Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22654 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 11/09/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 11/09/2019), n.22654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24943-2014 proposto da:

CASALINI E VISCARDI SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli Avvocati

MARIA CARIDDI, VINCENZO BASTA giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI MERATE in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato

LAURA ROSA, rappresentato e difeso dall’avvocato LORENZO DEL

FEDERICO giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1365/2014 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 14/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2019 dal Consigliere Dott. D’OVIDIO PAOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TASSONE KATE che ha concluso per infondato l’unico motivo del

ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato ROSA LAURA per delega

dell’Avvocato DEL FEDERICO che si riporta e chiede il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Casalini e Viscardi s.r.l. proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Lecco avverso cartelle di pagamento relative ad imposta comunale sugli immobili degli anni 1999-2003.

Deduceva la società ricorrente che gli avvisi di liquidazione cui si riferivano le menzionate cartelle erano stati a suo tempo impugnati e che il relativo contenzioso tributario si era esaurito con la mancata riassunzione del processo a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, la quale aveva annullato la sentenza della CTR che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto il ricorso della contribuente ed annullato gli avvisi in questione.

Si costituiva il Comune di Merate chiedendo il rigetto del ricorso e la conferma dei provvedimenti impugnati.

2. La Commissione Tributaria provinciale di Lecco, con sentenza n. 142/1/12, accoglieva il ricorso ritenendo l’illegittimità della cartella impugnata poichè gli avvisi di liquidazione, in quanto erano stati annullati dalla CTR, non potevano rivivere a seguito della cassazione con rinvio della medesima sentenza della CTR, cui non era seguita la riassunzione nel termine prescritto.

3. Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Merate assumendo che gli avvisi di liquidazione in questione erano divenuti definitivi a seguito della mancata riassunzione da parte del contribuente del giudizio di rinvio.

Il contribuente si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello.

4. La Commissione tributaria regionale di Milano, con sentenza n. 1365/2014 del 29 febbraio 2014, depositata il 14 marzo 2014 e non notificata, accoglieva l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, confermava la cartella di pagamento compensando le spese di lite.

5. Avvero tale sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.

Il Comune di Merate resiste con controricorso, e deposita memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la “nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63 e dell’art. 393 c.p.c. – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Ad avviso della ricorrente la CTR avrebbe errato nel ritenere la definitività degli avvisi di accertamento, a suo tempo impugnati, quale effetto della mancata riassunzione del giudizio di impugnazione degli stessi a seguito di cassazione con rinvio della sentenza che li aveva annullati, atteso che il processo tributario non è un processo di impugnazione-annullamento, bensì di impugnazione-merito, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Inoltre, prosegue la società ricorrente, l’interpretazione della norma accolta dalla CTR, accollando al contribuente l’onere dell’impulso processuale, finirebbe per riconoscere un ingiustificato privilegio all’ente impositore, discriminando irragionevolmente il contribuente. Infine, rileva ancora la ricorrente, l’opposizione ad iscrizione a ruolo presenta evidenti analogie con l’opposizione a decreto ingiuntivo, come pure affermato in un precedente di legittimità (Cass. n. 17272 del 2013), sicchè devono trovare applicazione anche nella presente fattispecie i principi espressi da Cass. SU n. 4071 del 2010 con riferimento al provvedimento monitorio, in virtù dei quali la mancata riassunzione del processo, nel caso in esame, comporterebbe necessariamente la caducazione definitiva degli atti di liquidazione rimasti travolti dalla sentenza della CTR poi cassata in sede di legittimità.

2. Il motivo è infondato.

La questione sollevata dalla ricorrente riguarda la legittimità della cartella di pagamento impugnata in questa sede, atteso che i prodromici avvisi di liquidazione dalla stessa presupposti erano stati oggetto di un pregresso giudizio di impugnazione, conclusosi con la mancata riassunzione del processo a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, la quale aveva annullato la sentenza della CTR che a sua volta, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto il ricorso della contribuente ed annullato gli avvisi in questione.

Ad avviso del ricorrente, la mancata riassunzione del giudizio di cassazione avrebbe determinato non solo l’estinzione del processo, ma anche la caducazione degli atti impositivi impugnati in quella sede (ossia, degli avvisi di accertamento su cui si fonda la cartella impugnata nel presente giudizio).

Tale assunto non può essere condiviso.

Con riguardo specifico al giudizio di rinvio a seguito di cassazione della sentenza impugnata, nel processo ordinario di cognizione, l’art. 393 c.p.c. prevede l’estinzione “dell’intero processo” e, nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, ne riproduce il contenuto, sancendo l’estinzione “dell’intero processo” in caso di mancata riassunzione nel termine di legge o dell’avverarsi di una successiva causa di estinzione, salva la previsione dell’efficacia vincolante della decisione del giudice di legittimità anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda.

Per costante orientamento di questa Corte, cui questo Collegio intende dare continuità, l’estinzione del processo tributario, relativamente al giudizio di rinvio, comporta la definitività dell’accertamento che ne costituiva l’oggetto (Cass., sez. 5, 08/02/2008, n. 3040, Rv. 601868 – 01; Cass., sez. 6-5, 28/03/2012, n. 5044, Rv. 622235 – 01; Cass., sez. 6-5, 19/10/2015, n. 21143, Rv. 637007 – 01; Cass., sez. 6-5, 23/11/2016, n. 23922, Rv. 641755 – 01; Cass., sez. 6-5, 12/04/2017, n. 9521, Rv. 644710 – 01; Cass., sez. 5, 13/12/2018, n. 32276, Rv. 651789 – 01).

Al riguardo, va, infatti, considerato che, come evidenziato nelle statuizioni sopra richiamate, la pronuncia di estinzione del giudizio comporta, ex art. 393 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 2, il venir meno dell’intero processo e, in forza dei principi in materia di impugnazione dell’atto tributario, la definitività dell’avviso di accertamento.

Si è in particolare affermato che la pretesa tributaria vive di forza propria, in virtù dell’atto impositivo in cui è stata formalizzata, e che l’estinzione del processo travolge la sentenza impugnata, ma non l’atto amministrativo, che non è atto processuale bensì l’oggetto dell’impugnazione (il principio si trova affermato sin dalla sentenza di Cass., sez. 1, 08/01/1980, n. 119, Rv. 403499 – 01: “Poichè l’opposizione avverso l’ingiunzione fiscale integra una mera azione di accertamento negativo della legittimità della pretesa tributaria, l’eventuale estinzione di tale processo di opposizione (nella specie, per mancata riassunzione davanti al giudice di rinvio), non può implicare estinzione dell’obbligazione tributaria, la quale vive di forza propria per effetto dell’ingiunzione stessa, ed in essa trova titolo costitutivo”; successivamente cfr. Cass., sez. 65, 28/03/2012, n. 5044, cit. e, da ultimo, Cass., sez. 6-5, 21/02/2019, n. 5223, Rv. 653065 – 01).

Le contrarie argomentazioni svolte dalla ricorrente (i.e.: natura di impugnazione-merito del processo tributario; irragionevole discriminazione del contribuente; assimilabilità del giudizio di opposizione ad iscrizione a ruolo a quello di opposizione a decreto ingiuntivo) non sono idonee ad inficiare tale consolidato orientamento.

Invero, la natura di impugnazione-merito, e non di impugnazione-annullamento, del processo tributario rileva sotto il profilo del potere-dovere del giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), di esaminare nel merito la pretesa tributaria e di ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura (Cass. sez. 5, 30/10/2018, n. 27560, Rv. 650957 – 01), ma ciò nei limiti delle domande poste dalle parti e sempre che di tale potere-dovere il giudice sia investito dall’impulso processuale gravante sulle parti medesime secondo i tempi e le forme previsti dalle norme processuali applicabili.

Quanto alla asserita discriminazione del contribuente e alla conseguente pretesa violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di parità delle parti nel processo, nonchè del diritto di difesa – che ad avviso della ricorrente deriverebbero dall’interpretazione che accolla al contribuente l’onere dell’impulso processuale – giova ricordare che la Corte costituzionale ha più volte ribadito che” il precetto costituzionale di cui all’art. 24, comma 1, risulta violato solo quando sia imposto un onere tale o vengano prescelte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa da parte di uno qualunque degli interessati” (v. Corte Cost., sent. n. 214 del 9/7/1974): nella specie, la riassunzione della causa in sede di rinvio poteva essere fatta da una qualunque delle parti, pur essendo vero che, dominando anche in tale fase il principio dell’interesse (art. 100 c.p.c.), la riassunzione costituiva (in concreto) un onere per quella delle parti che aveva interesse ad ottenere una pronuncia conclusiva, non certo per quella nei cui confronti l’estinzione dell’intero processo poteva essere di vantaggio (Cass., sez. 2, 24/4/1968, n. 1252Rv. 332775 – 01); la parte interessata, e quindi onerata, tuttavia, poteva usufruire del congruo termine di un anno dal deposito del provvedimento di cassazione con rinvio per esercitare il suo potere processuale, circostanza che esclude in radice la configurabilità di una violazione del diritto di difesa o di una discriminazione.

Anche la terza ragione addotta a sostegno della tesi della ricorrente, è priva di pregio.

La ricorrente richiama un precedente di legittimità (Cass. n. 17272 del 2013) – che ha rilevato evidenti analogie tra l’opposizione ad iscrizione a ruolo e l’opposizione a decreto ingiuntivo – per trarne la conclusione che anche in caso di impugnazione di atti impositivi devono trovare applicazione i principi espressi da Cass. SU n. 4071 del 2010 con riferimento al provvedimento monitorio, in virtù dei quali la mancata riassunzione del processo comporta l’inefficacia del decreto ingiuntivo.

La giurisprudenza citata, tuttavia, non è conferente: in primo luogo, essa riguarda un giudizio di opposizione a ruolo per contributi INPS (ossia un giudizio che, come quello monitorio, si propone dinanzi al giudice ordinario e non a quello tributario); in secondo luogo, tale giurisprudenza evidenzia, sì, una analogia tra i due giudizi di opposizione posti a confronto (rilevando che in entrambi i casi essi danno luogo ad un ordinario giudizio di cognizione), ma non certo tra gli atti rispettivamente oggetto di opposizione (il decreto ingiuntivo, in un caso, e l’atto impositivo, nell’altro), essendo e restando l’uno un atto processuale e l’altro un atto amministrativo che vive di forza propria. Correttamente, pertanto, la CTR ha osservato che le analogie rilevate dal giudice di legittimità nella pronuncia evocata dal ricorrente “riguardano non la natura degli atti ma bensì le caratteristiche delle opposizioni esperibili contro gli stessi…”.

3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione dei principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Trattandosi di ricorso notificato (in data 23/10/2014) successivamente al 30 gennaio 2013, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la parte ricorrente a pagare al Comune di Merate le spese del presente giudizio di legittimità che liquida in complessivi 4.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie ed agli accessori di legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

Così deciso in Roma, dalla 5 sezione civile della Corte di cassazione, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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