Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22653 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. II, 19/10/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 19/10/2020), n.22653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22430/2018 proposto da:

Q.B., rappresentato e difeso dall’Avvocato SERGIO

TREDICINE;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.p.A., nuova denominazione di Fondiaria Sai

S.p.A., quale incorporante di Unipol Assicurazioni S.p.A., Compagnia

di Assicurazioni Milano S.p.A., Premafin Finanziaria S.p.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 4, presso lo studio

dell’avvocato MARIO TUCCILLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2034/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 26/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO CASENTINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Q.B. ha proposto ricorso, articolato in sette motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Napoli n. 2034/2018, pubblicata il 26.02.2018, la quale, accogliendo l’appello della UnipolSai Assicurazioni S.p.A. avverso la sentenza di primo grado del Giudice di Pace di Napoli, ha rigettato la domanda avanzata dal medesimo Sig. Q. nei confronti della Milano Assicurazioni (poi incorporata da Unipol Assicurazioni e quindi da Fondiaria SAI, ora UnipolSai Assicurazioni) per il pagamento di una somma a titolo di competenze professionali relative all’incarico di perito assicurativo, svolto per conto di detta Compagnia di assicurazioni in relazione ad un sinistro stradale.

UnipolSai Assicurazioni S.p.A. ha depositato controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Le parti non hanno depositato memorie nel termine di cui all’art. 380-bis 1 c.p.c..

II.1. Con l’impugnata sentenza il Tribunale di Napoli ha preliminarmente escluso, disattendendo il motivo di appello proposto sul punto dalla Compagnia di assicurazioni, che la mancata riunione di cause potesse costituire oggetto di motivo di gravame; nel merito, il Tribunale ha giudicato infondata la domanda del Sig. Q. ed assorbita la questione di proponibilità della stessa.

II.2. In particolare, il Tribunale ha ritenuto provato sia che le parti avessero convenuto, per fatti concludenti, un compenso di Euro 40 per ciascuna delle prestazioni rese nell’ambito del suddetto rapporto di collaborazione professionale, sia che, nella specie, detto importo fosse stato pagato.

III.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 274 c.p.c., per non aver il Tribunale considerato l’orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto possibile anche nel giudizio di legittimità la riunione dei procedimenti relativi a cause connesse (si richiama Cass. n. 22631/2011).

III.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 111 Cost., trascurando che i periti assicurativi – in ragione della natura economica della loro prestazione, esercitata in modo stabile e con struttura organizzativa indipendente dalla impresa assicurativa committente – devono considerarsi rientranti nella nozione funzionale di impresa delineata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; nè deporrebbe in senso contrario, si argomenta nel mezzo di ricorso – l’esistenza tra le parti di un mandato continuativo, che, ad ogni modo, non eviterebbe che il perito assuma in proprio il rischio imprenditoriale derivante dall’attività peritale svolta.

III.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione della L. 4 dicembre 2017, n. 2, art. 19 quaterdecies, che ha modificato della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 bis. Nel mezzo di ricorso si argomenta che l’entità del compenso che il Tribunale ha accertato essere stato pattuito inter partes (Euro 40 a prestazione) risulterebbe in ogni caso, in disparte la questione della correttezza di tale accertamento, inferiore a quanto spettante al Sig. Q. alla stregua dei canoni fissati dalla suddetta disposizione per la determinazione dell’equo del compenso di avvocati e altri professionisti, tra cui i periti assicurativi, nei rapporti professionali regolati da convenzioni con imprese bancarie e assicurative.

III.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta “l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, oggetto di discussione tra le parti e avente carattere decisivo”. Nel motivo si censura l’affermazione del Tribunale secondo la quale il Sig. Q. avrebbe accettato, per facta concludentia, un compenso molto inferiore a quello previsto dalle tariffe professionali; al contrario, sostiene il ricorrente, tale circostanza sarebbe stata espressamente contestata a pagina 11 della comparsa conclusionale da lui depositata nel giudizio di appello e, comunque, risulterebbe smentita dalla documentazione IES dell’anno 2010 (prodotta in questa sede ai sensi dell’art. 372 c.p.c.). Da quest’ultima documentazione, argomenta ancora il ricorrente, si evincerebbe che gli importi corrisposti al professionista dalla società assicuratrice erano differenti per i diversi incarichi e mai pari ad Euro 40,00 ciascuno.

III.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia la violazione del giudicato implicito delle sentenze n. 18808/2016, n. 18809/2016 e n. 18810/2016 di questa Corte.

III.6. Con il sesto motivo di ricorso si censura la statuizione di improponibilità della domanda, lamentando come la stessa si ponga in contrasto con il giudicato calato sulla sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575 del 2016, con la quale è stato escluso che il ricorrente avesse proceduto ad un abusivo frazionamento del proprio credito; tale sentenza, ad avviso del ricorrente, rappresenterebbe un giudicato esterno vincolante tra le parti.

III.7. Con il settimo motivo di ricorso si censura nuovamente, sotto altro profilo, la statuizione di improponibilità della domanda, deducendo che il Tribunale avrebbe interpretato erroneamente i principi nomofilattici espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle pronunce n. 23726 del 15.11.2007 e n. 4090 del 13.02.2017.

IV. Infine il ricorrente chiede che il ricorso sia trattato in udienza pubblica innanzi alle Sezioni Unite, in ragione del contrasto formatosi nella giurisprudenza di questa Corte tra le sentenze nn. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016 – che hanno accolto i ricorsi da lui presentati avverso pronunce di merito che avevano dichiarato l’improponibilità della sua domanda per frazionamento abusivo del credito in situazioni totalmente sovrapponibili a quella oggetto del presente giudizio – e altre successive sentenze che, al contrario, hanno rigettato altri suoi ricorsi, anch’essi del tutto analoghi a quelli accolti con le sentenze menzionate ed a quello oggetto del presente giudizio.

V.1. In via preliminare, deve affermarsi che non sussistono le ragioni, stabilite dall’art. 374 c.p.c., per la rimessione della causa alle Sezioni Unite, essendosi queste ultime già pronunciate sulla questione di diritto su cui si incentra il ricorso con la sentenza n. 4315 del 20 febbraio 2020.

V.2. Ancora via preliminare, deve rilevarsi che è inammissibile la produzione da parte del ricorrente degli identificativi di pagamento e dei moduli IES (documenti attinenti alla fondatezza delle censure e delle tesi prospettate nel ricorso, peraltro formati prima dell’inizio della fase di merito e quindi prima della maturazione delle preclusioni istruttorie), atteso che, nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata.

VI.1. Il primo motivo di ricorso va giudicato inammissibile. Il motivo di appello del cui rigetto il ricorrente si duole, concernente la mancata riunione dei procedimenti nel giudizio di primo grado svoltosi davanti al Giudice di Pace, non è stato proposto dal Sig. Q. (che non risulta abbia nemmeno impugnato la sentenza del Giudice di Pace), bensì da UnipolSai; il ricorrente non è quindi legittimato a dolersi del mancato accoglimento di un motivo di appello altrui.

VI.2. Può peraltro aggiungersi – e questa considerazione assume rilievo ai fini della valutazione sulla responsabilità aggravata del ricorrente ex art. 96 c.p.c. – che il principio giurisprudenziale invocato nel motivo di ricorso (Cass. 22631/2011) non è in alcun modo pertinente alla fattispecie, giacchè l’affermazione che la riunione dei procedimenti ex art. 274 c.p.c., è possibile anche nel giudizio di legittimità è palesemente inconferente rispetto alla questione della conformità a diritto dell’affermazione del Tribunale secondo cui il mancato esercizio, da parte del giudice di primo grado, del potere di riunione dei procedimenti ex art. 274 c.p.c., non è sindacabile in sede di appello.

VI.3. Da ultimo, per ragioni nomofilattiche – ed anche per sottolineare nuovamente la temerarietà del mezzo di ricorso in esame, ai fini si cui all’art. 96 c.p.c. – va comunque sottolineato che la statuizione del Tribunale di Napoli di non sindacabilità in appello dei provvedimenti, negativi o positivi, di riunione di procedimenti ex art. 274 c.p.c., risulta conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte. Alla stregua di tale giurisprudenza, infatti, in tema di connessione di cause, il provvedimento di riunione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità (Cass. SSUU n. 2245/2015; Cass. n. 8024/2018).

VI.4. Sempre per ragioni nomofilattiche è opportuno precisare, ancorchè nel mezzo di impugnazione in esame non si lamenti la violazione dell’art. 151 disp. att. c.p.c., che quest’ultima disposizione – alla cui stregua i procedimenti pendenti davanti al Giudice di Pace che risultino connessi anche soltanto per identità delle questioni devono essere riuniti ex art. 274 c.p.c., salvo che la riunione renda il processo troppo gravoso o lo ritardi eccessivamente – non è presidiata da espressa sanzione di nullità e la sua violazione può essere prospettata in sede di impugnazione soltanto deducendo il pregiudizio che la mancata trattazione unitaria delle controversie connesse ha causato in termini di liquidazione delle spese (cfr. Cass. n. 5457/2014).

VII. Inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, va giudicato anche il secondo motivo, in quanto la considerazione che l’attività del perito assicurativo rientra nell’ambito della nozione comunitaria di impresa non dimostra alcuna specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata (conf. Cass. SSUU n. 4315/2020). L’assoluta carenza di indicazioni, da parte del ricorrente, sul nesso tra la riconduzione dell’attività dei periti assicurativi alla nozione funzionale di impresa delineata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e la denuncia di violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e art. 111 Cost., proposta nel motivo di impugnazione in esame, colora anche quest’ultimo motivo come temerario, ai fini della valutazione sulla responsabilità aggravata del ricorrente ex art. 96 c.p.c..

VIII.1. E’ inammissibile altresì il terzo motivo. Esso, come sopra accennato nel paragrafo III.3, denuncia la violazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 bis (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), inserito dal D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, art. 19 quaterdecies, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172, in tema di equo compenso degli avvocati nei rapporti professionali regolati da convenzioni ed aventi ad oggetto lo svolgimento di attività in favore di imprese bancarie e assicurative. Il D.L. n. 148 del 2017, stesso art. 19 quaterdecies, dispone che della L. n. 247 del 2012, citato art. 13 bis, si applica, in quanto compatibile, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui alla L. 22 maggio 2017, n. 81, art. 1, ovvero ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile.

Il motivo è inammissibile per due autonome e concorrenti ragioni.

VIII.2. Sotto un primo profilo esso risulta carente di specificità, in quanto il ricorrente denuncia un vizio di violazione di legge limitandosi a trascrivere il testo della L. n. 247 del 2012, art. 13 bis, senza, tuttavia, specificare quale sia la regola di diritto enunciata, o tacitamente applicata, nell’impugnata sentenza che si porrebbe in contrasto col disposto di tale articolo.

VIII.3. Sotto un secondo profilo, la questione di diritto sollevata nel motivo non viene trattata nella sentenza impugnata e postula indagini ed accertamenti di fatto – sulla quantità e qualità del lavoro del cui compenso si discute – che non sono stati effettuati dal giudice di merito e che non possono essere effettuati nel giudizio di legittimità; l’inammissibilità della doglianza risulta quindi dal principio di diritto, espresso da questa Corte nella sentenza n. 8206/2016, che, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

IX. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile. Premessa la già statuita inammissibilità ex art. 372 c.p.c., della produzione di documenti (asseritamente) rinvenuti dopo il giudizio di merito, ma formati anteriormente al medesimo (cfr. Cass. SSUU n. 7161 del 2010; Cass. n. 27475 del 2017; Cass. SSUU n. 25038 del 2013), è sufficiente considerare che:

– la doglianza che attinge l’affermazione dell’impugnata sentenza sulla non contestazione, da parte del Sig. Q., di un accordo relativo alla quantificazione del compenso professionale nella misura di Euro 40 a pratica va giudicata inammissibile per carenza di specificità, in quanto non si misura con l’argomentazione della sentenza impugnata che ravvisa la non contestazione del suddetto accordo da parte del Sig. Q. nella stessa prospettazione difensiva da costui proposta, là dove egli sostiene che la misura del compenso gli sarebbe stata imposta dalla controparte;

– la doglianza con cui si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo va giudicata inammissibile perchè non indica, come prescritto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, alcun fatto decisivo dedotto nel giudizio di merito e non esaminato dal Tribunale, ma sollecita questo Giudice di legittimità a procedere ad un esame diretto di fatti asseritamente emergenti da documenti inammissibilmente prodotti solo in questa sede.

X.1. Il quinto motivo, con cui si invoca l’efficacia preclusiva derivante dal “giudicato implicito delle sentenze nn. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016” di questa Corte, va pur esso giudicato inammissibile. In disparte la carenza di specificità della formulazione del mezzo di impugnazione, nel quale il ricorrente si limita a richiamare il numero cronologico delle suddette sentenze, senza riportare con precisione nè il contenuto delle medesime nè il contenuto delle sentenze di merito sulle quali le stesse sono intervenute, è tranciante la considerazione che con tali sentenze questa Corte ha cassato con rinvio le impugnate decisioni di merito; nessuna statuizione è dunque passata in giudicato all’esito della loro pronuncia, nè, per contro, il ricorrente ha precisato se, ed in quali termini, il giudice di rinvio si sia pronunciato, nè se, e quando, tale eventuale pronuncia di rinvio sia passata in giudicato.

X.2. Può peraltro aggiungersi che, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno sottolineato nella sentenza n. 4315 del 2020 (pag. 8), le sentenze di questa Corte nn. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016 “si sono limitate a escludere che i crediti azionati in quei tre singoli giudizi fossero assimilabili agli altri oggetto delle distinte azioni promosse dal Q. nei confronti della convenuta per diverse obbligazioni contrattuali, ma… nulla hanno statuito in ordine ai caratteri di tali diversi rapporti obbligatori”.

XI.1. Il sesto motivo è parimenti inammissibile. In disparte il difetto di specificità della censura, per l’assenza di una indicazione sufficientemente dettagliata del contenuto della sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575/2016, della quale si invoca l’efficacia di cosa giudicata, risulta tranciante la considerazione che detta sentenza risulta depositata il 9 giugno 2016 e si è pronunciata su una domanda giudiziale introdotta il 10 luglio 2014. Nel motivo di ricorso, tuttavia, si sostiene che la stessa sarebbe passata in cosa giudicata solo in data 10 giugno 2018 (nella rubrica del motivo la data del passaggio in giudicato viene peraltro indicata come 10/7/2018) e, quindi, successivamente alla data di pubblicazione della pronuncia di appello in questa sede gravata.

XI.2. L’assunto del ricorrente secondo cui la sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575/2016 sarebbe passata in giudicato nel giugno del 2018 è però evidentemente erroneo (il che rileva, ancora una volta, ai fini del giudizio sulla responsabilità aggravata del ricorrente ex art. 96 c.p.c.). Infatti, ai sensi dell’art. 327 c.p.c. – nel testo, applicabile ratione temporis, risultante dalla modifica recata dalla L. n. 69 del 2009 – il termine per la formazione del giudicato formale è di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. La sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575/2016 – avuto riguardo alla data di pubblicazione della stessa (9 giugno 2016, come già riportato) – risulta dunque passata in giudicato già nel gennaio del 2017, ben prima della pronuncia della sentenza del Tribunale di Napoli gravata in questa sede.

XI.3. Quanto sopra precisato sul momento del passaggio in cosa giudicata della sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575/2016 comporta l’applicazione del principio (sul quale, da ultimo, Cass. n. 1534/2018) secondo cui nel giudizio di cassazione il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla sentenza impugnata, e che in tal ultima ipotesi la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c.; tale divieto, per contro, opera per i documenti formatisi già nel corso del giudizio di merito, come appunto nel caso in cui sia invocata l’efficacia di giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, e che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (conf. Cass. n. 28247/2013; Cass. SSUU n. 13916/2006). Poichè l’efficacia di tale sentenza poteva essere dedotta già dinanzi al giudice di merito, la produzione della stessa in questa sede è preclusa ai sensi dell’art. 372 c.p.c.. Donde l’inammissibilità del motivo.

XII. Anche il settimo motivo è inammissibile. Esso, infatti, sviluppa una serie di argomentazioni volte a contestare che i crediti azionati nei diversi ricorsi per ingiunzione costituissero parcellizzazione di un unico credito e ad argomentare come il ricorrente fosse portatore di un interesse meritevole di tutela a proporre giudizi separati aventi ad oggetto il compenso spettante per ciascuno degli incarichi ricevuti dalla Compagnia di assicurazioni. Si tratta, all’evidenza, di argomenti non pertinenti alla motivazione dell’impugnata sentenza, la quale non si è pronunciata sulla questione della proponibilità della domanda del Sig. Q., ma ha ritenuto tale domanda infondata nel merito.

XIII. Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza in favore della società controricorrente, nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Considerata la palese inammissibilità e la manifesta infondatezza dei motivi, il Collegio ritiene che la condotta processuale del ricorrente (che anche dopo la pronuncia a sè sfavorevole delle Sezioni Unite ha continuato a coltivare il ricorso senza confrontarsi con le argomentazioni delle stesse Sezioni Unite) sia connotata da colpa grave, tale da integrare un abuso del processo (secondo la nozione enucleata da Cass. SSUU n. 22405/2018; v. anche Cass. n. 29462/2018; Cass. n. 10327/2018; Cass. n. 19285/2016) per il quale va comminata la sanzione prevista dall’art. 96 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis, mediante la condanna del Sig. Q. al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controricorrente (in misura parametrata in maniera di poco superiore all’importo delle spese di lite liquidate in favore della controparte).

XIV. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. L’effettiva debenza di tale importo, va precisato, è condizionata alla eventuale decisione (che, alla stregua dei principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4315/2020, compete al Tribunale di Napoli) di revoca dell’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato disposta in via provvisoria dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge; condanna Q.B., ai sensi dell’art. 96 c.p.c., u.c., al pagamento in favore di UnipolSai Assicurazioni S.p.A. della ulteriore somma di Euro 1.000,00;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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