Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22653 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 08/11/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 08/11/2016), n.22653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18335/2015 proposto da:

BRID MARKETING S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, P.I. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 229, presso lo studio

dell’avvocato ELENA FERRARI, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati ALESSANDRO FACCHINO, DAVIDE VIRGILIO FRANCESCO

GUARDAMAGNA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAMERINO 15, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

VICINANZA, che la rappresenta e difende giusta comparsa di

costituzione di nuovo difensore in atti del 7/6/2016;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 304/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/03/2015 r.g.n. 1588/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato FERRARI ELENA;

udito l’Avvocato VICINANZA ALESSANDRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Milano con la sentenza n. 304 del 2015, decidendo sul reclamo proposto ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 e segg., avverso la sentenza del Tribunale di Monza che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato in data (OMISSIS) da Brid Marketing s.r.l. a Z.P. e condannato la società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento dell’indennità risarcitoria nella misura di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali, confermava l’illegittimità del licenziamento e la sussistenza del requisito dimensionale per la tutela reale ritenute dal primo giudice; rilevato tuttavia che licenziamento era stato intimato il (OMISSIS), prima dell’entrata in vigore della riforma contenuta nella L. 92 del 2012, quantificava il risarcimento del danno nella retribuzione globale di fatto dalla data del recesso a quello dell’effettiva reintegrazione. Per quello che qui ancora rileva, la decisione della Corte territoriale poggiava sulla considerazione che l’individuazione del numero dei dipendenti dell’impresa al fine di determinare la tutela applicabile deve avere riguardo alla normale occupazione nel periodo antecedente il recesso, utilizzando quale arco temporale quello riferito all’anno.

Per la cassazione della sentenza Brid Marketing s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso Z.P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve rilevarsi che l’intervenuto fallimento della società ricorrente (dichiarato con la prodotta sentenza del 23.12.2015) non produce effetto interruttivo nel presente giudizio di legittimità, dominato dall’impulso d’ufficio (ex plurimis, Cass. n. 8685 del 31/05/2012, n. 3323 del 13/02/2014, n. 22624 del 31/10/2011).

2. Come unico motivo di ricorso, la società deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18. Il motivo attinge la sentenza della Corte territoriale laddove ha ritenuto di assumere a riferimento l’arco temporale di un anno ai fini della valutazione del requisito dimensionale per l’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18. Sostiene che tale periodo può essere utilizzato nei casi di organizzazioni produttive con sistematiche e ricorrenti fluttuazioni del numero dei dipendenti, naturale effetto della specifica attività esercitata, mentre nelle realtà aziendali non soggette a mutazioni stagionali o a periodiche fluttuazioni, il periodo di sei mesi apparirebbe più congruo per rappresentare la dimensione occupazionale media, preservando al contempo la facoltà del datore di lavoro di riorganizzare anche sotto il profilo delle risorse umane la propria struttura produttiva.

3. Il ricorso non è fondato.

Questa Corte ha più volte affermato e va qui ribadito che “ai fini dell’ operatività della tutela reale contro i licenziamenti individuali illegittimi, il computo dei dipendenti va accertato sulla base del criterio della normale occupazione, il quale implica il riferimento all’organigramma produttivo o, in mancanza, alle unità lavorative necessarie, secondo la normale produttività dell’impresa, valutata con riguardo al periodo di tempo antecedente al licenziamento, senza darsi rilevanza alle contingenti ed occasionali contrazioni od anche espansioni del livello occupazionale aziendale” (Cass. n. 13625 del 2000, n. 5092 del 2001, n. 12909 del 2003, n. 2315 del 2012, n. 2460 del 2014, n. 362 del 2016).

In mancanza di una previsione temporale espressa, l’ambito temporale cui occorre avere riguardo non può quindi essere definito aprioristicamente, dovendosi avere riguardo alla concreta organizzazione produttiva ed alla sua collocazione nel mercato ed in tal senso al tempo necessario in concreto e con riferimento al quello specifico momento per configurare una ragionevole stabilizzazione occupazionale.

Le valutazioni effettuate al riguardo costituiscono un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità, se adeguatamente motivate (Cass. n. 362 del 2016, cit., 2 gennaio 2000 n. 609; Cass. 8 maggio 2001 n. 6421).

Nel caso, la critica alla scelta effettuata dal giudice di merito, che ha ritenuto il periodo annuale il più appropriato per valutare la normale occupazione dell’impresa, è del tutto contrappositiva, non fornendosi oggettiva giustificazione al principio patrocinato secondo il quale in un’impresa non soggetta a fluttuazioni stagionali il riferimento a periodo semestrale sarebbe da preferirsi rispetto a quello annuale, nè riferendosi tale principio a concrete circostanze fattuali in tal senso significative. Il ricorso chiede quindi a questa Corte di sostituire il proprio giudizio di merito a quello del giudice territoriale, il che esorbita dai limiti del vaglio di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 15208 del 3 luglio 2014, Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011 n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313).

4. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

L’esito del giudizio determina la sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ai fini del raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13 , comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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