Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22673 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2020, (ud. 22/07/2020, dep. 19/10/2020), n.22673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4466-2015 proposto da:

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI

PORTOGHESI 12, ope legis;

– ricorrente –

contro

G.A., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’Avvocato DOMENICO LO POLITO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1227/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/11/2014 R.G.N. 1310/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 22/07/2020 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto l’appello del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva accolto il ricorso di G.A. ed aveva condannato il Ministero al risarcimento del danno, quantificato in misura pari al differenziale fra quanto la G. avrebbe percepito se le fosse stato conferito un incarico di supplenza per il periodo 18 febbraio/31 agosto 2009 e quanto dalla stessa ricevuto nel medesimo arco temporale;

2. la Corte territoriale ha premesso che l’appellata aveva chiesto di essere inclusa nella graduatoria ATA per il triennio 2005/2008 con il profilo di infermiere, sebbene all’epoca della domanda ella non fosse ancora in possesso della laurea in scienze infermieristiche, conseguita solo nel novembre del 2005;

3. successivamente l’Amministrazione, accertato il mancato possesso del titolo, aveva depennato la G. dalla graduatoria ed aveva anche rettificato il punteggio alla stessa attribuito per il successivo triennio 2008/2011 sul presupposto che non potesse produrre effetti il servizio prestato, solo in via di fatto, nella vigenza della graduatoria nella quale l’appellata non poteva essere inclusa;

4. la Corte territoriale, per quel che ancora rileva in questa sede, ha ritenuto illegittima la decurtazione ed ha rilevato che al momento dell’adozione del provvedimento la graduatoria 2005/2008 aveva cessato di produrre effetti ed il vizio genetico dalla quale la stessa era affetta non poteva riverberarsi anche su quella per il triennio successivo, autonoma rispetto alla precedente;

5. ha rilevato al riguardo che l’ordinanza valorizzava il “servizio di fatto prestato” e pertanto il punteggio attribuito alla G. non poteva esserle sottratto, perchè l’attività era stata resa da soggetto che aveva ormai conseguito il titolo necessario e, quindi, il contratto a termine non poteva essere ritenuto nullo per illiceità dell’oggetto o della causa;

6. l’amministrazione non aveva proposto l’azione di annullamento, che sarebbe stata necessaria per far valere il vizio dedotto, e quindi la stessa non poteva, facendo leva sulla dichiarazione mendace, rifiutarsi di tener conto dell’attività prestata dalla G. nella vigenza della precedente graduatoria;

7. per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso il MIUR sulla base di due motivi, ai quali G.A. ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 75; contrasto con principi etici e giuridici fondamentali a livello nazionale e comunitario, violazione del principio di legalità, del principio di trasparenza e di buon andamento della Pubblica Amministrazione nonchè del principio di leale concorrenza tra candidati; erronea applicazione dell’art. 2126 c.c.” e sostiene, in sintesi, che, ai sensi della disposizione richiamata in rubrica, la parte che rende la dichiarazione mendace decade da tutti i benefici conseguenti alla dichiarazione stessa;

1.1. nel caso di specie, pertanto, seppure la graduatoria aveva ormai cessato di produrre effetti diretti, il suo vizio si riverberava necessariamente anche su quella successiva, perchè l’attività che la G. pretendeva di valorizzare era stata illegittimamente resa solo grazie all’attestazione non rispondente al vero;

1.2. il Ministero richiama, poi, giurisprudenza amministrativa per sostenere che il rapporto reso in via di mero fatto, produce effetti solo nei limiti indicati dall’art. 2126 c.c. e non può essere valorizzato per gli ulteriori sviluppi di carriera;

2. la seconda censura, egualmente formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 2043 c.c., perchè doveva essere esclusa la responsabilità della Pubblica Amministrazione e perchè la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance non può essere avanzata dalla parte che, tenendo una condotta fraudolenta, abbia determinato la situazione di illegalità e reso necessario l’intervento dell’ente, cioè l’adozione dell’atto dal quale si assume che il danno sarebbe derivato;

3. è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla difesa della controricorrente;

3.1. il principio secondo cui nel giudizio di cassazione non possono essere prospettate questioni nuove, che non siano state affrontate nei gradi del giudizio di merito, opera solo nei casi in cui la questione stessa implichi anche accertamenti di fatto non ricompresi nel thema decidendum e probandum e non è invocabile allorquando, fermo l’accertamento fattuale, la parte si dolga della violazione o dell’errata applicazione di norme giuridiche destinate a disciplinare la fattispecie accertata dal giudice del merito;

3.2. va ricordato, infatti, che in ragione della funzione del giudizio di legittimità, teso a garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè sulla base del principio generale desumibile dall’art. 384 c.p.c., la Corte di Cassazione, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, può ritenere fondata o infondata la questione anche per una ragione giuridica diversa da quella specificamente prospettata dalle parti e della quale si è discusso nei gradi di merito (in tal senso fra le più recenti in motivazione Cass. n. 12120/2020; Cass. n. 6809/2020; Cass. n. 4876/2020 e la giurisprudenza ivi richiamata), sicchè non può essere ritenuto inammissibile il ricorso con il quale l’esercizio di detto potere venga sollecitato;

4. il primo motivo di ricorso è fondato, perchè la sentenza impugnata, nell’escludere che fossero affetti da nullità i contratti a termine stipulati con la G. nella vigenza della graduatoria valevole per il triennio 2005/2008, si è posta in contrasto con il principio di diritto secondo cui “il determinarsi di falsi documentali (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, lett. d) o dichiarazioni non veritiere (D.P.R. n. 445 del 2001, art. 75) in occasione dell’accesso al pubblico impiego è causa di decadenza, per conseguente nullità del contratto, allorquando tali infedeltà comportino la carenza di un requisito che avrebbe in ogni caso impedito l’instaurazione del rapporto di lavoro con la P.A.” (Cass. n. 18699/2019 e negli stessi termini Cass. n. 10854/2020 pronunciata in fattispecie nella quale, a seguito della falsa dichiarazione, era stato ottenuto l’inserimento nelle graduatorie di istituto del personale ATA);

4.1. con le richiamate pronunce si è evidenziato che il D.P.R. n. 445 del 2000, art. 75 nel prevedere, quanto alle dichiarazioni sostitutive, che la “non veridicità del contenuto” comporta la decadenza del dichiarante “dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”, opera ogniqualvolta, in assenza della falsa dichiarazione, l’impiego non sarebbe stato ottenuto, ossia nei casi in cui l’inclusione nella graduatoria concorsuale o selettiva sia diretta conseguenza del mendacio;

4.2. si è precisato, inoltre, che sul piano contrattuale la “decadenza dai benefici” si risolve in un vizio genetico del contratto, ossia nella nullità dello stesso, e ciò è stato affermato in linea con l’orientamento, ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte, alla stregua del quale nel pubblico impiego contrattualizzato la regola posta dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 35 e 36 che in attuazione dell’art. 97 Cost. impongono alle Pubbliche Amministrazioni l’individuazione del contraente nel rispetto delle procedure concorsuali o, per le qualifiche meno elevate, delle modalità di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato art. 35, comma 1, lett. b) e del D.P.R. n. 487 del 1994, artt. 23 e ss. seppure non direttamente attinente al contenuto delle obbligazioni contrattuali, si riflette sulla validità del negozio, perchè individua un requisito che deve sussistere in capo al contraente, di tal chè, ove si consentisse lo svolgimento del rapporto con soggetto privo del requisito in parola, si finirebbe per porre nel nulla la norma inderogabile, posta a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione, secondo il Costituente, deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici (cfr. fra le più recenti Cass. n. 30999/2019, Cass. n. 17002/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata);

4.3. quanto ai poteri che la Pubblica Amministrazione può esercitare ove si avveda della falsità della dichiarazione e, più in generale, dell’illegittimità dell’assunzione si è evidenziato che l’atto con il quale l’amministrazione revochi l’incarico a seguito dell’annullamento della procedura concorsuale o dell’inosservanza dell’ordine di graduatoria “equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perchè affetto da nullità, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l’assenza di un vincolo contrattuale” (Cass. nn. 8328/2010, 19626/2015, 13800/2017, 7054/2018, 194/2019), ovverosia, secondo un più risalente ma pur sempre valido precedente, a decadenza in questi casi va apprezzata “semplicemente in termini di rifiuto dell’amministrazione scolastica di continuare a dare esecuzione al rapporto di lavoro a causa della nullità del contratto per violazione di norma imperativa” (Cass. 13150/2006);

5. dai richiamati principi, qui ribaditi perchè condivisi dal Collegio, discende, inoltre, che il rapporto di lavoro, in quanto affetto da nullità, può produrre effetti nei soli limiti indicati dall’art. 2126 c.c., applicabile anche alle Pubbliche Amministrazioni, e pertanto, ferma l’irripetibilità delle retribuzioni corrisposte in ragione della prestazione resa, sia pure in via di mero fatto, dello stesso non si può tenere conto ai fini di successive assunzioni o di avanzamenti di carriera, operando in tal caso la regola generale secondo cui quod nullum est nullum producit effectum;

6. nel caso di specie, pertanto, ha errato la Corte territoriale nel ritenere che l’accertamento della falsità ideologica dell’autocertificazione, resa in occasione della formazione delle graduatorie per il personale ATA relative al triennio 2005/2008, non si riverberasse anche sulla procedura inerente le nuove graduatorie, perchè i rapporti a termine che si erano svolti solo grazie alla dichiarazione mendace, non potevano essere in alcun modo valutati ai fini dell’attribuzione dei punteggi;

7. al riguardo occorre precisare che la circostanza che al momento dell’assunzione la G. avesse conseguito il titolo necessario per svolgere l’attività di infermiere, titolo ottenuto nel novembre 2005, in data successiva a quella fissata per la presentazione della domanda di inserimento in graduatoria, non vale ad escludere la nullità del rapporto a termine, perchè solo per effetto della falsa dichiarazione l’originaria ricorrente era stata inclusa nella graduatoria stessa, pur in assenza dei requisiti necessari che dovevano essere posseduti entro la data fissata per la presentazione della domanda;

8. il primo motivo di ricorso è, pertanto, fondato e va accolto, con conseguente assorbimento della seconda censura;

9. la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame sulla base dei principi di diritto enunciati nei punti che precedono, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità;

10. non sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 22 luglio e il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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