Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22660 del 31/10/2011

Cassazione civile sez. II, 31/10/2011, (ud. 30/09/2011, dep. 31/10/2011), n.22660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECOMDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3692/2006 proposto da:

P.S. C.F. (OMISSIS), domiciliata ex lege, in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato AMATO Filippo;

– ricorrente –

contro

C.R.A., F.V.;

– intimati –

sul ricorso 3929/2006 proposto da:

C.R.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 92, presso lo studio

dell’avvocato CARLINO PIETRO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MICELI VINCENZO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.S., F.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 603/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 10/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

30/09/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

principale e dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 24-9-1981 C.N. conveniva in giudizi davanti al Tribunale di Trapani F. V. esponendo che quest’ultimo aveva realizzato un fabbricato su di un terreno confinante a quello di proprietà dell’attore senza rispettare le distanze legali e chiedendo, pertanto, dichiararsi che il convenuto non era titolare di alcuna servitù a carico del fondo dell’esponente e condannarsi il medesimo ad eliminare le violazioni mediante chiusura delle finestre aperte a distanza inferiore a quella legale, all’innalzamento di un muro nel balcone e nel terrazzo, alla rimozione di una grondaia nonchè al risarcimento dei danni.

Il F. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attrici e chiedendo in via riconvenzionale la costituzione coattiva di una servitù di scarico delle acque piovane del suo fabbricato a carico del fondo del C..

A seguito del decesso dell’attore in data 2-10-1986 si costituiva in giudizio il figlio ed unico erede C.A.R..

Il Tribunale adito con sentenza del 14-5-1996 dichiarava che il convenuto non era titolare di alcuna servitù a carico del fondo dell’attore e condannava il medesimo ad eliminare le opere realizzate in violazione delle distanze legali rigettando, poi, sia la domanda di risarcimento danni formulata dal C. sia la domanda riconvenzionale del F..

A seguito di impugnazione da parte di quest’ultimo la Corte di Appello di Palermo con sentenza n. 131/1998, ravvisato il litisconsorzio necessario con P.S., coniuge del F. e comproprietaria del fabbricato, annullava la sentenza di primo grado e rimetteva le parti al primo giudice.

Quindi C.A.R. riassumeva la causa dinanzi al Tribunale di Trapani con atto di citazione notificato il 14-9-1998 ad entrambi i coniugi F. – P..

Nel frattempo il Cassare iniziava un altro giudizio nei confronti di questi ultimi dinanzi allo stesso Tribunale con atto di citazione notificato il 26-9-1998 con il quale chiedeva la condanna dei convenuti alla rimozione di una canna fumaria.

Riuniti i giudizi il Tribunale di Trapani con sentenza del 5-11-2001 dichiarava che i convenuti non erano titolari di diritti di servitù nei confronti del fondo dell’attore e condannava i medesimi ad alzare la soglia delle finestre fino alla quota di due metri dal pavimento munendole di idonea inferriata, ad alzare il muretto dell’attico fino alla medesima quota eseguendo, altresì, dei risvolti per eliminare le vedute laterali, ad eseguire un muretto della stessa altezza per tutta la sporgenza del balcone, a spostare la grondaia fino alla distanza di oltre un metro dal confine ed a rimuovere la canna fumaria.

Avverso tale sentenza la P. proponeva appello cui resisteva il C.; nel contempo nei confronti della medesima sentenza proponeva gravame il F. cui resisteva il C..

Riuniti i giudizi la Corte di Appello di Palermo con sentenza del 10/5/2005 ha rigettato entrambe le impugnazioni ed ha condannato gli appellanti in solido al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado.

Per la cassazione di tale sentenza la P. ha proposto un ricorso affidato a due motivi cui il C. ha resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale articolato in due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che esso è del tutto sfornito dell’esposizione dei fatti di causa, non essendovi alcun riferimento al giudizio di primo grado – fatta eccezione per la sentenza del Tribunale di Trapani del 5-11-2001 della quale peraltro non viene riportato compiutamente il contenuto della decisione – ed essendo limitata la narrativa relativa al giudizio di appello ai motivo con il quale la P. si era doluta della mancata ammissione di una prova per testi da essa articolata;

nè d’altra parte i motivi formulati consentono di ricostruire, sia pure nelle sue linee essenziali, l’oggetto della controversia e lo svolgimento della vicenda processuale; al riguardo si osserva che, ai fini di soddisfare il requisiti imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’indicazione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e di diritto che le giustificano, le eccezioni e le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto ed in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di Cassazione, nei imiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella, asseritamente erronea, compiuta dal giudice di merito; il principio di autosufficienza del ricorso impone quindi che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa.

In definitiva pertanto il ricorso principale, privo all’evidenza dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dichiarato inammissibile.

Venendo quindi all’esame del ricorso incidentale, si rileva che con il primo motivo il C., deducendo contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibili i mezzi di prova articolati dalla P. finalizzati a provare l’acquisto dei diritti di servitù di veduta, oggetto della causa n. 846/1998 pendente dinanzi al Tribunale di Trapani, nella quale peraltro la controparte era rimasta contumace, essendosi costituita unicamente nell’altra causa n. 895/1998 avente ad oggetto la canna fumaria.

Con il secondo motivo il C., denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 99, 166, 167 e 184 c.p.c., nel testo antecedente a quello introdotto dalla L. n. 353 del 1990, sostiene che, non essendosi la P. costituita nella causa n. 846/1998 avente ad oggetto le servitù di veduta e la grondaia, il giudice di appello ha violato le norme ora menzionate allorchè ha ammesso i mezzi di prova dedotti dalla controparte rimasta contumace; tale rilievo evidenzia l’infondatezza dell’assunto della sentenza impugnata riguardo alla asserita tempestività delle istanze istruttorie della P. a norma delle regole procedurali vigenti prima della novella introdotta dalla L. n. 353 del 1990, non potendo ritenersi ammissibili i mezzi istruttori richiesti da una parte contumace.

Il ricorrente incidentale conclude chiedendo, in accoglimento dei suddetti motivi, la modifica della sola motivazione della sentenza di secondo grado, con conferma del dispositivo.

Il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

In proposito si rileva che l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame, e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica non avente riflessi sulla decisione adottata; pertanto è inammissibile per difetto di interesse una impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sta diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (Cass. 19-5-2006 n. 11844; Cass. 10-11-2008 n. 26921), come nella fattispecie.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo all’esito della lite, per compensare interamente le spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, li dichiara entrambi inammissibili e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2011

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