Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22665 del 11/08/2021

Cassazione civile sez. I, 11/08/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 11/08/2021), n.22665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16628/2015 proposto da:

M.C., in proprio e nella qualità di titolare firmatario

dell’omonima ditta individuale, domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Defilippi Claudio, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Equitalia Centro S.p.a.;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PARMA, depositato il 07/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2021 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Viene proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso il decreto con cui il Tribunale di Parma, in data 7 maggio 2015, ha respinto il reclamo proposto avverso il decreto del giudice delegato del 7 gennaio 2015 – che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di nomina dell’organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi dellA L. 27 gennaio 2012, n. 3, art. 15 condividendo le argomentazioni del primo giudice con riguardo alla qualità dell’istante di imprenditore commerciale individuale, privo dei requisiti di esclusione di fallibilità di cui alla L.Fall., art. 1, in particolare per avere realizzato, nei tre esercizi antecedenti, ricavi superiori ad Euro 200.000.

Non svolge difese l’intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi sono così riassunti:

1) violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 1 e L. n. 3 del 2012, art. 7 in quanto l’istante è imprenditore individuale artigiano privo dei requisiti di fallibilità, mentre il tribunale si è limitato ad accertare la sussistenza di ricavi ex art. 1, comma 2, lett. b), senza nulla accertare per gli altri due, oltretutto emergendo che, di fatto, egli svolge un’attività agricola, essendo un casaro;

2) violazione dell’art. 24 Cost., art. 6 Cedu e L. n. 44 del 1999, art. 20 in quanto l’istante è persona indebitata, avente diritto alla richiesta dilazione dei debiti;

3) violazione della L.Fall., artt. 1 e 182-ter, L. n. 108 del 1998, L. n. 44 del 1999, art. 20 nonché della circolare dell’Agenzia delle entrate 6.5.2015, n. 19/E, in quanto è possibile la dilazione anche del pagamento dell’IVA.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – Presupposto del ricorso ex art. 111 Cost., comma 7, è che si tratti di “sentenze”.

Questa Corte da sempre ritiene, peraltro, che portato di tale locuzione stia nella capacità al giudicato: la norma è stata così oggetto di una lettura estensiva, la quale si riassume in ciò, che il ricorso straordinario è dato non già avverso le sole sentenze, intendendo con ciò i provvedimenti ai quali il legislatore attribuisce detta forma, bensì contro tutti i provvedimenti, ivi compresi le ordinanze ed i decreti, simultaneamente caratterizzati dal duplice requisito della decisorietà e della definitività (c.d. sentenze in senso sostanziale).

Dunque, per principio costante, “un provvedimento, ancorché emesso in forma di ordinanza o di decreto, assume carattere decisorio – requisito necessario per proporre ricorso ex art. 111 Cost. – quando pronuncia o, comunque, incide con efficacia di giudicato su diritti soggettivi, con la conseguenza che ogni provvedimento giudiziario che abbia i caratteri della decisorietà nei termini sopra esposti, nonché della definitività – in quanto non altrimenti modificabile – può essere oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost.” (così Cass., sez. un., 2 febbraio 2016, n. 1914).

I requisiti richiesti ai fini del ricorso straordinario sono, quindi, la decisorietà e la definitività dei provvedimenti: decisorietà, nel senso che incidano su diritti o status; definitività, in quanto viga il giudicato, quale situazione ex art. 2909 c.c. in cui l’accertamento giudiziale e l’attribuzione dei beni della vita non possono più essere rimessi in discussione in nessun modo e a nessuna condizione.

2.2. – Il giudicato sancisce il limite ultimo di regolamentazione della situazione giuridica: si forma la cosa giudicata e l’accertamento fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa.

Accertamento intangibile: sino al punto che neppure successivi mutamenti della normativa di riferimento, o l’abrogazione della norma ad opera della Corte costituzionale per contrasto con i principi della Costituzione, oppure la scoperta della falsità del giuramento (salvi solo i casi di revocazione straordinaria, che per l’appunto è tale) possono rimetterlo in discussione.

L’istituto del giudicato costituisce la scelta legislativa che opera il bilanciamento tra le opposte esigenze ed una delle principali espressioni del valore della certezza del diritto.

La predetta definitività trova dunque fondamento nel principio della certezza del diritto, volto a riconoscere l’effetto della intangibilità ed irretrattabilità delle situazioni giuridiche, costituendo in ogni ordinamento il limite invalicabile entro il quale i rapporti giuridici non possono più essere messi in discussione.

2.3. – Ai sensi della L. n. 3 del 2012, art. 12, comma 2, il procedimento di omologazione dell’accordo di composizione della crisi è soggetto alle norme generali dei procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 c.p.c. e ss.); il reclamo si propone al tribunale e, in base all’art. 742 c.p.c., rientrante tra le disposizioni esplicitamente richiamate dall’art. 12, comma 2, i decreti emessi a seguito dei procedimenti in camera di consiglio possono essere in ogni tempo modificati o revocati, salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede in forza di convenzioni anteriori alla modifica o alla revoca.

Questa Corte ha già affermato il principio, che si intende ribadire, secondo cui il decreto reiettivo del reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell’ammissibilità del piano del consumatore di cui alla L. n. 3 del 2012, art. 6, art. 7, comma 1-bis e art. 8 non è ricorribile per cassazione, essendo privo dei caratteri della decisorietà e definitività, non essendo precluso di presentare nuova istanza.

Costituisce, invero, principio consolidato che il decreto reiettivo del reclamo avverso il provvedimento che ha dichiarato inammissibile la proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, non decidendo nel contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi e non escludendo, pertanto, la reiterabilità della proposta medesima, è privo dei caratteri della decisorietà e definitività e non è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cass. 18 febbraio 2021, n. 4275; Cass. 26 novembre 2018, n. 30534; Cass. 23 febbraio 2018, n. 4500; Cass. 7 settembre 2017, n. 20917; Cass. 1 febbraio 2016, n. 1869).

Occorre, dunque, concludere per la inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1.

3. – Nulla sulle spese, non svolgendo difese l’intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021

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