Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22648 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. II, 19/10/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 19/10/2020), n.22648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17123/2016 proposto da:

EDILPI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.GO DEL TEATRO VALLE 6, presso

lo studio dell’avvocato LUCIANO FILIPPO BRACCI, rappresentata e

difesa dall’avvocato BRUNO AIUDI;

– ricorrente –

contro

V.G., G.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE CARSO 77, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO ALBERINI, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO MERCANTI;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1313/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 31/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il giudizio trae origine dalla domanda proposta, innanzi al Tribunale di Pesaro, da G.S. e V.G. nei confronti della P. s.r.l., con la quale chiesero la risoluzione del contratto di appalto concluso inter partes per grave inadempimento della convenuta;

– all’esito dei giudizi di merito, la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 31.12.2015 confermò la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda, ma qualificò il contratto non come appalto ma come vendita di cosa futura; accertò che il promittente venditore non aveva consentito agli attori di visionare l’immobile e di verificarne lo stato, in violazione degli obblighi di buona fede contrattuale;

– per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’EDILPI s.r.l. sulla base di sette motivi;

– hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale G.S. e V.G. sulla base di un unico motivo;

– in prossimità dell’udienza, i controricorrenti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RITENUTO

che:

– con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la corte di merito ammesso la prova testimoniale volta a dimostrare che i promittenti acquirenti si erano recati sul cantiere ed avevano dato direttive sullo svolgimento dei lavori;

con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la prova testimoniale sarebbe stata rigettata senza sentire le parti, in violazione del principio del contraddittorio;

– con il terzo motivo di ricorso, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si lamenta l’erronea valutazione delle prove testimoniali;

– con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la corte di merito avrebbe dato una diversa qualificazione giuridica del contratto, adottando la cosiddetta terza via, senza sottoporre alle parti la relativa questione;

– con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte distrettuale valutato la gravità dell’inadempimento sotto il profilo della violazione della buona fede da parte dei promittenti acquirenti, che avrebbero visionato l’immobile;

con il sesto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1472 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito valutato l’inadempimento contrattuale con riferimento alla normativa in materia d’appalto mentre avrebbe dovuto applicare la normativa in materia di vendita;

con il settimo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 6 Cost., dell’art. 132 c.p.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma, 1 n. 4, per assenza di chiarezza e logicità della motivazione;

i motivi, che, per la loro connessione, meritano una trattazione congiunta sono inammissibili;

secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato al giudice del merito e questa Corte deve solo effettuare il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cassazione civile, sez. VI, 21/12/2017, n. 30684; Cassazione civile, sez. lav., 24/07/2008, n. 20373; Cassazione civile, sez. I, 07/07/2006, n. 15603);

rientra, infatti, nei poteri del giudice ricercare le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame e porre a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli richiamati dalle parti (Cassazione civile, sez. I, 20/06/2017, n. 15190; Cassazione civile, sez. II, 27/01/2016, n. 1545);

nella specie, la corte di merito, sulla base dell’esame del testo contrattuale e delle obbligazioni assunte dalle parti, ha ritenuto che la realizzazione di edifici avvenisse secondo parametri standard e rientrasse nell’ordinaria attività commerciale svolta dalla società, secondo i principi consolidati affermati da questa Corte ed espressi dalle Sezioni Unite del 12/05/2008, n. 11656;

– sulla base delle emergenze processuali, la corte di merito ha ritenuto che i venditori, non consentendo la verifica e l’accesso suoi luoghi per la verifica dell’esecuzione dei lavori e la conformità dell’immobile a quello oggetto del contratto, abbiano violato il principio di buona fede e che tale comportamento fosse rilevante ai fini dell’inadempimento;

– sulla base di tale indagine, il giudice d’appello ha ritenuto non decisiva e rilevante l’ammissione della prova testimoniale;

– la non decisività dei capitoli di prova, ritualmente riportati in ricorso, è condivisa dal collegio, in quanto non idonei a provare che l’acquirente fosse stato posto nelle condizioni di verificare lo stato dei luoghi ma che nel corso dei lavori gli acquirenti avevano dato generiche direttive;

– l’attribuzione di una diversa qualificazione giuridica del fatto non imponeva alcun obbligo di attivazione del contraddittorio, previsto dall’art. 101 c.p.c., applicabile limitatamente alle questioni rilevabili d’ufficio;

– va data, quindi, continuità all’orientamento giurisprudenziale, secondo cui, qualora il giudice decida su una questione di puro diritto, rilevata d’ufficio, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (cd. terza via), non è nulla, in quanto da tale omissione può solo derivare un vizio di “error in iudicando”, ovvero di “error in iudicando de iure procedendi”, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato; qualora, invece, ad essere officiosamente rilevate siano state questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione sostenendo che la violazione del dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini (Cassazione civile sez. I, 08/06/2018, n. 15037; Cass. Civ., n. 10384 del 2018);

per il resto, il ricorso si risolve in una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie e dell’apprezzamento di fatto da parte della Corte di merito, con motivazione chiara ed intellegibile, che consente di cogliere l’iter logico della decisione;

non sussiste, pertanto, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006; conf. Sez. 2 -, Sentenza n. 24434 del 30/11/2016);

la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass. Civ., Sez. II, 17/02/2014, n. 3708).

il ricorso principale va, pertanto, rigettato;

con il ricorso incidentale, basato su un unico motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 92 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 5, in quanto i compensi sarebbero stati erroneamente determinati sulla base del D.M. n. 140 del 2012, mentre l’attività si sarebbe conclusa nel vigore del D.M. n. 55 del 2014, oltre all’errata individuazione dello scaglione;

il ricorso è inammissibile perchè del tutto carente dell’esposizione sommaria dei fatti;

– Il legislatore colloca formalmente l’esposizione del fatto prima di quello dei motivi, poichè la lettura del ricorso precede l’esame dei motivi ed implica la comprensione dell’iter processuale e delle decisioni di merito. Il giudice, attraverso l’esposizione dei fatti deve essere in grado cogliere le censure della sentenza impugnata e le varie vicende del processo;

– questa Corte ha affermato che il controricorso, quando racchiuda anche un ricorso incidentale deve contenere, in ragione della sua autonomia rispetto al ricorso principale, l’esposizione sommaria dei fatti della causa ai sensi del combinato disposto dell’art. 371 c.p.c., comma 3 e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Deriva da quanto precede, pertanto, che il ricorso incidentale è inammissibile tutte le volte in cui si limiti a un mero rinvio all’esposizione del fatto contenuta nel ricorso principale, potendo il requisito imposto dal citato art. 366, reputarsi sussistente solo quando, nel contesto dell’atto di impugnazione, si rinvengano gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, senza necessità di ricorso ad altre fonti (Cassazione civile sez. II 27/08/2012, n. 14664; Cassazione civile sez. lav., 06/03/2019, n. 6550);

– nella specie, lo svolgimento del processo era indispensabile per l’individuazione del valore della causa;

– attesa la reciproca soccombenza, le spese vanno interamente compensate tra le parti.

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale ed incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ed incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ed incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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