Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22670 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 19/10/2020), n.22670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8313-2014 proposto da:

CONFARTIGIANATO SASSARI – UNIONE PROVINCIALE DEGLI ARTIGIANI E DELLE

PICCOLE IMPRESE, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. FRIGGERI 82, presso lo

studio dell’avvocato MARIO FIANDANESE, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCO DORE;

– ricorrente –

contro

C.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI

123, presso lo studio dell’avvocato RAIMONDO DETTORI, rappresentata

e difesa dall’avvocato PAOLO MORGANA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 63/2013 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZ.

DIST. DI SASSARI, depositata il 13/03/2013 R.G.N. 181/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 16/07/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza in data 13 marzo 2013 n. 63 la Corte d’Appello di Cagliari riformava la sentenza del Tribunale di Sassari e, per l’effetto, in parziale accoglimento della domanda proposta da C.B. nei confronti di CONFARTIGIANATO SASSARI (in prosieguo, CONFARTIGIANATO), accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, condannava CONFARTIGIANATO al pagamento delle differenze di retribuzione e del TFR (per complessivi Euro 23.998,15 oltre accessori).

2. La Corte territoriale richiamava le deposizioni dei testi ed osservava come la maggior parte di esse non fosse coerente al contratto di collaborazione coordinata e continuativa formalmente intercorso tra le parti, avente ad oggetto le attività di recupero crediti, contenzioso e vertenze sindacali. Risultava, infatti, un obbligo di presenza ed un potere direttivo, in quanto la C. era soggetta alle rigide direttive del segretario, era tenuta a chiedere la autorizzazione per assentarsi ed ad avvisare se usciva, persino per ragioni di lavoro.

3. Era provato l’esercizio di un potere disciplinare, posto che da varie deposizioni risultava che era stata rimproverata per avere preso o ripreso servizio in ritardo. La C. mensilmente doveva rendere il conto della attività svolta e delle relative modalità, con un controllo che andava al di là di quello proprio del committente. Infine, quanto meno nell’anno 2003, aveva partecipato alla campagna tesseramenti, che non era attinente alla prestazione convenuta.

4. In un documento di CONFARTIGIANATO, diretto ai responsabili di uffici e servizi, era indicata come “responsabile del recupero crediti” ed invitata, come gli altri, alla stesura di una relazione sulla rendicontazione del 2000; in altro documento dell’aprile 2001 era qualificata da CONFARTIGIANATO come proprio “funzionario”, per l’inserimento nel corso di arbitrato.

5. Conclusivamente, le modalità della prestazione erano maggiormente aderenti allo schema del rapporto subordinato.

6. La C. non aveva mai svolto attività di procuratore legale, perchè all’esito infruttuoso del tentativo di recupero dei crediti le pratiche venivano inviate ad uno studio legale; le sue attività consistevano, come emergeva dalla lettera in atti – verosimilmente proveniente dal segretario – nella gestione di diverse pratiche e nel recupero delle quote associative, con un ambito più esteso rispetto a quello convenuto nel contratto ma con un contenuto più semplice.

7. La attività non poteva essere inquadrata, come domandato, nel primo livello ma nella terza categoria.

8. Il credito maturato risultava dai conteggi; doveva essere riconosciuta la indennità sostitutiva di ferie e permessi, in quanto CONFARTIGIANATO, assumendo in giudizio la natura autonoma del rapporto, implicitamente ammetteva di non avere concesso le ferie sicchè era a suo carico l’onere di provarne il godimento.

9. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza CONFARTIGIANATO, articolato in due motivi, cui ha opposto difese C.B. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione degli artt. 2094,2086,2222 c.c., art. 2702 c.c. e ss., art. 2697 c.c. nonchè degli artt. 111,112,113 e 115 c.p.c.

2. Ha censurato l’errore di qualificazione commesso dal giudice dell’appello per avere trascurato il rilievo del dato contrattuale e malamente identificato l’attività svolta dalla C. (in quanto, dopo avere valorizzato i documenti del CONSORZIO nei quali era indicata come “responsabile del recupero crediti” e “funzionario”, aveva concluso nel senso della assenza di una notevole esperienza o alta specialità ovvero di funzioni direttive). Ha altresì lamentato l’operata attribuzione di rilievo decisivo:

– ad un documento olografo privo di sottoscrizione, riprodotto nel presente ricorso, che era stato attribuito al segretario di CONFARTIGIANATO nonostante la eccezione proposta nella memoria difensiva ed in mancanza di prova della sua provenienza.

– ad altri indici non significativi, in violazione dell’art. 2697 c.c. (quali i meri solleciti alla presenza in ufficio, il controllo sull’effettivo svolgimento dell’incarico e sull’andamento degli affari, l’episodico svolgimento di attività atipiche).

3. Ha dedotto che la organizzazione del lavoro attraverso direttive generali si configura quale potere di sovra-ordinazione e di coordinamento e non quale potere direttivo e disciplinare e che erano parimenti prive di significato univoco le circostanze della continuità della prestazione, della messa a disposizione dei mezzi di lavoro da parte di CONFARTIGIANATO, dell’assunto obbligo di rendicontazione.

4. Il motivo è inammissibile. La parte, pur deducendo formalmente la violazione di norme di diritto, contesta l’accertamento di fatto compiuto dal giudice dell’appello, fondato in via principale sull’esercizio da parte di CONFARTIGIANATO di un potere direttivo, disciplinare e di controllo, secondo quanto risultante dalle deposizioni testimoniali (pagina 6 della sentenza impugnata, in fine e pagina 7, in principio) e, comunque, sulla esistenza di indici sussidiari, quali la qualificazione del rapporto di lavoro operata nei documenti provenienti dalla stessa parte. Piuttosto che contestare l’erronea individuazione in sentenza degli indici posti a base della suddetta qualificazione – in ciò consistendo un eventuale errore di diritto – CONFARTIGIANATO propone una diversa ricostruzione dei fatti storici, conforme alle proprie tesi, nel senso della esistenza di quel potere di direzione generale proprio delle attività autonome in regime di collaborazione coordinata e continuativa (ciò che la Corte d’appello ha escluso nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione delle prove).

5. La censura si risolve, dunque, in un’inammissibile contestazione di valutazioni riservate al giudice del merito.

6. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116,210,420 e 437 c.p.c. e/o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

7. La parte ricorrente ha esposto che la C. aveva sempre allegato di avere svolto, come responsabile del servizio legale, attività altamente specializzate mentre il giudice dell’appello aveva accertato lo svolgimento di mansioni di basso profilo, qualificabili nel livello terzo.

8. Ha censurato l’esercizio da parte del giudice dell’appello del potere officioso di ammettere nuovi mezzi di prova – ed, in particolare, il documento contenente i conteggi elaborati dalla C. – in difetto delle condizioni di cui all’art. 437 c.p.c., evidenziando, peraltro, la tardività del deposito dei conteggi rispetto al termine fissato nella ordinanza istruttoria.

9. Ha aggiunto di avere eccepito con il primo atto difensivo la prescrizione quinquennale e l’erroneità del calcolo delle differenze retributive con riferimento al primo periodo del rapporto di lavoro, in relazione al quale la stessa C. aveva allegato di avere svolto solo quattro ore di lavoro giornaliero.

10. Ha altresì dedotto di avere allegato (capo 14 della memoria difensiva) e provato che la C. decideva autonomamente le ferie (deposizioni testimoniali sul suddetto capo 14 rese dai testi M., N. e CH.) e che comunque gli uffici della CONFARTIGIANATO restavano chiusi per dieci giorni tanto nel mese di agosto che nel mese di dicembre (dichiarazioni rese dall’avv. C. in sede di interrogatorio formale e deposizioni sul capo 14 della memoria difensiva). Ha lamentato l’omesso esame di tali fatti, oggetto di discussione tra le parti e, da ultimo, allegati attraverso le note illustrative del 12.2.2013.

11. Il motivo è inammissibile.

12. Nella parte in cui si assume la contrarietà tra l’accertamento del giudice dell’appello in punto di mansioni svolte ed i documenti posti a base di tali conclusioni, la censura si risolve nella inammissibile devoluzione a questa Corte di un vizio al più qualificabile in termini di contraddittorietà della motivazione e, dunque, estraneo al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo vigente ed applicabile ratione temporis.

13. Quanto all’eccezione di prescrizione quinquennale, il motivo è generico: non si trascrive la memoria difensiva dei due gradi di merito, nella parte relativa alla eccezione di prescrizione e non si illustrano le ragioni per le quali la eccezione era fondata ed incideva (in riduzione) sul credito riconosciuto; questa Corte non è dunque in grado di valutare nè la ritualità della eccezione nè la sua decisività.

14. Analogo vizio di genericità si riscontra quanto alla dedotta erroneità del calcolo delle differenze di retribuzione, per non avere la sentenza tenuto conto dell’orario parziale osservato nel primo periodo di lavoro (quattro ore di lavoro giornaliero) e del godimento delle ferie.

15. Dovendo qualificarsi il vizio prospettato in termini di vizio della motivazione – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – la parte ricorrente, nel rigoroso rispetto del principio di specificità, era tenuta ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sarebbe stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risultava esistente, il “come” ed il “quando” tale fatto era stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

16. Da ultimo, è palesemente eccentrica la censura di violazione dell’art. 437 c.p.c., per il preliminare rilievo che attraverso la acquisizione di conteggi di parte il giudice non dà ingresso d’ufficio a nuovi mezzi di prova ma invita la parte a compiere un’attività contabile che ben potrebbe essere svolta dallo stesso giudicante o affidata ad un consulente d’ufficio.

17. Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

18. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13) della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 5.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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