Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2265 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/01/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in Roma via dei

Gracchi 187 presso lo studio dell’avv. Giovanni Magnano di San Lio e

dallo stesso, unitamente e disgiuntamente all’avv. D’Alessandro

Nicolò, rappresentato e difeso giusta procura speciale a margine del

ricorso.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

nonchè

Ministero delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, dom.to

presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, via dei Portoghesi

12;

– intimato –

avverso la sentenza n. 198/18/05, depositata in data 4 ottobre 2005,

della Commissione tributaria regionale della Sicilia;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Giovanni

Carleo;

sentita la difesa svolta per conto di parte resistente, che ha

concluso per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.

Udito il P.G. in persona del dr. Umberto Apice che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso con le pronunce consequenziali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con istanza inviata il 22 luglio 1997, C.S., già dipendente del Comune di Catania, collocato in pensione dall’1 settembre 1988, premesso che il Comune di Catania nel liquidare l’indennità supplementare di fine servizio, corrisposta con Delib.

del 1989, aveva omesso di computare le detrazioni previste dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17 prima di procedere all’applicazione dell’Irpef, come aveva invece fatto l’Inpdap nel liquidare l’indennità di buonuscita, chiedeva il rimborso della differenza a suo avviso spettantegli. Avverso il successivo silenzio-rifiuto maturatosi sull’istanza, il contribuente presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Catania, la quale lo rigettava.

Proponeva appello il C. ribadendo le tesi esposte in primo grado ma la Commissione tributaria regionale della Sicilia rigettava il gravame. Avverso la detta sentenza il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, soggetto giuridico che va ritenuto privo della necessaria legittimazione passiva alla luce della considerazione che il giudizio di appello, al quale non aveva partecipato, era stato introdotto con ricorso depositato il 31.10.2003, vale a dire dopo il primo gennaio del 2001, nei confronti della sola Agenzia delle Entrate. A riguardo, è utile osservare che la data dell’ 1.1.2001 coincide con quella in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, con conseguente successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia (Sez. Un. n. 3118/06). Alla luce di tali considerazioni, risulta pertanto evidente come nella vicenda processuale in esame il Ministero non è legittimato passivamente per cui si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso nei suoi confronti, senza che occorra provvedere sulle spese in quanto la parte vittoriosa, non essendosi costituita, non ne ha sopportate.

Sempre in via preliminare, deve essere rilevata l’inammissibilità della eccezione, formulata dalla Agenzia, di decadenza del contribuente dal rimborso, in quanto proposto tardivamente, oltre il termine dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38. A riguardo, se è esatto che, in materia tributaria, la decadenza del contribuente dall’esercizio di un potere nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in quanto stabilita in favore di quest’ultima ed attinente a situazioni da questa non disponibili – perchè disciplinata da un regime legale non derogabile, rinunciabile o modificabile dalle parti -, è rilevabile anche d’ufficio, non può trascurarsi che anche il rilievo officioso resta precluso qualora sul punto si sia già formato un giudicato interno. La premessa torna utile in quanto la ricorrente Agenzia, dopo aver dedotto di aver sollevato la relativa questione sia in primo grado che in secondo grado senza che i giudici di merito si pronunziassero sul punto – la sentenza impugnata non contiene il minimo accenno alla questione – omette di adempiere al principio di autosufficienza del ricorso riportando, negli esatti termini in cui sarebbe avvenuta, la riproposizione dell’eccezione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. in sede si appello, adempimento necessario al fine di evitare la formazione del giudicato interno. Ed invero, il principio della rilevabilità d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, va contemperato con il principio dell’intangibilità del giudicato, per cui, se il giudice di primo grado abbia implicitamente escluso la dedotta decadenza del contribuente, passando ad esaminare il merito della controversia, e l’appellato non abbia riproposto l’eccezione ex art. 346 c.p.c., il giudicato implicito, che si è venuto a formare, impedisce il riesame di detta questione anche in sede di legittimità. Ne deriva l’inammissibilità dell’eccezione. Ancora, in via preliminare, devono essere disattese le ulteriori questioni, sollevate in primo grado, ritualmente riproposte in appello dall’Agenzia ex art. 346 c.p.c. e rigettate dalla CTR nella sentenza di secondo grado, riguardanti l’una la nullità della notifica del ricorso di primo grado, effettuata presso l’Ufficio distrettuale HDD e non presso la DRE, l’altra la nullità della notifica dell’appello effettuata nei confronti dell’Agenzia presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato.

Ed invero, appare esente da censure l’argomentazione, addotta dalla Commissione di seconde cure a sostegno del rigetto delle eccezioni, argomentazione fondata sul disposto di cui all’art. 156 c.p.c., in considerazione della avvenuta costituzione della parte in giudizio e dal fatto che l’atto notificato abbia raggiunto comunque il suo scopo, consentendo alla parte stessa il pieno esercizio del suo diritto di difesa. Ed invero, poichè lo scopo della notificazione degli atti di vocatio in ius è quello di attuare il principio del contraddittorio e tale finalità è raggiunta con la costituzione in giudizio del destinatario, la nullità della notifica di un atto è sanata, per raggiungimento dello scopo, dalla costituzione in giudizio del destinatario e la sanatoria retroagisce al momento del compimento della notifica viziata, sanando qualsiasi vizio della notificazione stessa.

Passando all’esame della doglianza, svolta dal ricorrente, deve premettersi che la stessa si articola essenzialmente attraverso due profili: il primo, fondato sulla violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1;

Il secondo, fondato sul difetto assoluto di motivazione. Ed invero, la sentenza impugnata – così scrive il ricorrente riguardo al secondo profilo della censura – è “assolutamente priva di motivazione non esternando in alcun modo le ragioni che hanno indotto la Commissione a confermare la sentenza di primo grado”.

La censura è fondata. All’uopo, torna utile premettere che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si verifica non solo nell’ipotesi di totale assenza di una qualunque esplicitazione delle ragioni della pronunzia ma anche nel caso di una sostanziale inidoneità della motivazione a rappresentare le ragioni poste a base della decisione, con la conseguenza che la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado è viziata per carenza di motivazione, e si pone dunque fuori dal pur legittimo ambito del ricorso alla motivazione “per relationem”, ove si limiti ad aderire alla sentenza impugnata, senza dare conto dei motivi di impugnazione che censurino le soluzioni adottate dal giudice di primo grado e soprattutto senza esplicitare le specifiche ragioni di confutazione delle doglianze formulate. Infatti, la motivazione deve essere effettiva e non apparente, come è invece avvenuto nel caso di specie, posto che la C.T.R. si è limitata apoditticamente a dichiarare “Nel merito, la sentenza impugnata va confermata anche in relazione alla questione della detrazione di lire 500.000 per ogni anno lavorativo, peraltro concordando, su tal punto, con le decisioni prodotte dall’appellante m. 675 dello 06.10/27.10.2000, n. 116 del 14-17/02/2001 della Commissione tributaria provinciale di Catania nonchè la n. 382 del 30.01.1996 della Commissione Tributaria Centrale” esaurendo con tale laconica proposizione la motivazione della propria decisione e guardandosi bene dal valutare comparativamente le considerazioni poste dal giudice di prime cure a sostegno della decisione impugnata e le ragioni di censura formulate dall’appellante così da consentire il controllo della correttezza del percorso logico-argomentativo seguito, che avrebbe dovuto essere diretto a confutare le doglianze formulate dall’appellante.

Giova aggiungere che la motivazione per relationem ad altra sentenza è legittima purchè il giudice, riportando il contenuto della decisione evocata, non si limiti a richiamarla genericamente ma la faccia propria con autonoma e critica valutazione. Al contrario, la motivazione “per relationem” deve essere invece considerata del tutto carente ed invero apparente quando il “decisum” si fondi, come nel caso di specie, esclusivamente sul mero rinvio a precedenti giurisprudenziali, richiamati assai genericamente con il numero di registro generale, in modo acritico, senza chiarire le ragioni ivi contenute che sarebbero idonee a confutare, nello specifico, le doglianze formulate dall’appellante avverso la sentenza di primo grado.

Ne consegue che in applicazione di questo principio il motivo di impugnazione in esame merita di essere condiviso, assorbito il primo.

Con l’ulteriore conseguenza che il ricorso per cassazione, siccome fondato, deve essere accolto, che la sentenza impugnata deve essere cassata e che, occorrendo un rinnovato esame da condursi nell’osservanza del principio richiamato, la causa va rinviata ad altra Sezione della CTR Sicilia, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto contro il Ministero dell’economia e delle finanze. Nulla spese. Accoglie il secondo motivo del ricorso nei confronti dell’Agenzia, assorbito il primo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa ad altra Sezione della CTR Sicilia, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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