Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22676 del 27/09/2017

Cassazione civile, sez. II, 27/09/2017, (ud. 10/07/2017, dep.27/09/2017),  n. 22676

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20120/2013 proposto da:

T.A., nella qualità di legale rappresentante della

Gestione & Servizi srl, elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA

PRATI DEGLI STROZZI 32, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

PETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI MANIERI;

– ricorrente –

contro

COMUNE CITTA’ SANT’ANGELO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIUNIO BAZZONI N. 3, presso lo studio dell’avvocato DANIELE

VAGNOZZI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIULIO CERCEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 344/2013 del TRIBUNALE di PESCARA, depositata

il 12/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/07/2017 dal Dott. DARIO CAVALLARI;

sentito il PG Lucio Capasso, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 21 dicembre 2010 davanti al Giudice di Pace di Pescara T.A., nella qualità di legale rappresentante p.t. della Gestione e Servizi srl, proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 3/2010 del 25 novembre 2010 con cui il Comune di Città Sant’Angelo aveva inflitto la sanzione di Euro 3.011,76 per violazione della L. n. 11 del 2008 della Regione Abruzzo, in quanto avrebbe svolto attività di somministrazione di alimenti e bevande in locale non in regola con le norme ambientali, edilizie, urbanistiche, igienico-sanitarie, di sicurezza prevenzione incendi, inquinamento acustico, con riferimento al quale era stato emesso un provvedimento di diniego parziale del titolo edilizi a bitativo.

Il Giudice di Pace di Pescara, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1074/2011, accoglieva l’opposizione.

Con atto di appello notificato l’11 novembre 2011 il Comune di Città Sant’Angelo domandava al Tribunale di Pescara l’annullamento o la riforma della sentenza impugnata.

Il Tribunale di Pescara, nel contraddittorio delle parti, accoglieva l’appello con sentenza n. 344/2013.

T.A., nella qualità di legale rappresentante p.t. della Gestione e Servizi srl, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Comune di Città Sant’Angelo ha resistito con controricorso.

Il Comune di Città Sant’Angelo ha depositato memorie scritte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo Adriano Terenzi, nella qualità di legale rappresentante p.t. della Gestione e Servizi srl, lamenta la violazione e omessa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 1 e dei principi di legalità e di irretroattività delle sanzioni amministrative.

Afferma parte ricorrente che l’ordinanza contestata andrebbe annullata poichè emessa sul presupposto della legittimità del diniego parziale del titolo edilizio abilitativo in relazione alla struttura in legno lamellare individuata quale “locale” all’interno del quale sarebbero state commesse le violazioni contestate.

Questo diniego, come pure la successiva ordinanza di demolizione della presunta opera abusiva, era stato adottato il 3 agosto 2010, ed era stato seguito da una ulteriore ordinanza del 9 agosto 2010, che aveva disposto la cessazione immediata dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande nel locale.

I tre atti amministrativi summenzionati erano tutti posteriori alla data di commissione della presunta violazione, da individuare nel 25 luglio 2010.

Detti provvedimenti erano stati, altresì, impugnati davanti al Tar Abruzzo, Sezione Distaccata di Pescara, che ne aveva sospeso l’efficacia e l’esecutività.

Ne conseguirebbe, secondo la Gestione e Servizi srl, l’illegittimità della sanzione, poichè riferita ad una condotta posta in essere il 25 luglio 2010, quindi prima del verificarsi del suo presupposto, rappresentato dal diniego del 3 agosto 2010, e delle ingiunzioni di demolizione del 3 agosto 2010 e di cessazione della somministrazione del 9 agosto 2010, così essendo stati violati i principi di legalità e di irretroattività delle sanzioni amministrative.

Sostiene sempre parte ricorrente che, comunque, sarebbe stata avanzata, quattro anni prima dei fatti di causa, richiesta di condono edilizio concernente proprio il “locale” in questione, per cui si sarebbe ormai formato, al riguardo, il silenzio assenso, con sanatoria della costruzione.

La doglianza è infondata.

Ai sensi della L.R. Abruzzo n. 11 del 2008, art. 1, comma 100, l’attività di somministrazione di alimenti e bevande è esercitata nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia ambientale, edilizia, urbanistica, igienico-sanitaria, sicurezza, prevenzione incendi, inquinamento acustico.

Nella specie, nessuna violazione dei principi di legalità ed irretroattività delle sanzioni amministrative è dato riscontrare, poichè è incontestato che il “locale” (in realtà, un gazebo) fosse stato installato abusivamente ben prima dell’accertamento che ha condotto alla sanzione, tanto che la stessa Gestione e Servizi srl aveva avanzato richiesta di condono edilizio.

Erra, pertanto, la società ricorrente nell’affermare che il diniego parziale del titolo abilitativo del 3 agosto 2010 fosse il presupposto di emissione dell’ordinanza opposta, in quanto detto presupposto è rappresentato dalla somministrazione non autorizzata di cibo e bevande all’interno di struttura non idonea accertata il 25 luglio 2010.

In particolare, tale somministrazione era illegittima per il solo fatto che non ne fosse stato permesso l’espletamento all’interno del gazebo de quo (come accertato dai pubblici ufficiali intervenuti il 25 luglio 2010), nè alcuna autorizzazione avrebbe potuto esservi, a causa della natura abusiva della costruzione, non assumendo rilievo la richiesta di condono edilizio ed il suo esito.

Perciò, correttamente l’autorità preposta, una volta rilevato che la somministrazione di cibo e bevande avveniva anche in un gazebo abusivo, l’ha vietata con provvedimento del 9 agosto 2010.

Peraltro, quand’anche fossero esistiti i presupposti di condonabilità della violazione edilizia, l’attività vietata sarebbe rimasta sanzionabile fino all’ottenimento del titolo autorizzativo, in quanto le esigenze di tutela della salute pubblica e di rispetto della normativa urbanistica non consentono di permettere la somministrazione di cibo e bevande prima del conseguimento dei presupposti richiesti dalla legge, con la conseguenza che la sanatoria dell’abuso non avrebbe potuto esplicare efficacia retroattiva.

Infine, si osserva che, in tema di condono edilizio, il silenzio assenso previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 35, non si forma per il solo fatto dell’inutile decorso del termine indicato da tale norma (ventiquattro mesi dalla presentazione dell’istanza) e del pagamento dell’oblazione, senza alcuna risposta del Comune, ma occorre, altresì, la prova della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dagli artt. 31 e segg. della stessa legge (e, per le opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, dall’art. 39 della successiva L. n. 724 del 1999) cui è subordinata l’ammissibilità del condono (Cass., Sez. 1, n. 26260 del 14 dicembre 2007, Rv. 600950-01).

Nel caso in esame, detta prova non è stata fornita, ma, al contrario, il Tribunale di Pescara ha affermato che i ricorsi amministrativi menzionati dalla società ricorrente non hanno avuto esito positivo (la stessa società ricorrente ha dato atto che il suo ricorso al Tar era stato respinto e che era stato presentato appello davanti al Consiglio di Stato). La sanabilità dell’opera è da ritenere, allo stato, perciò, non più sub iudice.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in ordine al secondo motivo dell’opposizione proposta contro l’ordinanza impugnata, in violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè il Tribunale di Pescara non avrebbe esaminato la doglianza concernente il fatto che l’amministrazione, pendente il ricorso davanti al giudice amministrativo, avrebbe dovuto attenderne l’esito prima di emettere l’ordinanza opposta.

Il motivo è infondato.

Il vizio di omessa pronuncia, configurabile allorchè manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, deve essere escluso, pur in assenza di una specifica argomentazione, in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (Cass., Sez L, n. 1360 del 26 gennaio 2016, Rv. 638317-01).

Nella specie, il Tribunale di Pescara ha escluso ogni rilevanza della procedura concernente la domanda di condono e del procedimento pendente davanti al Tar, in quanto la società in questione non rispettava, alla data in cui era stato elevato il verbale di accertamento, la normativa edilizia ed urbanistica e “nessuna disposizione prevedeva o prevede che il procedimento di rilascio della autorizzazione sanitaria in questione e delle eventuali procedure di accertamento delle connesse violazioni amministrative debbano essere sospese in attesa dell’esito della procedura di condono”.

Se ne ricava che il motivo di appello in questione era stato implicitamente oggetto di valutazione.

3. Il ricorso va, quindi, rigettato.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015, Rv. 636018-01).

PQM

 

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione in favore del Comune di Città Sant’Angelo, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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