Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2265 del 03/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 2265 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 19524-2011 proposto da:
PETRUCCI GIOVANNI in proprio e nq di titolare
dell’omonima Impresa, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo studio
dell’avvocato TINELLI GIUSEPPE, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato MAURIZIO DE LORENZI
2013

giusta delega a margine;
– ricorrente –

3457
contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro
pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in

Data pubblicazione: 03/02/2014

ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende
ope legis;
– controri correnti. –

avverso la sentenza n. 18057/2010 della CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 04/08/2010;

udienza del 04/12/2013 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE LORENZI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato PISANA che
ha chiesto il rigetto e l’inammissibilità;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 18057 del 2010, depositata il 4.8.2010, la
Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da Giovanni

rigettato i ricorsi da lui proposti, avverso gli avvisi di
accertamento ai fini IVA per gli anni 1995, 1996 e 1997.
Per la revocazione della predetta sentenza, Giovanni
Petrucci ha proposto ricorso, ex art 391 bis cpc, successivamente
illustrato da memoria. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con
controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte ha rigettato i due
motivi del ricorso per cassazione, proposto dal contribuente,
affermando, rispettivamente, che:
a) non era stato proposto motivo attinente al vizio di
motivazione, e che “anche la presenza di seri indizi che inducono
a ritenere la presenza di documenti contabili non ufficiali e
rilevanti presso l’abitazione del contribuente comportano la
possibilità che sia richiesta e concessa, legittimamente,
l’autorizzazione ad acquisire la predetta documentazione presso
il contribuente”, indizi che nella specie era ravvisabili in quelli
che l’Ufficio aveva rappresentato alla Procura della Repubblica
(indicati con le lettere a) b) e c) di pag. 6 della sentenza
impugnata);
b) “nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio

i

Petrucci avverso le sentenze della CTR del Lazio, che avevano

finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere
del contribuente, a carico del quale si determina una inversione
dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili

imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è
soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti
dai conti predetti”.
2. Col primo motivo, il contribuente censura il principio
affermato nella sentenza impugnata, e sopra riassunto sub 1.a),
deducendo che lo stesso è “certamente condivisibile ma
altrettanto certamente improprio, in quanto ancorato a
presupposto palesemente errato, facilmente riscontrabile
dall’esame degli atti del procedimento” ed, in ispecie, dai
documenti, allegati al ricorso per revocazione, così elencati:
“richiesta di autorizzazione della GdF all’accesso, nota n.
2302/26 del 20.3.1999; provvedimento del PM del 22.3.1999 in
calce alla richiesta; integrazione richiesta della GdF nota n.
2411/26 del 23.3.1999; provvedimento di autorizzazione del PM
nota n. 21/99 AF del 23/3/1999; allegato 1 al PVC del 24/3/1999
redatto dalla GdF; certificazione del Direttore dell’Ufficio delle
Entrate di Rieti attestante depositario delle scritture contabili
presso lo studio Dr. Giuliano Creola”.
3. Col secondo motivo, il ricorrente lamenta che, anche in
relazione all’affermazione riassunta sub 1.b), l’impugnata
sentenza è “affetta da evidente errore di fatto, assumendo ad

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dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni

erroneo presupposto che le valutazioni presuntive dell’Ufficio
siano fondate su accertamenti bancari, che in realtà non sono mai
stati svolti”.

configurano, infatti, l’errore di fatto, che costituisce il
presupposto per l’ammissibilità del ricorso per revocazione
avverso le sentenze di questa Corte, ai sensi dell’art. 391 bis cpc,
qui in rilievo. Ed invero tale errore -per quanto interessa
nell’ipotesi in esame, d’impugnazione di una sentenza che ha
ritenuto infondati i motivi di ricorso- presuppone che la
valutazione del giudice sia inficiata da una distorta percezione,
risultante in modo incontrovertibile dalla realtà del processo, di
un fatto, che, ove esattamente inteso, avrebbe determinato una
diversa valutazione, sempre che dalla stessa decisione non risulti
che quello stesso fatto -denunciato come erroneamente
percepito- sia stato oggetto di giudizio. 5. E’, poi, necessario
precisare che la realtà del processo cui va fatto riferimento è
quella propria del giudizio di cassazione: l’errore deve
riguardare gli atti interni di tale giudizio, e, cioè, quelli che la
Corte esamina direttamente con una propria ed autonoma
indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle
questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 17110/2010).
6. Tali presupposti sono carenti nel caso in esame. In
relazione al primo motivo, l’asserito contrasto fra le diverse
rappresentazioni dello stesso fatto, una emergente dalla sentenza

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4. Il ricorso è inammissibile: le questioni dedotte non

e l’altra dagli atti e documenti processuali, viene, invece,
prospettato in riferimento a documenti che il ricorrente afferma
di produrre unitamente al ricorso per revocazione; senza dire che

asserita erroneità del giudizio circa la ricorrenza dei presupposti
per l’autorizzazione all’accesso domiciliare ex art 52 del dPR n.
633 del 1972, sulla scorta, per di più, di dati fattuali il cui esame
sarebbe stato, comunque, inammissibile in sede di legittimità
(peraltro, non vi era censura sotto il profilo motivazionale) e non
l’affermazione o negazione di un fatto risultante inesistente o
esistente dalle risultanze processuali, quali sopra indicate.
7. Il secondo motivo appare, in sé, contraddittorio, in
quanto nega ed afferma la sussistenza di accertamenti bancari
(“non sono mai stati svolti accertamenti di natura bancaria” ..
“l’accertamento fa riferimento agli ingenti versamenti riscontrati
..sul conto personale all’attività d’impresa.. con ciò estendendo
la richiamata presunzione a un conto non riferito all’impresa..) e,
comunque, non esplica affatto quale sia l’oggetto dell’errore
revocatorio emergente dalle risultanze processuali, dissimulando,
anche in questo caso, un supposto errore di giudizio.
8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come
da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il
ricorrente al pagamento delle spese che si liquidano in C 20.000,

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il motivo denuncia “errores in iudicando”, sotto il profilo della

oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2013.

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