Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22672 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 08/11/2016, (ud. 09/05/2016, dep. 08/11/2016), n.22672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25443/2014 proposto da:

FILAS SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE DELLE BELLE ARTI

8, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO PAGLIETTI, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BONACCORSI

DI PATTI, che lo rappresenta e difende.

– controricorrente –

avverso il decreto n. 411/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

24/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA;

udito l’Avvocato Bonaccorsi di Patti Domenico difensore del

resistente che ha chiesto si riporta agli scritti.

Fatto

PREMESSO

Che il Consigliere relatore ha depositata relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., nella quale si legge quanto segue:

“1. – Il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del fallimento (OMISSIS) s.p.a. proposta dalla FI.LA.S. Finanziaria Laziale di Sviluppo s.p.a., dal quale era stato escluso il credito della opponente di complessivi Euro 255.000,00, derivante dalla risoluzione di un contratto di associazione in partecipazione stipulato dalla opponente, in veste di associata, e dalla società fallita, in veste di associante, per la realizzazione di un lungometraggio animato. Della somma citata, Euro 45.000,00 venivano richiesti a titolo di penale, secondo quanto previsto dall’art. 9 del contratto, recante clausola risolutiva espressa, ed Euro 210.000,00 a titolo di restituzione dell’apporto erogato dall’associata.

Il Tribunale ha ritenuto inapplicabile la penale prevista dalla clausola risolutiva espressa di cui sopra, non essendo stata provata la chiara ed inequivoca volontà della ricorrente di avvalersi della stessa; con la conseguenza che il contratto doveva ritenersi non già risolto ai sensi dell’art. 1456 c.c., bensì sciolto ai sensi della L. Fall., art. 77, a seguito della dichiarazione di fallimento dell’associante. L’associata aveva dunque diritto di far valere nel passivo il credito relativo alla parte dei conferimenti che non era assorbita dalle perdite a suo carico, non potendo interpretarsi come clausola di esclusione della sua partecipazione alle perdite l’art. 5 del contratto, a mente del quale: “E’ espressamente esclusa ogni partecipazione della FILAS ad eventuali perdite derivanti dalla produzione e/o commercializzazione dell’Opera. Secondo quanto disposto dall’art. 2553 c.c., le parti convengono espressamente che le perdite che colpiscono la FILAS non possono superare il valore del suo apporto”. Tale clausola infatti andava interpretata come limitazione della responsabilità dell’associata al suo apporto economico, secondo la regola generale di cui all’art. 2553 c.c., espressamente richiamato dalle parti. Il principio di conservazione del contratto, di cui all’art. 1367 c.c., imponeva di superare nel senso anzidetto la contraddizione, altrimenti insanabile, tra il primo ed il secondo periodo della clausola contrattuale.

Pertanto, risultando dal rendiconto del curatore che l’apporto dell’associata era stato completamente assorbito dalle perdite, non residuava alcun credito di quest’ultima da insinuare al passivo.

2. – La FI.LA.S. s.p.a. ha quindi proposto ricorso per cassazione con un unico, complesso, motivo di censura, cui la curatela intimata ha resistito con controricorso.

3. – Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto e omesso esame di un fatto decisivo, si censura l’interpretazione data dal Tribunale alla previsione di cui all’art. 5 del contratto di associazione in partecipazione, ribadendo la tesi della esclusione di qualsiasi partecipazione dell’associata alle perdite.

Schematizzando può dirsi che la ricorrente lamenti:

a) che il Tribunale non abbia considerato che la mancanza di partecipazione dell’associata alle perdite si giustificava in base alla previsione contrattuale della sostanziale esclusione della partecipazione della medesima agli utili, essendo prevista dall’art. 11 del contratto una remunerazione del capitale non superiore all’Euribor a sei mesi maggiorato di uno spread del 1% annuo;

b) che il Tribunale abbia violato il principio di priorità delle norme strettamente interpretative, dettate dagli artt. 1362 – 1365 c.c., rispetto a quelle di interpretazione integrativa, di cui agli artt. 1366 e 1371 c.c.: le quali ultime non vengono in considerazione allorchè la comune volontà dei contraenti risulti già con chiarezza grazie all’applicazione delle prime;

c) che nel persistente dubbio sulla interpretazione della clausola in esame, andava fatta applicazione delle regole finali di cui all’art. 1371 c.c..

3.1 – La censura sub a) è inammissibile, consistendo in una critica di merito.

La censura sub b) è inammissibile poichè il Tribunale, con accertamento di fatto non adeguatamente censurato dalla ricorrente (come si è visto esaminando la precedente censura), ha affermato l’ambiguità della clausola contrattuale; ambiguità da superare, dunque, mediante il ricorso ai criteri ermeneutici integrativi, tra quali il Tribunale ha applicato appunto quello di cui all’art. 1367 c.c..

Inammissibile è anche la censura sub c), la quale si fonda, del pari, su un presupposto – il persistente dubbio sull’interpretazione della clausola – escluso in punto di fatto dal provvedimento impugnato”;

che detta relazione è stata notificata agli avvocati delle parti costituite;

che entrambe le parti hanno presentato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

Che il collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione sopra trascritta, non superate da quelle svolte nella memoria di parte ricorrente;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; che le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per compensi di avvocato, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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