Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22648 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/09/2017, (ud. 08/06/2017, dep.27/09/2017),  n. 22648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1278-2016 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E. MOROSINI

16, presso lo studio dell’avvocato GUIDO GUERRA, rappresentato e

difeso dall’avvocato UGO DELLA MONICA;

– ricorrente –

contro

I.A.C.P. – ISTITUTO AUTONOMO PER LE CASE POPOLARI DELLA PROVINCIA DI

SALERNO, – C.F. (OMISSIS), in persona dei suoi legai rappresentati,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo

studio dell’avvocato CURZIO CICALA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO VILLANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 460/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 09/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’8/06/2017 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA

LUCIANA BARRECA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

con la sentenza impugnata, pubblicata il 9 luglio 2015, la Corte di Appello di Salerno ha rigettato l’appello proposto da S.F. nei confronti dell’I.A.C.P. della provincia di Salerno contro la sentenza del Tribunale di Salerno del 14 giugno 2008 che aveva rigettato la domanda, proposta dallo S., di dichiarazione del suo diritto a subentrare nell’assegnazione di un alloggio popolare sito in (OMISSIS), fabbricato D, int. 8, già assegnato al padre, deceduto il (OMISSIS);

la Corte d’appello, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto che, dovendo essere applicato la L.R. Campania 2 luglio 1997, n. 18, art. 14 l’attore, appellante, avrebbe dovuto dare prova della convivenza con l’originario assegnatario al momento del decesso di quest’ultimo; ha quindi rivalutato la prova documentale già esaminata dal primo giudice (giudicando non utile allo scopo la nota n. 7167 del 30 dicembre 1997 del comune di (OMISSIS) ed accertando che “non si rinviene in atti il certificato storico di residenza di S.F.”, richiamato a sostegno del motivo di appello, e che nemmeno la sentenza di primo grado aveva compiuto alcun richiamo a questo certificato); ha concluso – per quanto ancora qui rileva – per la mancata dimostrazione da parte di S.F. del requisito della convivenza col proprio genitore alla data del decesso ((OMISSIS)), osservando che vi erano anzi in atti documenti prodotti dall’I.A.C.P. di segno contrario (elencati alla pag. 4 della sentenza); parimenti, ha reputato contrari agli assunti dell’attore, appellante, le risultanze di altri documenti richiamati da quest’ultimo (nota I.A.C.P. del 28 gennaio 1998 e ordinanza del Sindaco del 25 novembre 1999); quindi ha, come detto, rigettato il gravame, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado;

il ricorso è proposto da S.F. con un solo motivo, articolato in due censure;

l’Istituto intimato si difende con controricorso;

ricorrendo uno dei casi previsti dall’art. 375 c.p.c., comma 1, su proposta del relatore della sezione sesta, il presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

il decreto è stato notificato come per legge;

parte ricorrente ha depositato “istanza rinvio udienza” per poter “reperire e/o ricostruire il fascicolo di parte del secondo grado di giudizio”.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

in via preliminare, il collegio ritiene di non poter accogliere l’istanza sopra menzionata, depositata nella stessa data – 8 giugno 2017 ore 9.55 – fissata per l’adunanza ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. in quanto inammissibile e comunque tardiva rispetto all’attività da compiere; infatti, considerato che il ricorso è stato notificato il 30 dicembre 2015 (con contestuale richiesta alla cancelleria della Corte d’appello, non solo della trasmissione del fascicolo d’ufficio, ma anche del fascicolo di parte del secondo grado di giudizio, come affermato nell’istanza medesima), parte ricorrente avrebbe dovuto documentare l’impossibilità di depositare il proprio fascicolo di parte ai sensi dell’art. 369 c.p.c. (vale a dire con attestazione di cancelleria da depositarsi unitamente al ricorso) ed avrebbe quindi dovuto attivarsi tempestivamente per il reperimento o la ricostruzione del fascicolo medesimo;

in mancanza di questi adempimenti, il rinvio non è concedibile;

con l’unico motivo di ricorso si deduce “illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione della L.R. 2 luglio 1997, n. 18”, perchè la Corte d’appello non avrebbe fatto corretta applicazione dell’art. 14 Legge Regionale, in combinato disposto con l’art. 2, e perchè non avrebbe considerato che la mancata produzione in sede di gravame del fascicolo di parte del primo grado (nel quale vi sarebbe stato prodotto il certificato storico di residenza) era dovuta al decesso dell’allora difensore dello S.; il ricorrente censura altresì l’operato del giudice d’appello perchè non ha esaminato altri documenti che sarebbero stati prodotti dal nuovo difensore dell’appellante “nel corso del giudizio di gravame” (indicati alla pag. 9 del ricorso);

quanto al vizio di violazione dell’art. 14 (intitolato “Subentro nella domanda e nell’assegnazione”) della Legge della Regione Campania n. 18 del 1997 (“Nuova disciplina per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”), il motivo non indica se l’esegesi della norma che viene qui proposta fosse stata già prospettata al giudice di appello e con quale motivo di gravame. A prescindere da questo profilo di inammissibilità che rende la censura poco chiara, detta esegesi è peraltro priva di giuridico fondamento. Il rinvio che la norma regionale fa all’art. 2 (prevedendo, al comma 1, che “In caso di decesso dell’aspirante assegnatario o dell’ assegnatario, subentrano rispettivamente nella domanda o nella assegnazione i componenti il nucleo familiare come definito e secondo l’ordine indicato nell’art. 2 della presente legge”) non sta certo a significare che il nucleo familiare rilevante ai fini della verifica dei requisiti per il subentro nell’assegnazione degli alloggi sia quello esistente al momento della prima assegnazione, ma piuttosto che la verifica debba essere fatta al momento del decesso dell’originario assegnatario, individuando i componenti del nucleo familiare di quest’ultimo secondo gli stessi criteri e lo stesso ordine che l’art. 2 detta per la prima assegnazione; con la conseguenza che non è affatto rilevante che il figlio dell’assegnatario originario fosse con questi convivente al momento dell’assegnazione (o nel biennio precedente il bando), ma è necessario che lo fosse al momento del decesso, quando si è venuta a determinare la situazione legittimante il subentro, ai sensi appunto dell’art. 14;

poichè il giudice d’appello si è attenuto a questa interpretazione, la censura di violazione di legge non può che essere rigettata;

le altre censure sono inammissibili per le seguenti ragioni: il motivo non individua quali sarebbero le norme del procedimento che il giudice avrebbe violato nel valutare le produzioni documentali;

in ogni caso, non è censurabile la decisione del giudice d’appello perchè adottata in mancanza del certificato storico di residenza (ovvero, come detto in altra parte del ricorso, dell’originario certificato dello stato di famiglia), che si assume che l’appellante avrebbe prodotto in primo grado, atteso che “Il mancato rinvenimento nel fascicolo di parte, al momento della pronuncia della causa, dei documenti su cui la parte assume di aver basato la propria pretesa in giudizio, non preclude al giudice di secondo grado di decidere sul gravame, ove non risulti lo smarrimento del fascicolo e la formale richiesta di ricostruzione del medesimo” (così, da ultimo, Cass. n. 13218/16). Nel caso di specie, non risulta affatto che vi sia stata una formale richiesta di ricostruzione del fascicolo. D’altronde, lo stesso ricorrente riconosce che il certificato di residenza non era stato prodotto in appello: di certo, il giudice non avrebbe potuto utilizzarne le risultanze solo perchè menzionato nell’atto di citazione di primo grado (come sembra pretendere il ricorrente); nè può rilevare che l’originario fascicolo di parte non fosse stato restituito all’appellante per il decesso del primo difensore (attenendo la questione al rapporto di mandato, non al processo cui questo è riferito);

è altresì inammissibile la censura rivolta al giudice di merito di non aver esaminato i documenti che il ricorrente assume di aver prodotto “nel corso del giudizio di gravame” (pag. 9): non è indicato il tempo della produzione (peraltro di dubbia ammissibilità in appello, atteso il disposto dell’art. 345 c.p.c.) nè è indicato il luogo di reperimento di questi documenti;

inammissibile è inoltre qualsivoglia produzione documentale effettuata in sede di legittimità, poichè attinente al merito, non alle circostanze per le quali l’art. 372 c.p.c. ammette il deposito di documenti unitamente al ricorso o con le modalità descritte nel secondo comma della norma;

– ogni altra deduzione in punto di accertamento di fatto del rapporto di convivenza dello S. col proprio genitore alla data del 1 dicembre 1997 è inammissibile, perchè il testo attuale dell’art. 360 c.p.c., n. 5 consente di censurare la motivazione solo se il giudice abbia omesso di esaminare un fatto storico controverso e decisivo, e di tale fatto nulla è detto nel ricorso (se non quanto esposto sopra), non senza considerare che questa Corte ha già avuto modo di precisare “che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. S.U. n. 8053/14);

– giova aggiungere che tutta l’illustrazione del motivo si disinteressa della valorizzazione, da parte del giudice d’appello, delle produzioni documentali dell’IACP, sulle quali, a lungo e fondatamente, si sofferma invece l’istituto controricorrente, a dimostrazione della correttezza del decisum d’appello;

in conclusione, il ricorso va rigettato;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile – 3 della Corte suprema di cassazione, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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