Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22651 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 08/11/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 08/11/2016), n.22651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12434/2015 proposto da:

S.M.A. S.P.A. – SOCIETA’ UNIPERSONALE, C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

NITOGLIA, rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO ZANINETTI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAMERINO 15, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

VICINANZA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BIAGIO CARTILLONE, giuista delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 275/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/03/2015 r.g.n. 1736/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato ZANINETTI FABIO;

UDITO l’Avvocato LOMBARDO MARCELLA per delega Avvocato CARTILLONE

BIAGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13 marzo 2015, la Corte d’Appello di Milano, nel pronunciare in sede di reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, riformava la decisione del Tribunale di Milano e accoglieva la domanda proposta da D.G. nei confronti della SMA S.p.A., Società unipersonale, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla Società datrice il (OMISSIS) in relazione all’addebito contestatogli relativo alla violazione della procedura aziendale sulla gestione delle casse e all’appropriazione di merce di proprietà aziendale di cui aveva assicurato il pagamento poi mai effettuato e la condanna della stessa alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nei limiti di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto insussistente il fatto addebitato, non ravvisandosi nè l’abuso della propria posizione di supremazia gerarchica finalizzata all’induzione della dipendente a lui sottoposta alla violazione della procedura aziendale, nè la condotta oggettiva integrante gli estremi dell’addebitata appropriazione indebita.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il D..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., in relazione agli artt. 2104, 2105, 1175, 1176, 1375 e 2106 c.c., la Società ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale la non conformità a diritto del giudizio espresso in ordine alla ricorrenza nella specie dell’invocata giusta causa di licenziamento, per aver operato quella valutazione alla stregua di un criterio penalistico cui in senso lato rimandavano le condotte contestate, l’induzione all’illecito e l’appropriazione indebita, incentrato sulla rispondenza o meno di quelle condotte alle fattispecie di illecito ipotizzate a carico del lavoratore, piuttosto che con riguardo allo specifico parametro normativo che induce a sondare la permanenza del vincolo fiduciario, sotto il profilo dell’affidamento del datore sull’esatto adempimento delle prestazioni future da parte del lavoratore, con riguardo alle caratteristiche oggettive e soggettive della condotta addebitata considerate secondo il diverso criterio dell’intensità della lesione degli obblighi discendenti dal contratto e del generale dovere di correttezza e buona fede.

Il secondo motivo ripropone la medesima censura con riguardo all’omessa considerazione dell’ulteriore parametro valutativo dato dalla previsione del CCNL di categoria che all’art. 229, include tra le ipotesi legittimanti il licenziamento per giusta causa appunto l’appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi.

Il terzo motivo mira a ricondurre al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, la mancata considerazione da parte della Corte territoriale della circostanza dell’avvenuta appropriazione, avvalorata dagli ulteriori elementi, parimenti pretermessi nella valutazione della Corte medesima, dati dal trattenimento dello scontrino sospeso e dalla mancata effettuazione nel giorno successivo del pagamento preannunciato, cui fa riscontro l’eccessiva sopravvalutazione della circostanza dell’assenza dell’induzione della cassiera alla violazione delle procedure di cassa, circostanza, del resto, assunta a priori e non verificata, stante la qui pure censurata decisione di non ammettere a riguardo la prova, pur ritualmente richiesta dalla Società.

In sostanza, l’impugnazione proposta, pur articolata sui tre motivi sopra riassunti è unitariamente volta ad imputare alla Corte territoriale la mancata considerazione in termini di inadempimento agli obblighi contrattuali della condotta addebitata al dipendente che, consistita nella mancata effettuazione del pagamento preannunciato per il giorno successivo alla cassiera cui, nella sua veste di responsabile di reparto del supermercato gestito dalla Società ricorrente, il medesimo si era presentato chiedendo di sospendere l’emissione dello scontrino relativo alla merce che comunque intendeva ritirare come poi è effettivamente avvenuto, ben poteva, a detta della Società ricorrente, essere riguardata nei termini che avevano dato luogo all’iniziativa disciplinare intrapresa a carico del dipendente e sfociata, in coerenza con l’indicazione desumibile dal codice disciplinare di cui al contratto collettivo applicabile, nel licenziamento per giusta causa del dipendente stesso, ovvero come appropriazione da parte di questi di merce di proprietà aziendale ottenuta senza corrispondere il relativo prezzo, facendo leva sul proprio ruolo aziendale al fine di persuadere la cassiera ad usargli un trattamento difforme dalla normale prassi di immediato pagamento del prezzo in essere presso l’azienda.

Così posta la questione i tre motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono dirsi infondati, non valendo le censure mosse ad inficiare il giudizio in ordine alla non ricorrenza nella specie dell’invocata giusta causa di recesso espresso dalla Corte territoriale che, sulla base di una puntuale e congrua valutazione degli elementi di fatto – in particolare dati dall’aver il dipendente operato senza ricorrere ad alcun sotterfugio, presentando alla cassa la merce che intendeva acquistare, dichiarando alla addetta la propria volontà di acquisto, è vero ottenendo da questa una non usuale dilazione di pagamento ma, nel contempo, mettendola in grado, come poi si è puntualmente verificato, di segnalare il debito a suo carico, così da non potersi comunque sottrarre al pagamento anche ove non effettuato, per una ragione riferibile anche ad una mera dimenticanza, il giorno dopo come dichiarato – ha correttamente ritenuto frutto di una affrettata, forzata ed, in ultima analisi, artificiosa e, come tale, irrispettosa degli obblighi di correttezza e buona fede, la valutazione della condotta medesima operata dalla Società in termini di violazione della disciplina aziendale, escludendone la connotazione quale inadempimento e dunque la sussistenza, rilevante anche agli effetti sanzionatori, del fatto addebitato.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della Società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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