Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22656 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 11/09/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 11/09/2019), n.22656

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. BILLI Stefania – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25573-2013 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE ANGELICO

103, presso lo studio dell’avvocato DANIELE VAGNOZZI, rappresentato

e difeso dagli avvocati GIULIO CERCEO, MASSIMO BASILAVECCHIA giusta

delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SILVI, in persona del Sindaco e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TRIONFALE 5637,

presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO D’AMARIO, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 55/2012 della COMM. TRIB. REG. di L’AQUILA,

depositata il 01/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2019 dal Consigliere Dott. STEFANIA BILLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TOMMASO BASILE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato BASILAVECCHIA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato D’AMARIO che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La parte contribuente propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza con cui la CTR per l’Abruzzo, riformando la pronuncia di primo grado, ha accolto l’appello del comune e ritenuto legittimo l’avviso di accertamento riguardante un ricalcolo dell’ICI dovuta per le annualità dal 2001 al 2006, oltre sanzioni ed interessi.

2. La commissione tributaria regionale ha ritenuto che: nella determinazione del valore dell’immobile il comune ha fatto correttamente riferimento ai parametri indicati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 4, comma 5; è viziata la motivazione dei giudici di primo grado laddove ha annullato integralmente l’avviso di accertamento, in presenza di un acclarato vizio di motivazione, senza procedere ad un accertamento sull’ammontare del dovuto.

3. Il comune si costituisce con controricorso; la parte contribuente deposita memoria.

4. Con il primo motivo la parte contribuente lamenta la violazione e la falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. n. 504 del 1992, artt. 7 e 11, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162; censura che la sentenza impugnata abbia ritenuto sufficiente una motivazione minimale in relazione alla determinazione del valore dell’immobile.

5. Con il secondo motivo lamenta la violazione e la falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 504 del 1992, art. 11, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162; in particolare, contesta che la pronuncia abbia ammesso l’integrazione della motivazione in sede contenziosa.

5.1. I due motivi, stante la stretta connessione possono essere trattati congiuntamente; essi sono infondati per le ragioni che seguono.

5.2. Ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162: “Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

Nel caso di specie la sentenza ha dato compiutamente conto degli elementi presenti nell’avviso di accertamento ritenuti esaustivi sulla base del disposto normativo sopra riportato. In particolare, attraverso l’indicazione dei seguenti elementi: “zona territoriale di ubicazione; indice di edificabilità; destinazione d’uso consentita; oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno; prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”.

E’ pacifico ed inoltre accertato nella sentenza impugnata, che nell’avviso di accertamento in questione, erano annessi, l’allegato B con i parametri di valutazione relativi al valore dell’immobile, nonchè la tabella A, ove erano stati riportati i dati dell’area oggetto di accertamento con la loro relativa valorizzazione, ai fini del pagamento dell’Ici.

E’ da escludere, dunque, una violazione della normativa sopra richiamata, in quanto il collegio non ritiene di doversi discostare dal principio di legittimità, in base al quale: “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente ran” ed il “quantum” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva.” (Cass. n. 26431 del 2017).

Va, pertanto, disattesa la doglianza della parte contribuente per la quale “non è dato capire da dove “spunta” il valore di Euro 15,50 al metro quadro… piuttosto che ad un altro”, dovendosi di contro ritenere la completezza dell’avviso di accertamento, in quanto i dati ivi riportati rispondono ai requisiti richiesti dalla norma sopra citata.

Nè si ritiene che la motivazione fornita dall’ente impositore sia apodittica. In proposito, infatti, il collegio condivide l’orientamento di legittimità che ritiene sufficientemente motivato l’avviso d’accertamento che fa riferimento alla delibera della giunta comunale contenente la determinazione dei valori minimi delle aree edificabili, comprensiva di quella oggetto di imposizione. E’ del tutto condivisibile, infatti, il rilievo per cui l’atto impositivo in tal caso rinvia ad uno di contenuto generale avente valore presuntivo e da ritenersi conosciuto o comunque conoscibile dal contribuente (Cass. n. 16620 del 2017).

Va sotto tale profilo altresì disattesa la doglianza circa la dedotta inammissibile integrazione della motivazione avvenuta solo nel ricorso in appello, effettuata con il riferimento alla delibera della giunta comunale. In tal senso si ritiene di dare continuità all’indirizzo di legittimità, secondo cui: “In tema di contenzioso tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, le parti possono produrre in appello nuovi documenti, anche ove preesistenti al giudizio di primo grado, ferma la possibilità di considerare tale condotta ai fini della regolamentazione delle spese di lite, nella quale sono ricomprese, del detto decreto, ex art. 15, quelle determinate dalla violazione del dovere processuale di lealtà e probità.” (Cass. n. 8927 del 2018).

Va ribadito, dunque, che resta a carico del contribuente l’onere, nel caso in esame non assolto, di fornire elementi oggettivi, eventualmente anche a mezzo perizia di parte, sul minor valore dell’area edificabile rispetto a quello accertato dall’ufficio (in tal senso Cass. n. 16620 del 2017, ma anche n. 5068 del 2015).

Deve essere, inoltre, respinto il profilo di doglianza riguardante la determinazione da parte del comune del valore imponibile, avvenuta per gruppi omogenei di immobili, che non avrebbe, a dire di parte contribuente, tenuto in debito conto la specifica situazione dell’immobile per cui è causa. Al riguardo la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento comunale che abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 52 e 59, e del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 48. Tale atto è una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’Amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore (Cass. n. 15312 del 2018, Cass. n. 3757 del 2014, Cass. n. 15555 del 2010). La delibera comunale, infatti, da un lato “delimita il potere di accertamento dell’ente territoriale qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello così predeterminato, dall’altro, non impedisce allo stesso, ove venga a conoscenza o in possesso di atti pubblici o privati dai quali risultano elementi sufficientemente specifici in grado di contraddire quelli, di segno diverso, ricavati in via presuntiva dai valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche, di rideterminare l’imposta dovuta” (Cass. n. 4605 del 2018). Tale ultima ipotesi non risulta si sia verificata nella fattispecie per cui è causa.

Non si ritiene, alla luce di quanto sopra esposto, neppure violato la L. n. 212 del 2000, art. 7, la cui ratio sostanziale va rinvenuta nel porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva per consentirgli il pieno esercizio delle sue facoltà difensive.

Ne consegue che è da escludere che vi sia stata una integrazione della motivazione dell’avviso di accertamento in sede giudiziale.

6. Con il terzo motivo la parte contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 7, e dell’art. 112 c.p.c.; censura che applicando il principio che la sentenza possa sostituirsi all’atto impugnato abbia comportato, i giudici del merito abbiano supplito ad una carenza dell’istruttoria mancata in sede amministrativa.

6.1. Il motivo è infondato per le ragioni di seguito esposte. Le doglianze sollevate dalla parte contribuente non cadono sulla entità dell’imposta, ma sulla parte della decisione riguardante la possibilità di integrazione dei motivi dell’atto di accertamento da parte del giudice tributario. Costituisce principio consolidato della S.C. da cui il collegio non intende discostarsi, quello secondo cui: “Il processo tributario non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che, ove il giudice tributario ravvisi la parziale infondatezza della pretesa fiscale (e non anche l’assoluta nullità dell’atto), non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo che la rappresenta, ma è tenuto a quantificare la corretta pretesa dell’Amministrazione, sia pure entro i limiti tracciati dai “petita” delle parti..” (Cass. n. 25317 del 2014, ma anche n. 13868 del 2010).

Nella sentenza impugnata è affermato: “il collegio rileva che la motivazione dei primi giudici a sostegno della decisione adottata, è viziata da evidente contraddittorietà laddove prima ha riconosciuto la legittimità della pretesa impositiva avanzata dall’amministrazione comunale ed in seguito ha ritenuto di annullare in toto l’avviso di accertamento in quanto carente di motivazione.

Tutto quanto sopra, senza operare una valutazione nel merito della congruità del valore indicato dal Comune, con riferimento tanto alla destinazione delle aree imposte, quanto alle caratteristiche delle stesse…”.

La sentenza, dunque, ha fatto buon governo del principio di legittimità sopra riportato, senza peraltro incorrere in ultra petizione. Correttamente il giudice di secondo grado, infatti, ha affermato che illegittimamente la CTP, una volta ritenuta la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, ma comunque riconosciuta la legittimità della pretesa impositiva, ha proceduto all’annullamento dell’avviso di accertamento senza accertare l’effettiva imposta dovuta. In tal senso è da escludere una violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 7, come anche una contraddittorietà della motivazione in violazione del D.Lgs. da ultimo citato, art. 36.

7. Con il quarto motivo la parte contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la contraddittorietà della motivazione, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36; si lamenta, in particolare una perplessità della motivazione, “che da un lato, ipotizzando un’alternativa “di merito” a disposizione del giudice di primo grado rivela il dubbio del giudice d’appello sulla congruità dei valori accertati, ma dall’altro rileva l’opportunità di un accertamento più approfondito, senza peraltro trarne la conseguenza di legge, certamente essendo consentito al giudice d’appello, ove lo ritenga necessario per una corretta decisione, di disporre incombenti istruttori”.

7.1. Il motivo è inammissibile.

7.2. La censura in esame nella sostanza lamenta l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione. Costituisce ormai principio consolidato di legittimità quello secondo cui: “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.” (Cass. n. 22598 del 2018).

Alla luce di quanto fin’ora esposto è da escludere che la sentenza impugnata sia deficitaria nell’esplicitazione delle ragioni della decisione, risultando viceversa chiariti, come anche sopra riportato, i motivi posti a base della decisione.

8 Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono il principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte contribuente a pagare in favore del comune le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 2.300,00 per compensi, oltre rimborso e spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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