Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22674 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2020, (ud. 22/07/2020, dep. 19/10/2020), n.22674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3797-2015 proposto da:

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 35,

presso lo studio degli avvocati DOMENICO D’AMATI, GIOVANNI NICOLA

D’AMATI, che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8161/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/11/2014 R.G.N. 1524/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 22/07/2020 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 8161/2014, pubblicata in data 14 novembre 2014, la Corte d’appello di Roma, adita dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, confermava la decisione del locale Tribunale che aveva accertato l’illegittimità della risoluzione unilaterale del rapporto intimata a L.C. in data 29/1/2010, ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, ed aveva condannato il Ministero a riammettere in servizio il L. ed a corrispondergli le retribuzioni maturate dal 6/8/2010 all’effettivo ripristino del rapporto in misura di Euro 14.730,10 mensili, oltre interessi come per legge;

la Corte territoriale, premesso che a L.C. era stato conferito per il periodo dal 13/3/2009 al 31/10/2011 l’incarico di livello dirigenziale di Direttore Generale dell’ufficio per la regolazione dei Servizi Ferroviari del Ministero e che con nota del 29/1/2010 il Ministero gli aveva comunicato di volersi avvalere della facoltà concessa dal richiamato art. 72, per il raggiungimento della massima anzianità contributiva, dopo aver ricostruito il quadro normativo ed evidenziato che a norma del D.L. n. 98 del 2011, art. 16, comma 11, convertito con L. n. 111 del 2011, il recesso non richiede alcuna motivazione in presenza di criteri organizzativi generali adottati dalla P.A., riteneva necessaria una motivazione dell’atto di recesso anche alla luce della norma interpretativa evidenziando che i richiamati criteri assumessero diretta rilevanza sulla legittimità degli atti di recesso;

evidenziava che, nella specie, l’atto di recesso era stato adottato senza che risultassero comprovate le ragioni poste a suo fondamento, con motivazione apparente;

sottolineava la assoluta mancanza di un preventivo piano organico di rideterminazione dei fabbisogni del personale e che, nella specie, il L. era stato l’unico Dirigente Generale, insieme ad altro collega, nei cui confronti il Ministero aveva operato il recesso, laddove altri dirigenti del medesimo Ministero, pur in possesso del medesimo requisito di 40 anni di anzianità contributiva, erano stati mantenuti in servizio;

riteneva, infine, che non fosse stata debitamente avversata in sede di atto di appello la circostanza, valorizzata dal giudice di primo grado, della sussistenza di un comportamento discriminatorio dell’amministrazione nell’esercizio del potere di recesso;

2. avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti affidato a due motivi;

3. L.C. ha resistito con controricorso successivamente illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia la violazione del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11 e art. 74 conv. in L. 6 agosto 2008, n. 133 nonchè del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 6, comma 11, conv. con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3);

censura la sentenza impugnata per aver richiesto, quale presupposto di legittimità del recesso (da indicare anche nella motivazione dell’atto), un requisito (vale a dire la predisposizione del piano organico) estraneo al disposto normativo;

sostiene che la facoltà di recesso di cui all’art. 72, comma 11, non necessiti di ulteriore motivazione qualora l’amministrazione interessata abbia determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna;

2. con il secondo motivo il Ministero ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

critica la sentenza impugnata per aver ritenuto che in sede di appello non fosse stata avversata la ritenuta sussistenza di una discriminazione dell’amministrazione nell’esercizio del potere di recesso, laddove, in realtà, “il profilo era stato tempestivamente dedotto”;

3. il primo motivo è infondato;

3.1. vanno richiamati plurimi precedenti di questa Corte, resi in vicende del tutto analoghe (v. Cass. 5 marzo 2019, n. 6353; Cass. 18 ottobre 2017, n. 24583; Cass. 23 gennaio 2017, n. 1706; Cass. 23 ottobre 2015, n. 21626; Cass. 6 giugno 2016, n. 11595);

3.2. in detti precedenti, dopo ampia ricostruzione degli interventi normativi che hanno interessato l’istituto del recesso unilaterale del datore di lavoro pubblico al raggiungimento della massima anzianità contributiva, più volte modificato dal legislatore, è stato evidenziato che la facoltà della Pubblica Amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di impiego al raggiungimento di tale massima anzianità contributiva, e con un preavviso di sei mesi, è stata prevista dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, primo e secondo periodo, poi convertito dalla L. 6 agosto 2008, n. 112, norma successivamente novellata dalla L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 6, comma 3, che ne ha modificato il testo, sostituendo il requisito del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni, con il requisito del “compimento dell’anzianità massima di servizio di 40 anni”;

successivamente, con il D.L. 10 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 35 novies, convertito dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, si è sostituito il comma 11 dell’art. 72 facendosi riferimento (limitatamente al triennio 2009, 2010, 2011 poi, però prorogato sino al 31/12/2014 dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 1, comma 16, convertito nella L. 14 settembre 2011, n. 148) al requisito della massima anzianità contributiva, confermandosi il preavviso, collegandosi il recesso all’esercizio del potere di organizzazione ai sensi dell’art. 5, comma 2 T.U., con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, prevedendosi l’applicabilità della disciplina anche per il personale dirigenziale, mantenendosi la previsione dell’adozione di specifici criteri e modalità applicative solo per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri;

è, ancora, intervenuto il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 16, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, che, ha stabilito: “In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11 convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”;

è, da ultimo, intervenuto il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 1, comma 5, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, in ragione del quale il vigente art. 72, comma 11, primo periodo, prevede: “Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento” (…) “risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale” (…);

3.3. il recesso della cui ritenuta illegittimità si duole l’odierno ricorrente è stato intimato il 29 gennaio 2010, e, dunque ricade nella disciplina di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, anteriore alla riforma del 2011 ed alle successive modifiche intervenute;

3.4. questa Corte, con riferimento alla riforma di cui al D.L. n. 98 del 2011, ha affermato (Cass. n. 21626/2015 cit.) che è solo a partire da tale ulteriore modifica che l’esercizio della facoltà delle pubbliche amministrazioni di risolvere il rapporto d’impiego sul presupposto del compimento dell’anzianità massima contributiva di quarant’anni è condizionato in generale (ossia per tutti i comparti e i settori della pubblica amministrazione), alla previa adozione di un atto generale di organizzazione interna che ponga i criteri applicativi per l’esercizio di tale facoltà;

solo con riferimento agli atti successivi all’entrata in vigore del D.L. n. 98 del 2011, art. 16, conv. con modif. nella L. n. 111 del 2011, il legislatore ha, dunque, introdotto una deroga all’obbligo di espressa motivazione della facoltà di recesso, ma ha sottoposto lo stesso a due stringenti condizioni: a) che l’atto sia stato preceduto dall’adozione di provvedimenti generali di organizzazione interna (di cui allo stesso art. 16); b) che l’atto contenga l’espresso richiamo ai criteri applicativi della norma, individuati in via preventiva, secondo quanto già le leggi precedenti prevedevano per le sole amministrazioni degli esteri, dell’interno e della difesa in virtù delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti;

in precedenza, invece, solo per alcuni comparti – come già rilevato – si richiedeva l’integrazione regolamentare per la definizione degli specifici criteri e le modalità applicative della disposizione che tale facoltà prevedeva;

è pertanto chiaro che la previsione della necessità di adozione di un atto generale organizzativo, sostitutivo dell’ulteriore motivazione, ha introdotto nell’ordinamento una norma con efficacia innovativa e non già di portata soltanto interpretativa, intervenuta al termine di un articolato percorso legislativo, il cui significato non vale comunque ad escludere che, fin dall’originaria formulazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, le amministrazioni fossero tenute a motivare il recesso unilaterale dai rapporti d’impiego dei dipendenti che avevano raggiunto la massima anzianità contributiva;

3.5. se, dunque, per un verso il legislatore ha inteso accentuare la rilevanza privatistica dell’atto, escludendone la soggezione alla disciplina prevista per i provvedimenti amministrativi dalla L. n. 241 del 1990, per altro verso l’intera evoluzione normativa testimonia come l’esigenza di vincolare gli enti pubblici datori all’effettuazione di un percorso valutativo chiaro e trasparente, sia emersa proprio nel ribadito contesto privatistico, per finalizzare l’esercizio della facoltà di recesso all’interesse pubblico dell’ente ad una più efficace ed efficiente organizzazione, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e dei criteri di imparzialità e trasparenza;

la necessità di valorizzare il percorso motivazionale s’impone poi proprio in virtù del carattere facoltativo della risoluzione, onde evitare che l’esercizio del potere attribuito abbia a tradursi in atti discriminatori in danno dei soggetti vicini al raggiungimento dell’età anagrafica per il collocamento in quiescenza;

3.6. ed allora è corretta la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto che la lettera di risoluzione del rapporto del 29/1/2010 non rispondesse alle indicate previsioni normative non emergendo le ragioni con le quali si era inteso motivare il provvedimento e finanche mancando un preventivo piano organico di rideterminazione del personale ovvero un preventivo accertamento idoneo a dimostrare che l’equilibrio tra dotazioni organiche e consistenza del personale in servizio fosse stato o potesse essere compromesso, in concreto, da un’eccedenza di personale in servizio rispetto alle piante organiche (v. sentenza impugnata pag. 11);

le suddette argomentazioni sono del tutto in linea con quanto disposto dalla legge e affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la risoluzione facoltativa si traduce in discriminazione vietata tutte le volte che a giustificazione della stessa l’amministrazione procedente abbia posto il solo elemento del raggiungimento dell’anzianità contributiva (Cass. n. 11595/2016 cit.) senza che risulti adempiuto l’obbligo di motivare l’esercizio della facoltà prevista dal D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, conv. con modif. in L. n. 133 del 2008, di cui, come detto, la legge fa carico alle amministrazioni, e che si giustifica perchè “…è attraverso la motivazione che la P.A. esplicita le ragioni organizzative sottese all’adozione dell’atto di risoluzione e lo rende rispondente al pubblico interesse che deve costantemente orientare l’azione amministrativa…” (Cass. n. 24583/2017 cit.);

4. il secondo motivo è inammissibile per carenza di interesse;

è stato infatti affermato da questa Corte (v. Cass. 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108) che qualora, come nella specie, la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle ‘rationes decidendì (e così, nel caso in esame l’infondatezza delle censure di cui al primo motivo di ricorso) rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa;

5. sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va respinto;

6. l’onere delle spese del giudizio di legittimità resta a carico di parte ricorrente, in applicazione della regola generale della soccombenza;

7. non può trovare applicazione nei confronti dell’Amministrazione dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che la stessa, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il Ministero ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 22 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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