Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22669 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 19/10/2020), n.22669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6733/2014 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIACOMO BROGI,

39, presso lo studio dell’avvocato DANIELA DE LUCA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SABAUDIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA S. NICOLA DA TOLENTINO 50, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO DE TILLA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7536/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/10/2013 R.G.N. 11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 16/07/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza in data 23 ottobre 2013 n. 7536 la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Latina, che aveva respinto le domande proposte da B.S., fondate sulla qualificazione come rapporto di lavoro subordinato del rapporto intercorso con il COMUNE DI SABAUDIA nel periodo gennaio 1993- dicembre 2004, dapprima in qualità di collaboratrice del direttore del MUSEO CIVICO DEL MARE E DELLA COSTA DI SABAUDIA e dal 2001 come direttore scientifico del museo.

2. La Corte territoriale riteneva carente la prova della subordinazione.

3. Osservava che non poteva attribuirsi natura confessoria alle dichiarazioni rese nell’interrogatorio formale dal rappresentante del Comune, nel punto in cui aveva indicato la B. come “dipendente”, in quanto il termine era stato utilizzato in senso a-tecnico e, comunque, del tutto avulso dalla ammissione dei fatti che avrebbe potuto connotare la suddetta qualificazione.

4. Dall’esame della Delib. Giunta n. 370 del 1995 e Delib. Giunta n. 53 del 2001, si evinceva un semplice riferimento al fatto che la B. aveva collaborato sin dall’anno 1993 con il direttore, a sua volta titolare di un rapporto di lavoro autonomo.

5. Quanto agli asseriti fogli di presenza, si trattava di documenti rilevanti al solo fine di stabilire il compenso da corrispondere, come specificamente riferito dalla teste C..

6. La continuità dell’impegno era poi di per sè compatibile con il lavoro autonomo, sia pure coordinato e continuativo.

7. In senso contrario alla asserita subordinazione deponevano le dichiarazioni della teste A.P., collaboratrice della B. e alcune dichiarazioni rese dalla stessa B. in sede di libero interrogatorio, laddove aveva riferito di concordare l’orario con il capo settore sulla base degli orari di apertura del museo, il che escludeva un obbligo orario. In tal senso convergevano anche le dichiarazioni del teste D..

8. Era infondata la domanda proposta sotto il profilo dell’arricchimento ingiustificato.

9. Le prestazioni lavorative non erano prive di causa, essendo state rese in esecuzione della convenzione stipulata annualmente tra le parti; in ragione del carattere sussidiario della azione ex art. 2041 c.c., la domanda doveva pertanto essere rigettata.

10. A ciò si aggiungeva la mancanza di deduzione, e comunque di prova, del fatto che il compenso pattuito fosse inferiore al valore della prestazione e, soprattutto, alla utilità per il COMUNE. Infine, l’affermazione del mancato pagamento era smentita dai documenti prodotti dal COMUNE nel primo grado.

11. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza B.S., articolato in quattro motivi, cui ha resistito il COMUNE DI SABAUDIA con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 116 c.p.c., per non avere la Corte d’appello valutato in maniera completa le prove raccolte.

2. Ha censurato la sentenza per non avere dato rilievo alla dichiarazione resa in sede di interrogatorio formale dal legale rappresentante del COMUNE DI SABAUDIA e per non avere tenuto conto dei documenti, riprodotti nel presente ricorso – (riepilogo contabile delle retribuzioni pagate e di quelle dovute, sottoscritto dal responsabile dei settore Dott. M.S., CUD prodotti dal COMUNE) – e delle dichiarazioni testimoniali (testi C., M., A., D.).

3. Ha da ultimo assunto che la continuità del rapporto di lavoro era provata dal libro matricola prodotto dal COMUNE e dalle buste paga, documenti parimenti non esaminati.

4. Con il secondo mezzo la parte ricorrente ha impugnato la sentenza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – per errata e insufficiente motivazione circa la subordinazione nonchè per violazione delle norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro, sempre sotto il profilo dell’errore di valutazione delle prove orali e dell’omesso esame di quelle documentali (CUD, prospetto contabile, libro matricola, fogli di presenza, buste paga).

5. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto sovrapponibili, sono inammissibili.

6. Si contesta la valutazione degli elementi di prova effettuata dal giudice del merito tanto sotto il profilo della incompleta valutazione dei mezzi di prova esaminati in sentenza (dichiarazioni rese dal legale rappresentante del Comune, dichiarazioni dei testi C., A., D.) che in ragione dell’omesso esame di elementi istruttori, documentali e testimoniali, relativi a fatti esaminati dalla Corte territoriale, quali la continuità della prestazione e la sua articolazione oraria.

7.Tale deduzione non è conforme al paradigma del vizio di motivazione declinato dal nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., ratione temporis applicabile, relativo all’omesso esame di un fatto storico (la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo). Al compito assegnato alla Corte di Cassazione resta, invece, estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito. In particolare, l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo, previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

8. In sostanza, le censure devolvono a questo giudice di legittimità un non-consentito riesame del merito.

9. Con la terza critica la parte ricorrente ha denunciato errata e insufficiente motivazione sull’indebito arricchimento, assumendo che la Corte territoriale avrebbe rigettato la domanda in ragione dell’avvenuto adempimento senza tenere conto che il pagamento non aveva carattere satisfattivo, come dimostrato dai conteggi prodotti dalle parti a seguito dell’ordinanza istruttoria resa dalla stessa Corte d’appello in data 5 dicembre 2011. In particolare, la prova dell’indebito arricchimento del COMUNE sarebbe emersa dal conteggio prodotto dall’ente (unitamente ai CUD) che riportava un saldo a suo credito di Euro 149.137,33.

10. Il motivo è inammissibile. Esso non coglie la primaria ragione della decisione ovvero il fatto che le prestazioni lavorative non erano state rese dalla B. senza causa ma in esecuzione della convenzione annuale intercorsa con il COMUNE.

11. Con il quarto motivo si deduce la inesistenza della motivazione sulla proposta domanda di risarcimento del danno e la nullità della sentenza.

12. Il motivo è inammissibile.

13. La parte ricorrente non ha trascritto il ricorso in appello, nella parte in cui si sottoponeva al giudice dell’impugnazione la domanda di risarcimento del danno; questa Corte non è dunque in grado di valutare, in primo luogo, l’effettiva riproposizione della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale in appello e, comunque, la necessità di una autonoma pronuncia su detta domanda all’esito del rigetto della domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro.

Nella esposizione dei motivi di appello svolta nella sentenza impugnata non risulta, invero, la proposizione di un motivo di impugnazione relativo alla domanda risarcitoria; in ogni caso, una eventuale domanda di danno ben potrebbe essere stata implicitamente rigettata all’esito dell’accertamento della natura autonoma della collaborazione.

11. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

12. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

P.Q.M.

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 5.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

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