Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22668 del 25/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 25/09/2018, (ud. 05/04/2018, dep. 25/09/2018), n.22668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20411-2013 proposto da:

B.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIUNIO BAZZONI 3, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ACCARDO,

rappresentata difesa dagli avvocati ANTONIO ALBERTO AZZENA, PAIS

ILARIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEI BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, C.F. (OMISSIS), in

persona del Ministro in carica pro tempore, SOPRINTENDENPA PER I

BENI ARCHEOLOGICI PER LE PROVINCE SASSARI E NUORO, in persona del

soprintendente, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA ALLA VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– controricorrenti –

e contro

B.A., F.M.A., U.L.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 44/2013 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 06/03/2013 R.G.N.

208/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2018 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO ALBERTO AZZENA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la sentenza n. 44 del 2013, ha dichiarato improcedibile l’appello proposto da B.P. nei confronti del Ministero per i beni culturali (MIBAC) e di B.A., F.M.A., la Soprintendenza beni archeologici Sassari e Nuoro e U.L., avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Sassari.

2. La B. aveva adito il Tribunale chiedendo l’accertamento delle illegittimità commesse in proprio danno nell’attribuzione degli incarichi ai funzionari direttivi.

Il Tribunale aveva rigettato la domanda.

3. La Corte d’Appello ha affermato che la lavoratrice non aveva fatto altro che riproporre le medesime ragioni portate all’attenzione del giudice di primo grado, ragioni disattese con argomentata motivazione, mentre l’appello per essere ammissibile avrebbe dovuto indicare gli errori di fatto e di diritto che venivano lamentati con l’appello stesso.

Precisa la Corte d’Appello che laddove il giudice di primo grado aveva respinto la pretesa – affermando che a fronte di un atto di organizzazione, come tale incensurabile nel merito delle scelte aziendali, assunto con provvedimento motivato, ragionato e ragionevole, e dal quale emergeva la correttezza dell’azione amministrativa – la lavoratrice aveva continuato ad affermare che le avevano tolto gli incarichi sebbene da anni li ricoprisse per essere affidati ad altri con minore anzianità. Peraltro, affermava la Corte d’Appello, le scelte amministrative di organizzazione erano incensurabili in questa sede almeno sino al momento in cui non avessero comportato un demansionamento che la lavoratrice non aveva lamentato.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando un motivo di impugnazione.

5. Resiste il MIBAC con controricorso, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del motivo di ricorso.

6. Le altre parti sono rimaste intimate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso sono dedotti: ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione per falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro: ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

2. La ricorrente assume che nell’appello avrebbe contestato una violazione degli artt. 2 e 6 del CCNL, da desumere nell’affermazione che il provvedimento lesivo era stato adottato senza la previa consultazione delle 00.SS., e che si era criticata la sentenza di primo grado quanto alla violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 6 e si era affermata la mancanza di motivazione dei provvedimenti impugnati.

Quindi, la ricorrente sviluppa argomenti relativi al merito della propria domanda.

3. Il motivo è inammissibile.

Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., n. 24298 del 2016).

4. Nella specie, come prospetta la difesa dello Stato, manca la deduzione di errori di diritto per mezzo della preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, e la correlata dimostrazione, per mezzo di una critica compiuta ed esauriente, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni, della erroneità delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia.

5. Inoltre, la parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinchè il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. n. 6225 del 2005: Cass. n. 9734 del 2004).

Questa Corte ha affermato che è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora, però, sia reso palese su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica (Cass., n. 20335 del 2017).

Tanto non è accaduto nella specie laddove nel corpo del motivo non sono indicati in modo circostanziato rispetto alla sentenza di primo grado i contenuti dell’atto di appello della lavoratrice.

Peraltro, nella specie non è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in ordine al quale, comunque, va ricordato che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4,), sicchè l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato.

6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2018

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