Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22661 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/09/2017, (ud. 30/05/2017, dep.27/09/2017),  n. 22661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21517/2013 proposto da:

R.D. (OMISSIS), in proprio e quale rappresentante

dell’IMPRESA R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA

PATRIZI 13, presso lo studio dell’avvocato RENATO CLARIZIA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Z.G., quale titolare della DITTA CESAF, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA OTTAVIANO N. 91, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE D’OTTAVIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato GABRIELE D’OTTAVIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 164/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 30/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/05/2017 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.D. propone ricorso per cassazione contro Z.G., titolare della ditta CESAF, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria 18.4.2013 che, in riforma della sentenza del Tribunale di Reggio Calabria 10.7.2003, pronunziando sull’appello proposto da Z., ha revocato il d.i. emesso dal tribunale di Reggio Calabria ed, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale dell’opponente Z., ha condannato R. al pagamento di euro 13.113,09 oltre interessi e spese.

Il Tribunale aveva rigettato l’opposizione relativa a d.i. per l’importo di lire 73.436.920 per fornitura di conglomerato bituminoso e la riconvenzionale condannando l’opponente alle spese mentre la Corte di appello ha statuito che la ctu aveva dato scrupolosa ed esaustiva risposta ai quesiti posti con ordinanza della Corte accertando le portate reali consentite dagli autocarri utilizzati per il trasporto del conglomerato bituminoso ed evidenziando le misure nelle quali le quantità indicate nelle singole bolle di accompagnamento dovevano considerarsi eccedenti, in misura non giustificabile entro accettabili limiti di tolleranza, la portata reale massima calcolata.

Detti accertamenti non risultavano oggetto di critica per cui non solo andava revocato il d.i. ma considerato oggetto di indebito pagamento l’ulteriore importo di Euro 13.113,09.

Il ricorso si articola in due motivi.

Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente denunzia: 1) omessa o carente motivazione, violazione di norme di diritto, in particolare in tema di interpretazione del contratto, art. 1362 c.c., comma 2, di esecuzione in buona fede, art. 1375 c.c. e dei principi generali in tema di vendita per avere la Corte di appello stravolto la decisione del Tribunale e la struttura del rapporto contrattuale in tema di pesatura elettronica; 2) illegittimità del riconoscimento della domanda riconvenzionale

Come dedotto, la Corte di appello ha statuito che la ctu aveva dato scrupolosa ed esaustiva risposta ai quesiti posti con ordinanza della Corte accertando le portate reali consentite dagli autocarri utilizzati per il trasporto del conglomerato bituminoso ed evidenziando le misure nelle quali le quantità indicate nelle singole bolle di accompagnamento dovevano considerarsi eccedenti, in misura non giustificabile entro accettabili limiti di tolleranza, la portata reale massima calcolata.

Detti accertamenti non risultavano oggetto di critica per cui non solo andava revocato il d.i. ma considerato oggetto di indebito pagamento l’ulteriore importo di Euro 13.1133,09.

Questa ratio decidendi non risulta sostanzialmente censurata.

La sentenza si fonda sulle risultanze della ctu.

Le odierne censure propongono un generico riesame del merito limitandosi a contrapporre una propria tesi alle affermazioni contenute nella sentenza deducendo sostanzialmente questioni di fatto od inerenti alla motivazione ed alla valutazione delle prove, meramente assertive, avendo il Giudice dato sufficiente risposta alle argomentazioni proposte e non essendo tenuto a confutare ogni singola prospettazione, dovendosi limitare a svolgere argomenti decisivi.

In particolare il primo motivo non attacca il riferimento alla non contestazione delle risultanze peritali indugiando in considerazioni astratte sull’interpretazione del contratto senza considerare, in ogni caso, che l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04n. 753).

La sentenza di appello, che contenga espliciti riferimenti alla pronunzia di primo grado (richiamata con motivato dissenso per quanto dedotto) è da ritenersi legittima tutte le volte in cui il giudice del gravame, sia pure sinteticamente, fornisca, comunque, una risposta alle censure formulate nell’atto di appello e nelle conclusioni, dalla parte soccombente, risultando così appagante e corretto il percorso argomentativo desumibile attraverso l’integrazione della parte motiva delle due sentenze (Cass. 16 febbraio 2007 n. 3636) mentre è legittima la motivazione per relationem alle conclusioni del ctu (Cass. 4.5.2009 n. 10222, Cass. 16.10.2013 n. 23530, Cass. 6.9.2007 n. 18688).

Quanto ai vizi di motivazione, il sindacato di legittimità presuppone una violazione dell’art. 132 c.p.c., ipotesi rinvenibile quando la sentenza è del tutto priva di motivazione, non consente di individuare l’iter logico seguito nella decisione, con evidente violazione delle norme sui requisiti minimi della decisione.

Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 134 del 2012, deve essere interpretato, alla luce dei canoni di cui all’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione con riferimento alla mancanza assoluta dei motivi, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, alla motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di motivazione (Cass. 14324/15, S.U. 8053/14).

Il secondo motivo presuppone l’accoglimento del primo, non ha autonomia e resta assorbito.

In definitiva il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna alle spese, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4200 di cui Euro 4000 per compensi, oltre spese forfettizzate nel 15% ed accessori, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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