Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2265 del 30/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 30/01/2017, (ud. 01/12/2016, dep.30/01/2017),  n. 2265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12263-2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LG. FAVARELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ENZO MORRICO, FRANCO RAIMONDO

BOCCIA e ROBERTO ROMEI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO PETROCELLI, giusta

mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8776/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio, non infirmata dalla memoria depositata dalla parte intimata.

2. Il Tribunale di Roma dichiarava l’inefficacia della cessione da Telecom Italia S.p.A. a HP DCS del ramo d’azienda cui era addetto l’attuale lavoratore intimato e condannava la cedente a ripristinare i rapporti di lavoro.

3. Telecom Italia S.p.A. non ottemperava all’ordine di ripristinare il rapporto di lavoro malgrado la formale offerta della prestazione ed il lavoratore, che continuava a lavorare per la società cessionaria, chiedeva ed otteneva, dal Tribunale di Roma, decreto ingiuntivo con il quale si intimava a Telecom il pagamento delle retribuzioni maturate.

4. L’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo veniva rigettata dal Tribunale di Roma.

5. La Corte d’appello di Roma rigettava il gravame svolto dalla società.

6. Ad avviso della Corte territoriale, la società versava in evidente stato di mora (per non aver compiuto citiamo necessario affinchè il debitore potesse adempiere l’obbligazione, ex art. 1260 c.c., comma 1), nè alcun legittimo impedimento era stato dedotto, con conseguente obbligo di corrispondere la retribuzione relativa al periodo successivo a eludo in cui era stata giudizialmente annullata la cessione, indipendentemente dall’effettività della prestazione.

7. Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a due motivi.

8. Il lavoratore ha resistito con controricorso.

9. Parte ricorrente, deducendo plurime violazioni di legge, addebita alla Corte d’appello di avere ritenuto valida la messa in mora di Telecom da parte dei lavoratori, nonostante che essi non potessero validamente adempiere continuando a lavorare presso la cessionaria del ramo d’azienda, percependone la regolare retribuzione e ribadisce che il diritto alla retribuzione è collegato allo svolgimento della prestazione, mentre qualora questa non venga richiesta e resa il lavoratore ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno, con detrazione dell’aliunde perceptum.

10. Il ricorso è qualificabile come manifestamente fondato tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte formatasi con riferimento alla medesima vicenda delle cessioni, ritenute illegittime, di rami d’azienda da pane della Telecom (v., fra le tante, Cass. 8514/2015, la cui motivazione si richiama integralmente).

11. La questione degli effetti della dichiarazione di nullità della cessione di ramo d’azienda è stata affrontata da questa Corte nella sentenza n. 19740 del 2008, cui occorre dare continuità, che ha ritenuto che l’obbligazione del cedente che non proceda al ripristino del rapporto di lavoro deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell’aliunde perceptum.

12. Costituisce infatti un principio che si è andato consolidando nell’elaborazione di questa Corte quello secondo il quale il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive nel quale l’erogazione del trattamento economico in mancanza di lavoro costituisce un’eccezione, che deve essere oggetto di un’espressa previsione di legge o di contratto, ciò che avviene ad esempio nei casi del riposo settimanale (art. 2108 c.c.) e delle ferie annuali (art. 2109 c.c.).

13. In difetto di un’espressa previsione in tal senso, la mancanza della prestazione lavorativa da luogo anche nel contratto di lavoro ad una scissione tra sinallagma generico (che ha riguardo al rapporto di corrispettività esistente tra le reciproche obbligazioni dedotte in contratto) e sinallagma funzionale (che lega invece le prestazioni intese come adempimento delle obbligazioni dedotte) che esclude il diritto alla retribuzione – corrispettivo e determina, a carico del datore di lavoro che ne è responsabile, l’obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni.

14. Proprio perchè si tratta di un risarcimento del danno – ed in assenza di una disciplina specifica per la determinazione del suo ammontare – soccorrono i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conseguenza che dev’essere detratto l’aliunde perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lucrativa.

15. Tali principi sono stati affermati da questa Corte in relazione a fattispecie che, seppure diverse da quella che ci occupa, sono a questa pienamente assimilabili sotto il profilo esaminato, (inali gli intervalli non lavorati nel caso di successione di una pluralità di contratti a termine, nei quali l’apposizione della clausola sia stata ritenuta illegittima (Cass. S.U. n. 2334 del 5 marzo 1991,Sez. 1 n. 9464 del 21/04/2009), la dichiarazione di nullità del licenziamento orale (Cass. Sez. 508 del 27/07/1999), la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro con accertamento della giuridica continuità dello stesso (Cass. Sez. L. n. 4677 del 2006, Sez. 1 n. 15515 del 02/07/2009), l’accertamento della nullità di clausola del contratto collettivo prevedente l’automatica cessazione del rapporto di lavoro al raggiungimento della massima anzianità contributiva con conseguente accertamento della continuità giuridica del rapporto di lavoro (Sez. U, n. 12194 del 13/08/2002 e successive conformi tra cui ex multis Sez. 1 n. 11758de1 01/08/2003, Sez. 1 n. 13871 del 14/06/2007, Sez. L. n. 14387 del 2000).

16. La qualificazione in termini risarcitoti delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro come conseguenza dell’obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto risulta peraltro influenzata, in maniera decisiva, dalle modifiche introdotte dalla L. n. 108 del 1990, arti alla L. n. 300 del 1970, art. 18 che ha unificato quanto dovuto peri periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell’obbligo risarcitorio (così Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4943 del 01/04/2003 e successive plurime conformi tra cui v. Sez. 1 n. 16037 del 17/08/2004, Sez. 1 n. 26627 del 13/12/2006), con la conseguente detraibilità dell’aliunde perceptum” (così Cass. 8514/2015 cit.; principi ulteriormente ribaditi, da ultimo, da Cass., sez. sesta L. n. 21721/2015 e nn. 7, 8, 9, 10, 68 del 2016).

17. Per quanto detto, la prosecuzione del rapporto di lavoro (seppure solo di fatto) con la società acquirente del ramo di azienda, con la continuazione dell’attività lavotativa in favore della cessionaria ed il godimento della retribuzione pur dopo la declaratoria giudiziale di inefficacia della cessione, comporta solo un pregiudizio economico, il danno, nella vicenda in esame non allegato e dedotto, commisurato alla differente controprestazione retributiva che, per la medesima attività lavorativa, ove svolta in favore di Telecom, quest’ultima avrebbe dovuto adempiere, priva, peraltro, di un’ulteriore valenza di coercizione indiretta.

18. Deve, infine, aggiungersi che non sussistono i presupposti per la rimcssione della causa al primo presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, sia perchè la qualificazione, in termini risarcitori, delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro, come conseguenza dell’obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto, è stata costantemente riaffermata da questa Corte di legittimità nelle numerose sentenze, anche recenti, richiamate nei paragrafi precedenti, sia perchè gli enunciati giurisprudenziali di segno opposto dei giudici di merito, diversamente dai difformi orientamenti del giudice della nomofilachia, non danno adito ad una pronuncia a sezioni unite, a mente dell’art. 374 c.p.c.

19. Del pari, dalla riaffermata qualificazione risarcitoria del pregiudizio economico derivante al lavoratore dalla nullità della cessione, ex art. 1418 c.c., per violazione di norme imperative (su cui vedi, da ultimo, Cass. n. 13791/2016), consegue che non si appalesa rilevante in causa la prospettata questione di legittimità costituzionale degli artt. 1453 e 2094 c.c., per violazione degli artt. 3, 24, 35, 38 e 41 Cost., illustrata nella memoria depositata dalla parte intimata.

20. In conclusione, all’accoglimento del ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa dev’essere decisa con l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto opposto.

21. L’esito alterno del giudizio di merito giustifica la compensazione delle spese dei gradi di merito.

22. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione e revoca il decreto opposto. Compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito e condanna la parte intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi, nonchè in Euro 2.500,00 per compensi oltre accessori e rimborso forfetario del 15 per cento.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2017

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