Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22659 del 25/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 25/09/2018, (ud. 07/02/2018, dep. 25/09/2018), n.22659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16149/2013 proposto da:

G.A.T., (OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO PAOLO LAUDISIO,

giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SALERNO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 66, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE SPAGNUOLO, che lo rappresenta e difende,

giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 296/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 17/12/2012 r.g. n. 1474/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2018 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Salerno, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, ha condannato il Comune di Salerno a risarcire il danno alla dignità professionale riconosciuto in via equitativa in Euro 9.700, più interessi legali, nei confronti di G.A.T. avendo accertato che la dipendente, funzionario di ex 8^ qualifica funzionale, poi Area D, era stata trasferita dall’Ufficio Studi e Programmazione Risorse Comunitarie al Settore Annona fra l’ottobre 1999 e il giugno 2000, senza che sussistessero obiettive ragioni giustificative, quali, ad es. l’esaurimento dei compiti ab initio a lei affidati o l’addebito di censure di natura lavorativa.

La Corte territoriale ha riformato, invece, la sentenza del Tribunale statuendo che, rispetto agli ulteriori trasferimenti, intervenuti successivamente al 2000 (nella specie sette in otto anni), nessun danno alla professionalità si fosse venuto a verificare, in quanto, riguardo a ciascuno di essi, l’appellante aveva prestato il suo consenso o chiaramente accondisceso.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione G.A.T. con due censure, cui resiste con tempestivo controricorso, illustrato da memoria, il Comune di Salerno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la prima censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2103 c.c. – Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

La ricorrente contesta la limitazione della condanna per danno alla professionalità al periodo di nove mesi (ottobre-giugno 2000) nei quali la stessa era stata adibita all’Ufficio (OMISSIS), e l’esclusione dei trasferimenti successivi al 2000, durante i quali la stessa era stata prima nuovamente assegnata, su sua richiesta, all’originario Ufficio Studi e programmazione risorse comunitarie, poi, col suo consenso all’Infopoint Europa e infine, sempre su sua disponibilità, al gruppo consiliare dello SDI.

La determinazione della Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 2103 c.c., il quale attribuisce valore inderogabile al principio del divieto di demansionamento, a tutela della professionalità del lavoratore, il quale permane anche in presenza di una sua manifestazione di consenso. La pronuncia gravata sarebbe perciò viziata là dove pone il confine del danno alla professionalità nei soli mutamenti di destinazione ai quali la ricorrente non avesse accondisceso o espressamente acconsentito.

Con la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, si lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2103 c.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La Corte d’Appello avrebbe omesso di accertare che le mansioni cui l’appellante era stata adibita successivamente al 1999 fossero quelle proprie della qualifica e del profilo professionale rivestito. In particolare, la ricorrente lamenta il mancato esame comparativo delle nuove mansioni sotto il profilo della loro equivalenza in rapporto alle competenze richieste, al livello professionale raggiunto e all’utilizzazione del patrimonio professionale acquisiti nella pregressa fase del rapporto.

Il vizio di motivazione è, poi, dedotto anche in relazione alla medesima omissione, con riferimento alla genericità di affermazioni circa “la considerazione e l’apprezzamento delle personali capacità lavorative ed organizzative della dipendente” da parte dell’Ente.

Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente per connessione, meritano accoglimento.

Questa Corte, in fattispecie analoghe a quella in esame, ha affermato che “…con riguardo allo jus variandi del datore di lavoro il divieto di variazione in pejus opera anche quando, al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicchè nell’indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali”. Ha poi soggiunto che “…le nuove mansioni possono considerarsi equivalenti alle ultime effettivamente svolte soltanto ove risulti tutelato il patrimonio professionale del lavoratore, anche nel senso che la nuova collocazione gli consenta di utilizzare, anzi di arricchire, il patrimonio professionale acquisito con lo svolgimento della precedente attività lavorativa, in una prospettiva dinamica di valorizzazione della capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze” (Così Cass. n. 14666/2004).

Nel caso in esame, l’attuale ricorrente aveva dedotto dinanzi al Giudice del merito di essere stata trasferita, con provvedimento del Segretario Generale del Comune di Salerno n. 99555 dell’ottobre 1999, dall’Ufficio Risorse Comunitarie in cui operava fin dal 1993 con la qualifica D, posizione Economica D5, al Settore (OMISSIS) del medesimo Ente con compiti amministrativi, per poi essere spostata nuovamente – su sua richiesta – nel giugno 2000 al servizio originario. Dopo soli pochi mesi, nel novembre 2000 e fino al novembre 2001 la stessa veniva trasferita all’Infopoint, e dal novembre al dicembre 2001 al Servizio Ambiente di nuova istituzione dove veniva di fatto inutilizzata. Dal 2003 veniva trasferita al gruppo consiliare dello SDI, con mansioni di segreteria. Su sua istanza nel 2007 veniva trasferita presso la Polizia Municipale, dove però dopo un mese veniva ritrasferita d’ufficio alla segreteria dello SDI, poichè le competenze alle quali era stata adibita (procedure relative alla costituzione del Comune nei giudizi aventi ad oggetto l’impugnativa dei verbali di Polizia Municipale) erano passate al Settore Affari Legali.

La Corte territoriale ha ritenuto, diversamente dal primo Giudice, che il demansionamento fosse risultato provato soltanto con riferimento al periodo di adibizione al settore dell'(OMISSIS) (ottobre 1999 – giugno 2000), poichè le assegnazioni successive erano state oggetto di richieste da parte della G..

Orbene, deve rilevarsi che per quanto riguarda il predetto periodo, la pronuncia gravata ha svolto un accertamento dell’avvenuto demansionamento, là dove afferma che “…Nel bel mezzo di tale autonomo esercizio dei compiti istituzionali affidatile, e pienamente rispondenti alla sua qualifica di funzionaria, la appellante venne rimossa con il richiamato provvedimento del 5 ottobre 1999 dall’incarico predetto e spostata all’Ufficio (OMISSIS) con mansioni amministrative limitate esclusivamente alla redazione di certificazioni (verosimilmente su modelli prestampati). Attività questa apertamente collidente con qualsiasi estrinsecazione di un impegno lavorativo qualificato e consono al suo grado” (p. 13 sent.). Il giudizio di equivalenza viene correttamente ad investire non solo la formale corrispondenza della qualifica assunta, ma la stessa salvaguardia del patrimonio professionale della lavoratrice, come frutto di un’esperienza pluriennale e di un cospicuo bagaglio costruito attraverso costanti e qualificati contatti istituzionali e umani presso l’Ufficio Risorse Comunitarie dal quale la stessa proveniva.

Il medesimo accertamento non risulta, invece, aver costituito oggetto della decisione in ordine all’asserito demansionamento in tutti gli altri trasferimenti, per i quali, salvo che per quello presso l’Infopoint, che si afferma apertamente essere stato disposto nel rispetto della specifica professionalità maturata dalla ricorrente in materia di fondi comunitari, la Corte territoriale non ha riconosciuto “…il perpetuarsi di situazioni di lavoro comportanti mansioni non consone a quelle della categoria professionale di appartenenza” (p. 15 sent.).

Tale convincimento è espresso nel passaggio argomentativo in cui la Corte territoriale ha ritenuto, quanto ai trasferimenti intervenuti successivamente al 2000, che il presunto demansionamento avesse trovato “…la sua logica estinzione di fronte all’accoglimento della richiesta, personale della ricorrente, di applicazione ad altro ufficio” (p. 14-15 sent.).

Nondimeno, la censura coglie nel segno quanto al rilievo concernente l’inderogabilità del divieto della reformatio in pejus, in quanto l’art. 2103 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, non è derogabile nemmeno tra le parti, come sancisce il richiamo alla nullità di patti contrari contenuto nella versione della norma ratione temporis applicabile alla fattispecie, così come novellata dalla L. n. 300 del 1970, art. 13, u.c. (Cass. n. 8527/2011).

Erroneamente, dunque, la Corte territoriale ha escluso il danno da demansionamento – successivamente al 2000 – sul presupposto che la ricorrente avesse fatto valere la dequalificazione solo dopo il trasferimento, e/o che l’assegnazione ad altri uffici fosse stata da essa stessa richiesta. La pronuncia impugnata non ha fatto coerente applicazione del principio espresso da questa Corte, nè ha seguito l’indicazione di metodo offerta circa l’indagine da svolgere, la quale, secondo un consolidato orientamento, deve essere rivolta a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi onde formulare il giudizio di equivalenza, da fondare sul complesso delle disposizioni contrattuali collettive e delle determinazioni aziendali. L’accertamento è stato circoscritto soltanto all’adibizione dell’attuale ricorrente al Servizio dell'(OMISSIS), mentre avrebbe dovuto estendersi altresì a tutti i trasferimenti agli altri Settori e Servizi disposti dagli organi comunali successivamente al 2000, e fatti salvi dai Giudice dell’appello ai fini della durata del demansionamento e della conseguente quantificazione del danno, sul presupposto erroneo di un qualche rilievo dell’eventuale acquiescenza ad essi da parte della dipendente.

Le censure si confrontano poi con la ratio decidendi anche sotto il dedotto profilo del vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. L’asserita assenza di demansionamento da parte della Corte territoriale non poggia infatti su un rigoroso giudizio di comparazione, ma trova il suo presupposto nella valorizzazione pressochè esclusiva dell’elemento del consenso e/o dell’acquiescenza prestati dalla dipendente ai diversi spostamenti effettuati dagli organi comunali responsabili, elemento che, come asserito ripetutamente da questa Corte non può costituire oggetto di valutazione, vigendo la regola dell’indisponibilità delle mansioni in capo al dipendente, a tutela del patrimonio professionale acquisito.

Di contro, in mancanza di un iter logico argomentativo scevro da vizi, la decisione si trova costretta ad affidare il decisum a generiche e apodittiche affermazioni, incongrue rispetto al thema decidendum e ai principi che devono ispirarne la soluzione. Ci si intende riferire, ad esempio, al punto in cui la pronuncia (p. 15) pretende di affermare che il succedersi dei cambiamenti, lungi dall’assumere il significato di una volontà dell’Ente di dequalificare la ricorrente, costituissero l’apprezzamento delle sue personali capacità lavorative e organizzative.

Siffatte valutazioni rimangono, tuttavia, disattese là dove non sostanziate dalla comparazione analitica tra i compiti svolti in origine e quelli assegnati di volta in volta alla dipendente trasferita, al fine di ricavarne un attendibile giudizio di equivalenza. Tale giudizio, sottratto alla signoria delle parti, è certamente affidato alla valutazione del Giudice del merito, ma esso è insindacabile in sede di legittimità soltanto qualora scaturito all’esito di un iter logico – argomentativo congruo, privo di salti logici e rispettoso dei principi di diritto affermati da questa Corte.

Pertanto, essendo fondate le censure il ricorso è accolto. La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, la quale deciderà anche sulle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2018

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