Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22676 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 11/09/2019, (ud. 12/03/2019, dep. 11/09/2019), n.22676

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14789-2012 proposto da:

T.P., T.R., elettivamente domiciliati in ROMA

VIA G.B. VICO 1, presso lo studio dell’avvocato LORENZO PROSPERI

MANGILI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CLAUDIO SILOCCHI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 26/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 23/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/03/2019 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.M. propose ricorso avverso cartella di pagamento notificatale da Uniriscossioni s.p.a., con cui le si ingiungeva il pagamento di Euro 206.058,25, a seguito di accertamento per l’anno 2002, asseritamente notificato il 5.11.2005 e divenuto definitivo perchè non opposto. La C.T.P. di Mantova, con sentenza del 21.2.2007, accolse il ricorso, stante l’accertata nullità della notifica dell’avviso di accertamento prodromico alla cartella impugnata. Proposto appello dall’Ufficio, la C.T.R. della Lombardia, sez. st. di Brescia, con sentenza del 23.1.2012, l’accolse, conseguentemente rigettando il ricorso della contribuente, frattanto deceduta.

T.R. e T.P., quali eredi di T.M., ricorrono ora per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti lamentano l’erroneità della sentenza impugnata, laddove non si è ritenuta esiziale – per la validità della notificazione dell’avviso di accertamento prodromico alla cartella impugnata – la mancanza di qualsiasi indicazione nell’avviso di ricevimento, da parte dell’agente postale, sia dell’invio della C.A.D., che del relativo numero di raccomandata. Rilevano altresì come del tutto irrilevante sia, ai fini che interessano, la produzione del duplicato dell’avviso di ricevimento asseritamente riconducibile alla C.A.D., operata dall’Ufficio nel corso del giudizio di primo grado, perchè non v’è possibilità di abbinare con certezza il numero della raccomandata con l’atto impositivo in discorso, sia perchè esso non risulta acquisito tra gli atti ottenuti a seguito di accesso, sia perchè da una interrogazione al sistema postale risulta che la relativa raccomandata indicata non è mai entrata nel circuito delle spedizioni. 1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c. e della L. n. 890 del 1982, artt. 4 e 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti si dolgono del fatto che la C.T.R., dopo aver correttamente effettuato la ricognizione del contenuto dell’avviso di ricevimento della raccomandata di spedizione dell’avviso di accertamento – evidenziando che quanto da esso evincibile è coperto da fede privilegiata, fino a querela di falso – ha tuttavia consentito all’Ufficio di fornire la prova della spedizione della C.A.D. mediante il detto duplicato, non tenendo conto che, appunto, l’avviso fa piena prova di quanto da esso emerge e il dato mancante non può essere fornito aliunde.

1.3 – Con il terzo motivo, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La C.T.R. ha dapprima chiesto chiarimenti – ritenuti indispensabili – alle Poste di Mantova, ma preso atto con sconcerto della mancata custodia della documentazione, ha deciso allo stato degli atti in senso deteriore per il contribuente, contraddicendosi.

2.1 – Il primo e il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

E’ inequivoco che, in data 5.11.2005, l’agente postale, non avendo rinvenuto la destinataria dell’avviso di accertamento (OMISSIS) e procedendo ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, immise avviso nella cassetta postale e depositò il plico presso l’ufficio postale, senza però indicare nell’avviso di ricevimento di aver inviato la relativa C.A.D., nè ne annotò il numero di raccomandata.

Ora, la C.T.R. ha ritenuto che la mancata annotazione del numero della raccomandata di spedizione della C.A.D., e della relativa data, sull’avviso di ricevimento non escluda la possibilità, per il notificante, di dimostrare che la prescritta attività sia stata effettivamente posta in essere, giacchè le dette annotazioni non sono previste a pena di nullità e difetta, in ogni caso, la lesione di un diritto sostanziale del notificato. Alla luce di tali premesse, quindi, la C.T.R. ha ritenuto che la prova della spedizione della C.A.D. sia stata fornita dall’Agenzia, mediante la produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata n. (OMISSIS), spedita il 6.11.2005, postalizzata (cioè, immessa in cassetta), univocamente riferibile all’avviso di accertamento in discorso, di cui viene riportato il protocollo ((OMISSIS)), il numero della raccomandata di spedizione ((OMISSIS)) e la relativa data ((OMISSIS)).

Ritiene il Collegio che tale percorso motivazionale non si ponga in contrasto con la normativa in rubrica, giacchè – pur vero essendo che l’avviso di ricevimento in discorso non reca l’indicazione del numero della raccomandata della C.A.D., nè la data di spedizione – l’accertamento in fatto operato dalla C.T.R. è inequivoco nel senso che la relativa attività da parte dell’agente postale, prescritta dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, sia stata effettivamente posta in essere, il che soltanto rileva ai fini della validità della notifica stessa.

Del resto, pur vero essendo che numerose pronunce di questa Corte fanno esplicito riferimento, ai fini della verifica della esistenza e tempestività della notifica eseguita a mezzo del servizio postale, a ciò che solo risulta dall’avviso di ricevimento della raccomandata (Cass. n. 15374/2018, Cass. n. 28856/2005, Cass. n. 3737/2004, Cass. n. 13285/2000), reputa il Collegio preferibile altro orientamento, in base al quale è consentito al notificante di dimostrare aliunde l’attività svolta dall’agente postale (Cass. n. 10998/2011; Cass. n. 25031/2008; Cass. n. 11371/1999), come è appunto avvenuto nel caso che occupa, solo rilevando che l’attività prevista dall’art. 8 cit. sia stata effettivamente svolta, non prescrivendo la norma primaria che le annotazioni dell’agente postale nello stesso avviso siano riportate a pena di nullità/inesistenza della notificazione.

Proprio per tale ragione, quindi, ritiene il Collegio che la eventuale omissione o dimenticanza in cui sia incorso l’agente postale nella compilazione dell’avviso di ricevimento non faccia fede fino a querela di falso circa il mancato compimento dell’attività non documentata, sicchè non occorre proporre querela di falso per rimuoverne gli effetti, come invece propugnato dai ricorrenti.

3.1 – Il terzo motivo è inammissibile.

Nel formulare la censura di contraddittorietà della motivazione, infatti, i ricorrenti non colgono la ratio decidendi, giacchè la C.T.R. non ha in alcun modo valorizzato l’esito negativo delle informazioni richieste alle Poste di Mantova, facendone poi discendere conseguenze logicamente contrastanti, ma semplicemente ne ha preso atto, giungendo alla decisione sulla base delle risultanze già acquisite, evidentemente ritenute – re melius perpensa – sufficienti. Non può quindi configurarsi alcuna contraddittorietà della motivazione, perchè essa si muove, sul piano logico, nel senso sopra descritto, del tutto coerentemente con l’accertata impossibilità di ottenere le informazioni richieste. Del resto, a ben vedere, se contraddizione può sussistere nella specie, essa può solo concernere, in astratto, la sentenza impugnata e l’ordinanza con cui è stato chiesto il “chiarimento documentale definitivo” alle Poste, ma è evidente come l’eventuale contraddittorietà non possa inficiare la sentenza qui impugnata, non essendovi ragione per non ritenere applicabile anche al processo tributario, in forza del richiamo disposto in generale dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, del principio dettato dall’art. 177 c.p.c., comma 1, in forza del quale le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa.

3.1 – Il ricorso è quindi respinto. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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