Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22662 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 11/09/2019, (ud. 18/02/2019, dep. 11/09/2019), n.22662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18915/2015 R.G. proposto da:

Univeg Trade Benelux B.V. e Greenyard Fresh Italy s.r.l., in persona

dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e

difese dall’avv. Gregorio Leone, con domicilio eletto presso lo

studio dell’avv. Lorenza Roberta Leone, sito in Roma, via Luigi

Lanciani, 42;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna, n. 152/5/15, depositata il 21 gennaio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio

2019 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– la Univeg Trade Benelux B.V. e la Univeg Trade Italia s.r.l. (oggi, Greenyard Fresh Italy s.r.l.) propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 21 gennaio 2015, che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha dichiarato la legittimità degli avvisi di accertamento suppletivi e di rettifica aventi ad oggetto il recupero di diritti doganali non versati in relazione ad operazioni di importazione di aglio;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che gli atti impositivi traggono origine dal disconoscimento del regime daziario preferenziale di cui godeva la Univeg Trade Benelux B.V., in ragione e nei limiti dei titoli di importazione di cui era titolare, in quanto questi ultimi erano stati utilizzati per eludere il divieto di cessione dei diritti derivanti dagli stessi e consentire alla Univeg Trade Italia s.r.l. di acquistare una quantità di aglio a dazio preferenziale superiore a quella che le era consentita;

– il giudice di appello, dopo aver disatteso le eccezioni delle contribuenti in ordine alla decadenza dal potere di accertamento e all’inammissibilità del motivo di appello proposto dall’Ufficio per novità della questione sollevata, ha accolto il gravame di quest’ultimo, evidenziando che lo schema negoziale utilizzato dalle società configura un contratto con causa illecita e, inoltre, idoneo ad integrare gli estremi dell’abuso del diritto;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

– le ricorrenti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo le ricorrenti denunciano la violazione del Reg. CEE n. 2913 del 1992, art. 221, par. 3 e 4, e del Testo unico 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84, per aver la sentenza impugnata escluso che fosse maturata la prescrizione (rectius, decadenza) triennale dell’azione di accertamento, con riferimento ai diritti doganali relativi a due delle 12 bollette doganali contestate;

– il motivo è fondato;

– il giudice di appello ha disatteso l’eccezione di decadenza del potere di accertamento dell’Ufficio evidenziando che i fatti in oggetto assumevano rilevanza penale e che da ciò conseguiva il prolungamento dei termini per l’azione accertatrice “fin dall’origine del comportamento supposto illegittimo”, per cui “la decadenza non interviene fino a quando non decorre il termine specificamente previsto per tale fattispecie”;

– omette, tuttavia, di considerare che il prolungamento del termine opera a condizione che, nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una notitia criminis tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta, ovvero tale atto sia ricevuto entro lo stesso termine dall’Autorità giudiziaria o da ufficiali di polizia giudiziaria (cfr. Cass., ord., 5 ottobre 2018, n. 24513; Cass., ord., 12 gennaio 2018, n. 615; Cass. 16 dicembre 2016, n. 26045);

– la Commissione regionale avrebbe, dunque, dovuto verificare se, in relazione a tali fatti, l’Amministrazione abbia ravvisato una fattispecie prevista come reato dal diritto penale nazionale e comunicato la relativa notizia entro il termine triennale dalla contabilizzazione dell’obbligazione doganale;

– con il secondo motivo le contribuenti deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 23 e 57, per aver il giudice di appello omesso di rilevare la mutatio libelli in cui era incorsa l’Amministrazione finanziaria con il proprio atto di appello e, conseguentemente, di dichiarare inammissibile il gravame proposto;

– evidenziano, sul punto, che l’Ufficio aveva, dapprima, emesso gli atti impositivi impugnati sul fondamento di una simulazione del contratto di cessione di merce tra le due società, quindi, in primo grado, aveva individuato nella fattispecie dell’abuso del diritto la giustificazione di tali atti, quindi, nel grado di appello, aveva basato la legittimità dei recuperi effettuati sull’esistenza di un contratto in frode alla legge;

– il motivo è infondato;

– secondo la giurisprudenza di questa Corte, “si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo, mentre si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere” (così, Cass. 20 luglio 2012, n. 12621; cfr., altresì, Cass. 13 agosto 2018, n. 20716; Cass. 28 gennaio 2015, n. 1585);

– nel caso in esame, il quadro fattuale descritto negli atti impositivi e posto all’attenzione della Commissione provinciale e, quindi, di quella regionale non è mutato, ma è mutata unicamente l’interpretazione o la qualificazione giuridica data a quegli stessi fatti dalla Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

– pertanto, non essendo stato introdotto alcun nuovo tema di indagine ed essendo chiamati i giudici di merito alla qualificazione giuridica dei fatti dedotti con l’atto impositivo, non può configurarsi, in ipotesi, alcuna mutatio libelli, nè, tantomeno, una integrazione giudiziale della motivazione dell’atto impositivo;

– con l’ultimo motivo le ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione del principio dell’abuso del diritto, in relazione al Reg. CEE n. 565 del 2002, art. 3, par. 3;

– il motivo è inammissibile;

– va premesso, in proposito, che, come chiarito dalla sentenza della Corte di Giustizia del 14 aprile 2016, Cervate e Malvi, il diritto dell’Unione Europea non osta ad un meccanismo mediante il quale un importatore tradizionale, che non disponga di un titolo nell’ambito del contingente GATT, si rivolga ad un altro operatore comunitario che, acquistata la merce da un fornitore extracomunitario, la ceda ad altro importatore il quale, senza trasferire il proprio titolo, la immetta nel mercato comunitario e, poi, la rivenda al primo operatore, a meno che tale operazione non dia luogo ad un abuso del diritto (cfr. Cass. 13 gennaio 2017, n. 707);

– al riguardo, al fine di escludere che l’acquisto della merce oggetto di contingente tariffario, da parte di un importatore tradizionale, tramite altri operatori economici si traduca in abuso del diritto, occorre accertare che: 1) dal punto di vista oggettivo, non si realizzi un’influenza indebita di un operatore sul mercato ed, in particolare, un’elusione del divieto di superamento delle quantità di riferimento o dell’obiettivo del legislatore comunitario secondo cui le domande di titoli devono essere connesse ad un’attività commerciale effettiva, e non meramente apparente, consentendo, da un lato, ai soggetti coinvolti di percepire una remunerazione adeguata e di mantenere la posizione assegnatagli nell’ambito della gestione del contingente e, dall’altro, di effettuare l’importazione a dazio agevolato mediante titoli legalmente ottenuti dal loro intestatario; 2) dal punto di vista soggettivo, non si conferisca un vantaggio indebito al secondo acquirente e non si rendano le operazioni prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale per l’importatore, nonchè per gli altri operatori coinvolti (cfr., oltre alla pronuncia da ultimo citata, Cass. 29 marzo 2017, n. 8041; Cass. 27 gennaio 2017, n. 2068);

– la Commissione regionale ha accertato che non è stato versato alcun compenso per l’attività di commissione svolta nel paese esportatore in favore di soggetti terzi e che, dopo l’attività di sdoganamento, la merce è stata riconsegnata dalle società formalmente importatrici alla società che risulta essere l’effettiva acquirente nei confronti dell’esportatore;

– ha, dunque, desunto dall’assenza di elementi di economicità nello schema negoziale utilizzato l’esistenza di una strategia contrattuale, “meramente strumentale rispetto all’obiettivo di aggirare i principi di tutela del mercato definiti dall’Unione Europea con le norme sul contingentamento e sul divieto di cessione di titoli”;

– a fronte di un siffatto accertamento – idoneo ad integrare gli estremi dell’abuso del diritto, in virtù dei richiamati principi di diritto – le società ricorrenti contestano l’affermazione del giudice di appello in ordine alla mancanza di economicità dell’operazione evidenziando che la Univeg Trade Benelux BV, nel vendere la merce alla Univeg Trade Italia s.r.l. “avesse guadagnato ben il 14,5% (in linea con il prezzo di mercato)”;

– la censura, dunque, implica una rivalutazione dei fatti di causa che non è consentita in sede di legittimità e si pone in contrasto con il principio per cui il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– la sentenza impugnata va, dunque, cassata, con riferimento al motivo accolto, e rinviata alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo e dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata, con riferimento al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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