendo nella specie l’impossibilità sopravvenuta con requisiti di obiettività ed assolutezza, in ragione dell’opposizione degli enti destinatari dell’opera. Ad avviso della ricorrente, le determinazioni della conferenza di servizi si configurano come factum principis, idoneo ad impedire l’esecuzione del contratto, come da giurisprudenza di questa Corte, che richiama, in tema di vincoli apposti da un Ente pubblico (Cass. n. 20811/2014). 3.1. Con il secondo motivo denuncia la “Violazione dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo alla sussistenza del danno”. In via subordinata, lamenta che la Corte territoriale abbia riconosciuto il risarcimento del danno richiesto in assenza di indagine sulla sussistenza dello stesso, che assume non essere stato nè allegato, nè provato dall’appaltatrice.

4. Il primo motivo è inammissibile.

4.1. La ricorrente si limita a riproporre le argomentazioni svolte nell’atto di appello e neppure precisa a quali “determinazioni” della conferenza di servizi faccia riferimento per inferirne che si tratta di factum principis, mentre nella sentenza impugnata in dettaglio si esamina il contenuto di atte verbali della conferenza di servizi del maggio 2000 e del gennaio 2001, nonchè del marzo 2001.

Inoltre, la ricorrente non censura specificamente, assumendone, anzi, la correttezza in astratto, la dirimente affermazione dei Giudici di merito sulla natura endoprocedimentale e non cogente delle decisioni della conferenza dei servizi. La Corte territoriale ha, quindi, tratto, da tale premessa la conclusione che la fattispecie non fosse sussumibile nell’ambito di cui all’art. 1256 c.c., rilevando, peraltro, che, nel caso concreto, i fondi erano già stati vincolati per la realizzazione dell’opera.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, la doglianza è inammissibile sia per genericità e difetto di autosufficienza, atteso il richiamo a provvedimenti amministrativi che neppure la ricorrente indica precisamente e dei quali non illustra in modo compiuto il contenuto, sia perchè non si confronta con il percorso argomentativo della sentenza impugnata, nel senso precisato.

Non ha pregio il richiamo alla pronuncia di questa Corte n, 20811/2014, concernente la ben diversa fattispecie dei vincoli assoluti di inedificabilità di natura archeologica.

5. Inammissibile è anche il secondo motivo, sia perchè, ancora una volta, la censura non si confronta con il decisum, avendo i giudici di merito ritenuto dimostrata la sussistenza del danno in via presuntiva, sia perchè la doglianza si risolve in una sostanziale richiesta di rivalutazione del merito, in particolare sulla prova della sussistenza del danno, ritenuta, motivatamente, fornita dai Giudici di merito. Nel denunciare il vizio di violazione di legge, limitandosi a riproporre le argomentazioni svolte nell’atto di appello, la ricorrente prospetta, infatti, una ricostruzione dei fatti e delle prove inammissibilmente difforme da quella accertata nei giudizi di merito, censurabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.600, di cui Euro100 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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