Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22648 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. un., 08/11/2016, (ud. 13/09/2016, dep. 08/11/2016), n.22648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Pres.te f.f. –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente Sezione –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente Sezione –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Pres. Sezione –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente Sezione –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7058-2015 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ELISABETTA VINATTIERI, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

O.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

30, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIORGIO GORI, per delega in calce al

controricorso;

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrenti –

nonchè contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’INTERNO,

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, P.G., B.A.,

PE.GI., A.B., PU.AN.,

G.V., BI.EN., F.P., A.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1306/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2016 dal Presidente Dott. AMBROSIO ANNAMARIA;

uditi gli Avvocati Giammaria CAMICI per delega l’Avvocatura Generale

dello Stato;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

FRANCESCO MAURO, che ha l’inammissibilità del ricorso concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel giudizio promosso nell’anno 2001 da M.V. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministro, del Ministero degli Interni, del Ministero della Giustizia, di diversi funzionari e di diversi appartenenti all’Arma dei Carabinieri, quali individuati in epigrafe, per ottenere la restituzione di armi che assumeva essergli state arbitrariamente sequestrate, il risarcimento dei danni materiali in ragione di oltre L. 100.000.000, dei danni morali in ragione di oltre L. 100.000.000.000, nonchè che per il riconoscimento di scuse ufficiali e pubbliche, a lui indirizzate per iscritto, l’adito Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1608/2006, dichiarava improponibile la domanda restituzione e rigettava le altre domande.

La decisione, gravata da impugnazione in via principale dal M. e in via incidentale dalle Amministrazione statali e da altri originari convenuti, tutti difesi dall’Avvocatura dello Stato, era riformata dalla Corte di appello di Firenze, la quale con sentenza in data 23.07.2014, n. 1306, in accoglimento dell’appello incidentale, dichiarava il difetto di giurisdizione in favore del T.A.R. della Toscana, con compensazione delle spese del doppio grado.

La Corte territoriale – premesso che l’attore aveva lamentato che i CC avessero eseguito, in carenza di potere, una perquisizione e un sequestro, poi mantenuto illegittimamente, ai propri danni – ha evidenziato che l’operazione era stata concertata tra la Questura, autorità di P.S. (tant’è che l’attore aveva convenuto in giudizio anche il questore e il prefetto dell’epoca e i loro successori) e il Comando provinciale dell’Arma dei CC ed era finalizzata all’esercizio dei poteri di cui agli artt. 38, 39 e 40 del T.U.L.P.S.. L’atto non poteva, dunque, ritenersi compiuto in assenza di potere, perchè le autorità coinvolte avevano inteso applicare l’art. 38, u.c., (rectius comma 3) T.U.L.P.S., mentre i vizi che avrebbero potuto riscontrarsi negli atti compiuti non comportavano la giurisdizione del G.O., integrando profili di illegittimità di atti amministrativi.

Da tale premessa e dalla considerazione che si verteva in materia di interessi legittimi, dovendo altresì escludersi che vi fosse stata una illegittima perquisizione, per essere state le armi consegnate a fronte della mera richiesta di controllo, la Corte territoriale ha desunto che, L. n. 205 del 2000, ex art. 7, comma 3, lett. c), (in vigore al momento della domanda), tutte le questioni relative al risarcimento del danno (anche se non collegate ad ipotesi di giurisdizione esclusiva, come nel testo risultante dalla modifica del 1998) rientravano nella giurisdizione amministrativa.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.V., svolgendo unico motivo e chiedendo dichiararsi la giurisdizione del G.O..

Hanno resistito, con distinti controricorsi, O.D. e L.L. che hanno eccepito sotto vari profili l’inammissibilità del ricorso: in particolare il primo ha eccepito il difetto di procura speciale, l’inosservanza dei criteri di redazione del ricorso per cassazione che raccomandano il limite delle 20 pagine, nonchè il difetto di specificità, dal canto suo l’altro resistente ha rilevato la nullità della notificazione del ricorso nei suoi confronti e correlativamente reclamato il superamento della decadenza ex art. 370 c.p.c.; ha altresì dedotto l’inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, e, comunque, la sua infondatezza.

Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte degli altri intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va premesso che la pregiudiziale eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di procura speciale, formulata in considerazione dell’incongruità di ripetuti riferimenti nella procura in calce al ricorso ad attività (quali quelle relative al procedimento di mediazione… alla difesa in ogni grado e stato del presente procedimento e ancora per ogni consequenziale azione sia cautelare…) sicuramente estranee al giudizio di cassazione, deve essere superata, tenuto conto del dato oggettivo che la procura in questione trovasi “spillata” subito dopo la pag. 70 che chiude il ricorso e immediatamente prima delle retate di notifica, di tal chè non può che riferirsi al ricorso stesso.

Ciò posto, il ricorso non si sottrae, comunque, al rilievo di inammissibilità sotto altro profilo.

2. Valga considerare che il motivo d’impugnazione, in base allo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal Legislatore, è rappresentato dall’enunciazione della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea. E poichè per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (cfr. ex multis Cass. 11 gennaio 2005, n. 359).

3. Nel caso di specie l’unico motivo di ricorso è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, risultando la sentenza genericamente denunciata “per motivi attinenti alla giurisdizione” (v. pag. 40 del ricorso). In particolare il ricorrente ritiene che il Giudice di appello abbia errato nel ritenere la giurisdizione dell’A.G.A. e che tale errato convincimento tragga “origine da una violazione falsa applicazione degli artt. 38, 39 e 40 TULPS, nonchè una completa omissione circa il fatto decisivo della presente controversia e oggetto di discussione tra le parti, cioè la violazione delle Leggi e dei Diritti umani e civili posti in essere da controparte” (così a pag. 40).

Quanto, poi, alla concreta enunciazione delle ragioni di un errore di tal fatta, occorre rilevare che alla premessa iniziale, sopra testualmente riportata, in cui viene prefigurata una commistione di vizi eterogenei, senza che neppure venga enunciata la regola di riparto violata, corrisponde, nelle pagine che seguono, un’esposizione, che, per un verso, è affidata a dati fattuali del tutto incontrollabili come tali in questa sede e che, per altro verso, si risolve nell’assertivo rilievo che nel caso in esame “non siamo in presenza di un atto amministrativo, ma di un provvedimento abnorme (rectius di un’azione illegale) che per come è stato pensato e attuato ha violato non una posizione di un interesse legittimo, ma un diritto soggettivo” (pag. 49) o ancora nell’affermazione, neppure perfettamente congruente con la precedente, che, trattasi di “un illecito esercizio della funzione amministrativa che oltre a ledere una situazione soggettiva di interesse legittimo… nondimeno è atta a pregiudicare una situazione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo”; il tutto, sulla scorta di una farraginosa esposizione di fatti, non sempre pertinenti alla vicenda processuale, cui sono dedicate le prime quaranta pagine del ricorso, dalle quali, ad onta della prolissità della trattazione (peraltro in contrasto con la prescrizione di “sommarietà” cui all’art. 366 c.p.c., n. 3), non è dato trarre neppure precisa contezza delle ragioni di fatto e di diritto avanzate con riguardo alle molteplici persone fisiche (sindaci, questori o ex questori, esponenti dell’Arma dei carabinieri ecc.) e amministrazioni statali evocate in giudizio e/o della qualità in cui tale vocatio in ius avvenne.

Ne consegue che resta inevaso l’onere di cui al cit. art. 366 c.p.c., n. 4, di svolgere una puntuale critica agli argomenti svolti nella sentenza di appello, risultando non attinto il nucleo fondante della decisione impugnata, secondo cui – posto che il ritiro delle armi di cui si discute è espressione di un potere amministrativo discrezionale, a fronte del quale il privato trovasi in una posizione di interesse legittimo – la controversia è riservata al Giudice amministrativo, al quale spetta di disporre la forma di tutela (anche restitutoria e/o risarcitoria) che l’ordinamento appresta per le situazioni soggettive (eventualmente) sacrificate dall’esercizio illegittimo di siffatto potere, attenendo al “merito” della sua giurisdizione la questione della legittimità o illegittimità del “come” il potere stesso è stato esercitato.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

4. E’ appena il caso di aggiungere che la rilevata inammissibilità del ricorso rende superfluo il rilievo della nullità di diverse notifiche, in primis quelle delle amministrazioni statali, indirizzate all’Avvocatura distrettuale di Firenze, anzichè all’Avvocatura generale; ciò in quanto, secondo principio ormai consolidato, nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento, senza l’espletamento di attività superflue quali la rinnovazione della notificazione o anche la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti della parte totalmente vittoriosa (cfr. Sez. Unite, 22 marzo 2010, n. 6826; Sez. Unite, 03 novembre 2008, n. 26373).

5. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, in favore dei due controricorrenti, seguono la soccombenza.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore di ciascuno dei controricorrenti in Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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