Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22661 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 11/09/2019, (ud. 18/02/2019, dep. 11/09/2019), n.22661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4304/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– ricorrente, intimato in via incidentale –

contro

Univeg Trade Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Remo Dominici e Lorenzo

Magnani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Sara Madama

sito in Roma, via Pompeo Magno, 3;

– controricorrente, ricorrente in via incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, n. 775, depositata il 17 giugno 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio

2019 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 17 giugno 2014, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della Univeg Import Italia s.r.l. contro i provvedimenti di rigetto di due istanze di revisione di accertamento dei dazi applicati dall’Ufficio in relazione ad operazioni di importazione di partite di meloni;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tali istanze la contribuente aveva chiesto l’applicazione del trattamento daziario preferenziale, in ragione del paese di provenienza della merce importata, allegando i relativi certificati di provenienza delle merci, non prodotti in occasione della presentazione delle stesse in dogana;

– il giudice di appello ha confermato la decisione della Commissione provinciale, evidenziando la sussistenza dei requisiti di fatto e di diritto per poter usufruire del beneficio richiesto e la possibilità di ottenere il riesame della dichiarazione doganale (anche) alla luce di documenti acquisiti successivamente alla definizione dell’accertamento;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– resiste con controricorso la Univeg Trade Italia s.r.l., che, nelle more, è subentrata nel rapporto controverso alla Univeg Import Italia s.r.l. per effetto di incorporazione, la quale propone ricorso incidentale, affidandolo ad un motivo;

– in relazione a tale ricorso incidentale l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli non spiega alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo l’Agenzia denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, individuato nel fatto che il certificato di origine preferenziale fosse stato emesso anteriormente alla dichiarazione doganale;

– con il secondo motivo deduce la violazione del Reg. CEE n. 2913 del 1992, artt. 76 e 78, e del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, per aver la sentenza impugnata ritenuto applicabile l’istituto della revisione dell’accertamento doganale pur in assenza di nuova documentazione formatasi successivamente alla dichiarazione doganale;

– evidenzia, in proposito, che, nel caso in esame, al fine di usufruire del trattamento daziario agevolato, la contribuente avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 76 Codice doganale comunitario, presentare una dichiarazione doganale cosiddetta incompleta e depositare, nel termine di un mese, la dichiarazione sostitutiva o complementare;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati;

– il Reg. (CEE) n. 2913 del 1992, art. 78, nella versione applicabile al caso in esame, stabilisce che l’autorità doganale, dopo aver concesso lo svincolo delle merci, può procedere alla revisione della dichiarazione, d’ufficio o su richiesta del dichiarante e, a tal fine, “accertare l’esattezza delle indicazioni figuranti nella dichiarazione e controllare i documenti ed i dati commerciali relativi alle operazioni d’importazione o di esportazione nonchè alle successive operazioni commerciali concernenti le merci stesse” (secondo paragrafo), prevedendo che “Quando dalla revisione della dichiarazione o dai controlli a posteriori risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti o incompleti, l’autorità doganale, nel rispetto delle norme in vigore e tenendo conto dei nuovi elementi di cui essa dispone, adotta i provvedimenti necessari per regolarizzare la situazione” (terzo paragrafo);

– in coerenza con il quadro normativo Eurounitario, il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5, dispone che “Quando dalla revisione, eseguita sia d’ufficio che su istanza di parte, emergono inesattezze, omissioni o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato, notificando apposito avviso”;

– dal riferito quadro normativo deriva che è consentito presentare nuovi elementi atti a essere presi in considerazione dalle autorità doganali, e ciò successivamente alla dichiarazione in dogana, in quanto la ratio di tali disposizioni risiede nel far coincidere la procedura doganale con la situazione reale (cfr. Corte Giust., 12 ottobre 2017, Tigers; Corte Giust., 10 dicembre 2015, Veloserviss);

– la revisione dell’accertamento può concludersi con esito positivo per il contribuente anche qualora emerga che le disposizioni che disciplinano il regime doganale sono state applicate sulla base di elementi inesatti o incompleti (cfr. Corte Giust. 14 gennaio 2010, Terex; Corte Giust., 20 ottobre 2005, Overland Footwear);

– è stato precisato che la revisione dell’accertamento definitivo, richiesta dall’importatore o disposta d’ufficio, non può che essere effettuata solo, ed esclusivamente, sulla scorta degli elementi posti a fondamento dell’accertamento iniziale, ma può prendere in considerazione anche elementi successivi (così, Cass. 27 marzo 2013, n. 7716);

– ciò in quanto l’incompletezza o l’inesattezza dell’esame degli elementi posti a base della dichiarazione di importazione deve attenere ad “errori od omissioni materiali”, ovvero ad “errori di interpretazione del diritto applicabile”, con riferimento ad errori involontari dell’interessato, siano essi di fatto o di diritto, commessi in sede di accertamento della dichiarazione e non può essere, invece, conseguenza di una scelta contrattuale da questi liberamente effettuata in un momento successivo alla presentazione della merce in dogana;

– nel caso in esame, l’istanza di revisione è conseguenza di un ritenuto errore nella individuazione del regime daziario applicabile alla merce, in virtù della omessa considerazione del paese di origine della stessa e, dunque, di un fatto oggettivo preesistente alla dichiarazione e assistito da documentazione formatasi in epoca antecedente alla dichiarazione medesima, benchè non presentata dalla contribuente unitamente a questa, ma allegata solo all’istanza di revisione;

– ricorrono, dunque, le condizioni per il ricorso alla procedura di revisione di cui all’art. 78 codice doganale comunitario, non ostandovi la circostanza che la stessa è attivata sulla base di un documento non prodotto dalla contribuente (e, conseguentemente, non esaminato dall’Ufficio), benchè formatosi in epoca antecedente alla dichiarazione doganale, e a nulla rilevando il fatto che l’ordinamento prevede la possibilità per l’operatore di presentare, nei limiti di cui al Reg. (CEE) n. 2913 del 1992, art. 76, una cd. dichiarazione incompleta, con facoltà di integrazione della stessa, consistendo questa in una facoltà rimessa alla parte, finalizzata all’immediata applicazione dei dazi nella misura ritenuta corretta, non preclusiva della diversa procedura, attivata nel caso in esame, del pagamento dei dazi nella misura piena ed esercizio del diritto alla restituzione dell’importo indebitamente versato previa istanza di revisione dell’accertamento;

– con l’unico motivo del ricorso incidentale la società contribuente si duole della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, e art. 92 c.p.c., per aver il giudice di appello compensato le spese processuali senza l’indicazione delle ragioni che giustificherebbero tale decisione;

– il motivo è inammissibile per difetto del requisito di specificità, in assenza della indicazione degli elementi necessari a consentire l’individuazione della disciplina normativa applicabile al caso in esame e, dunque, a permettere di effettuare un sindacato in ordine alla correttezza della decisione sul punto assunta dal giudice di appello, in relazione al vizio denunciato;

– le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza, da intendersi in senso sostanziale, e si liquidano come in dispositivo. Sussistono i presupposti per l’applicazione limitatamente al ricorrente incidentale, del D.P.R. n. 115 del 2003, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 800,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% e accessori.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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