Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22655 del 25/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 25/09/2018, (ud. 05/12/2017, dep. 25/09/2018), n.22655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21580/2016 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE SALERNO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ALESSANDRIA 208, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO

CARDARELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati EMMA TORTORA,

WALTER MARIA RAMUNNI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’ avvocato CARMINE PEPE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 266/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 23/03/2016 r.g.n. 11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2017 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROSA RUSSO per delega verbale Avvocato EMMA TORTORA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.A., coadiutore amministrativo presso l’Asl Salerno veniva licenziato senza preavviso (D.Dirig. n. 1004 del 2012) a seguito di condanna per peculato a tre anni, otto mesi e venti giorni di reclusione e applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici inflittagli dalla Corte d’Appello di Salerno – sez. penale.

Il licenziamento era stato intimato in attuazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, lett. f), il quale espressamente prevede la sanzione disciplinare del licenziamento in tronco nel caso “…di condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro”.

Essendo intervenuta nel frattempo la prescrizione per alcune delle imputazioni, in sede di giudizio d’appello la pena detentiva veniva ridotta; non così la pena accessoria, la quale rimaneva invariata.

Il lavoratore proponeva incidente di esecuzione, deducendo che, sebbene la pena principale fosse inferiore a cinque anni, il Giudice dell’Appello non aveva provveduto anche a ridurre la pena accessoria, violando in tal modo l’art. 29 c.p..

La Corte penale in funzione di Giudice dell’esecuzione, riconoscendo l’errore, riduceva a cinque anni la durata della misura interdittiva.

In seguito alla rimodulazione della pena accessoria, il D. impugnava il licenziamento disciplinare intimato ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, lett. f), contestando all’Asl la violazione delle norme procedimentali.

Il Giudice di prime cure, esperita la fase cautelare, accoglieva la domanda del lavoratore sul punto della dedotta violazione delle garanzie procedimentali, e applicava al licenziamento illegittimo il regime sanzionatorio risarcitorio, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 5 e 6, così come novellato dalla L. n. 92 del 2012.

La Corte d’Appello, dopo aver preso atto che sull’illegittimità del licenziamento intimato al D. per violazione delle garanzie procedimentali si era formato il giudicato, non avendo l’Asl proposto appello incidentale sullo specifico capo di sentenza, in riforma della pronuncia del Tribunale, ha ritenuto applicabile alla fattispecie la tutela reintegratoria e risarcitoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 2, nel testo antecedente alla riforma.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’Asl di Salerno con due motivi, cui resiste con tempestivo controricorso D.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La prima censura deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, relativamente alla L. n. 300 del 1970, art. 18, in relazione alla corretta applicazione della L. n. 165 del 2001, art. 55 bis”.

Secondo l’Asl la sentenza d’appello avrebbe errato nel ritenere che in caso d’illegittimità del licenziamento di un pubblico dipendente per violazione delle norme di garanzia procedimentale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 e 55 bis, trovi applicazione la L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, che prevede la reintegra del lavoratore, e non invece il disposto dell’art. 18 novellato, di cui ai commi 5 e 6, che riconosce al lavoratore illegittimamente licenziato un indennizzo patrimoniale. Richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24157/2015), sostiene che la nullità del licenziamento irrogato al pubblico dipendente in violazione delle procedure previste dalla legge, ricorrerebbe unicamente nell’ipotesi di assenza di legittimazione dell’organo titolare dell’azione disciplinare, là dove invece, l’accertamento del mancato esperimento del procedimento disciplinare determinerebbe non già la nullità del provvedimento, bensì la sua inefficacia, con le conseguenze sanzionatorie, dettate dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6, nel testo risultante dalla novella di cui alla L. n. 92 del 2012.

La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto relativamente alla L. n. 300 del 1970, art. 18, là dove ordina la reintegrazione e dispone la condanna al risarcimento del danno compatibilmente con gli effetti dell’irrogata interdizione temporanea dai pubblici uffici”. La tesi prospettata dalla ricorrente è che, in costanza di una pena accessoria interdittiva, si verterebbe in un’ipotesi d’impossibilità sopravvenuta della prestazione, la quale non consente la prosecuzione, neanche provvisoria del rapporto.

La Corte territoriale sarebbe stata tenuta, pertanto, a indicare se, in rapporto alla specifica situazione d’interdizione dai pubblici uffici in cui il dipendente si trovava, lo stesso potesse o non essere destinatario di un provvedimento di natura reintegratoria, e non già, come ha fatto, rimandare all’ente valutazioni sul corretto adempimento dell’ordine di reintegra ai fini della ripresa del servizio, che avrebbero dovuto costituire l’oggetto stesso della decisione.

Le due censure esaminate congiuntamente, perchè strettamente connesse, sono infondate.

Il thema decidendum deve essere limitato all’accertamento delle conseguenze derivanti dall’illegittimità di un licenziamento disciplinare comminato in mancanza delle garanzie procedimentali, posto che, come ha accertato la Corte d’Appello, sull’illegittimità della condotta datoriale si era formato il giudicato.

Quanto al regime sanzionatorio, dunque, la Corte territoriale, è giunta alla decisione che alla fattispecie in esame dovesse applicarsi la tutela reale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, nella versione antecedente alla riforma introdotta dalla L. n. 92 del 2012, art. 18.

La statuizione si pone nel solco tracciato dalla decisione di questo Collegio (Cass. n. 11868 del 2016), con cui è stato stabilito il principio di diritto – cui in questa sede va data continuità – secondo il quale “…Le modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, alla L. n. 300 del 1970, art. 18, non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, sicchè la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata L. n. 92, resta quella prevista dall’art. 18 st.lav. nel testo antecedente la riforma; rilevano a tal fine il rinvio ad un intervento normativo successivo ad opera della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 8, l’inconciliabilità della nuova normativa, modulata sulle esigenze del lavoro privato, con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, neppure richiamate al comma 6 dell’art. 18, nuova formulazione, la natura fissa e non mobile del rinvio di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 51, comma 2, incompatibile con un automatico recepimento di ogni modifica successiva che incida sulla natura della tutela del dipendente licenziato”.

In conclusione, essendo le censure infondate, il ricorso va rigettato. Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento nei confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5000 per competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Udienza Pubblica, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2018

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