Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22647 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. un., 08/11/2016, (ud. 13/09/2016, dep. 08/11/2016), n.22647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Pres.te f.f. –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente Sezione –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente Sezione –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Presidente Sezione –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente Sezione –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2476-2015 proposto da:

F.A., titolare di impresa individuale, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio

dell’avvocato CESARE PERSICHELLI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARIALUANA ERCOLANI, SERGIO LAZZARINI, per

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 108/2014 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 31/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2016 dal Presidente Dott. AMBROSIO ANNAMARIA;

uditi gli avvocati Cesare PERSICHELLI e Sergio LAZZARINI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

FRANCESCO MAURO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’anno 2011 F.A., premesso di essere proprietario nel comune di Salò di una struttura recettiva edificata su area a confine a mattina con ripa lacuale di Garda, chiedeva al TRAP di Milano di delimitare i luoghi, nei confronti dell’Agenzia del Demanio, individuando l’isoipsa di mt. 65,05 quale limite dell’alveo, determinativa dell’ambito della zona demaniale rispetto alla proprietà antistantante e, quindi, di accertare che il muro spondale, siccome arretrato a mt. 1 e a mt. 2,10 rispetto alla predetta isoipsa e impostato a quote 65,23 e 65,43, insisteva su proprietà privata, sebbene il mappale (OMISSIS) del fl. (OMISSIS) risultasse intestato al Demanio.

Nella contumacia dell’Agenzia del Demanio il TRAP di Milano, con sentenza del 13.07.2012, rigettava la domanda, ritenendo che la tesi del ricorrente, secondo cui il demanio lacuale comprenderebbe solo l’alveo del bacino sommergibile delle piene ordinarie non potesse essere accolta, in quanto al demanio appartiene anche la spiaggia; rilevava che l’atto di acquisto del (OMISSIS) non poteva inglobare l’area destinata a spiaggia, tanto che ancora nel (OMISSIS), il mappale (OMISSIS) risultava intestato allo Stato; in ogni caso l’abbassamento dell’isoipsa avrebbe comportato solo l’abbassamento della quota di livello della superficie dell’invaso, ma non la perdita della demanialità della spiaggia retrostante in adiacenza alla proprietà del ricorrente; e, del resto, non a caso, il ricorrente nel 1976 aveva inoltrato istanza per concessione di mantenimento di una terrazza a lago a servizio dell’albergo.

La decisione, gravata da impugnazione del F., che contestava l’esistenza di una spiaggia, è stata confermata dal TSAP con sentenza n. 108 in data 31.05.2014, che ha rigettato l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle spese in favore della resistente Agenzia del Demanio.

Il TSAP – nell’affermare l’infondatezza delle censure del F. che si compendiavano nell’inesistenza della spiaggia apoditticamente ritenuta dal TRAP, nel rilievo che la decisione violava il principio secondo cui le aree, fuori dell’alveo, se non destinate ad assolvere fini pubblici, sono private e nell’ulteriore considerazione in fatto che la zona in questione era inidonea all’imbarco, sbarco e pesca – ha evidenziato che la ratio decidendi non era rappresentata dall’idoneità attuale all’uso come spiaggia della zona in cui il ricorrente ha costruito i manufatti di pertinenza dell’hotel Splendid, bensì dalla sua originaria appartenenza a detto alveo, essendo al di sotto della quota di mt. 65,59 e, perciò, esclusa dalla possibilità di acquisto privato, occorrendo ai fini della sdemanializzazione un comportamento positivo della P.A.. Per incidens il TSAP ha evidenziato che l’epoca della costruzione dei manufatti sul mappale (OMISSIS) neppure era stata indicata, sì che non poteva nemmeno escludersi che alla fattispecie fosse applicabile l’art. 947 c.c., nella formulazione introdotta con L. n. 36 del 1994 che esclude la sdemanializzazione di fatto del demanio idrico.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione F.A., svolgendo un unico articolato motivo, illustrato anche da memoria.

L’Agenzia del Demanio ha depositato atto di costituzione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 943 c.c. e dei principi generali in materia di delimitazione del demanio idrico, nonchè vizio motivazionale ex art. 111 Cost.: motivazione apparente, contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile.

1.1. A parere del ricorrente il TSAP – pur confermando l’estraneità del mappale (OMISSIS) all’alveo lacuale, perchè per conformazione naturale posta a quota superiore a mt. 65,05 s.l.m. ed escludendo anche la presenza di una spiaggia “apoditticamente ritenuta dal TRAP e che neppure il Demanio afferma” – ha indicato “una (infondatamente supposta) ratio alternativa” dell’area in contestazione, ritenendola demaniale perchè posta al di sotto dell’originaria quota limite del lago, individuata in mt. 65,59. In tal modo secondo il ricorrente – il TSAP sarebbe incorso, innanzitutto, in un errore di diritto, consistente nell’errata applicazione dell’art. 943 c.c., posto che l’individuazione dell’originaria quota limite di mt. 65,59, anzichè di quella reale di mt. 65,05, era frutto di un errore metodologico, avendo la giurisprudenza a più volte riconosciuto l’illegittimità del D.M. 20 agosto 1948, n. 1170, con il quale il Ministro dei Lavori pubblici aveva fissato la quota superiore; inoltre la motivazione sarebbe solo apparente “in quanto dominata da uno scenario idraulico non rispondente alla realtà”; in particolare il TSAP sarebbe incorso “in un’inedita configurazione diacronica del lago di (OMISSIS) che sarebbe caratterizzato da un’oscillazione dì limiti”, postulando una quota attuale e una originaria (come sarebbe evidenziato dall’affermazione a pag. 4: “sul presupposto che i manufatti di sostegno ad esso (alveo) prossimi – benchè superiori – mt. 65,23 e 65,43 – alla quota attuale – mt. 65,05 – sono tuttavia inferiori all’originario limite dello stesso – mt. 65,59”), senza considerare che la quota di mt. 65,59 era frutto di un errore metodologico e che “l’unica quota limite dell’alveo del Garda” era quella indicata dalla richiamata giurisprudenza.

2. Il ricorso è infondato.

Le critiche si appuntano sull’affermazione (a pag. 5 della sentenza impugnata laddove si richiama “la risposta” del Demanio nell’anno 2002) dell'”originaria appartenenza… all’alveo del lago di (OMISSIS)” del terreno su cui il F. ha costruito alcuni manufatti e muovono dal presupposto che il TSAP abbia inteso sostituire la motivazione del TRAP, siccome ritenuta scorretta, formulando un’alternativa ratio decidendi, in ragione della quale una volta esclusa l’esistenza della spiaggia formulata dal primo giudice – lo scenario di una presunta riduzione dell’alveo lacuale risulterebbe insostenibile in fatto ed errato in diritto, avuto riguardo ai precedenti arresti giurisprudenziali in ordine alla disapplicabilità del D.M. n. 1170 del 1948, che ha indicato il limite massimo dell’alveo del Garda (cfr. in particolare, pag. 5 del ricorso e pag. 4 e 5 della memoria).

Senonchè – contrariamente a quanto postulato da parte ricorrente – la decisione impugnata si muove sulla stessa “lunghezza d’onda” della motivazione del primo giudice e, nel rilevare l’inconferenza delle deduzioni dell’appellante in ordine all’idoneità attuale all’uso come spiaggia del terreno in contestazione, ha inteso recepirne appieno le considerazioni vuoi in ordine all’appartenenza al demanio lacuale (anche) della spiaggia, vuoi in ordine alla non ipotizzabilità di una sdemanializzazione di fatto (a prescindere dalla possibile applicabilità dell’art. 947 c.c., nella versione introdotta dalla L. n. 36 del 1994), quali che siano le attuali potenzialità d’uso del medesimo terreno.

Sotto questo profilo le censure del ricorrente, tutte incentrate sulla questione dell’errore tecnico” di misurazione dell’alveo del lago di Garda, per un verso, svolgono argomentazioni in fatto, non rilevanti in questa sede, per altro verso, si rivelano eccentriche rispetto alla decisione impugnata che dalla suddetta questione totalmente prescinde, rivelandosi manifestamente infondate sotto entrambi i profili di violazione di legge, quali dedotti in ricorso in relazione all’art. 943 c.c. e all’art. 111 Cost..

2.1. Sotto il primo profilo si osserva che la decisione impugnata risulta conforme a principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il demanio lacuale, analogamente al demanio marittimo, comprende non solo l’alveo, cioè l’estensione che viene coperta dal bacino idrico con le piene ordinarie, ma anche la spiaggia, cioè il tratto di terra contiguo all’alveo e necessario per i pubblici usi del lago, quali il trasporto di persone e cose da una sponda all’altra, il diporto, l’esercizio della pesca (Sez. Unite 18 maggio 2015, n. 10089; e ancora, tra le tante, Sez. Unite n. 19703 del 2012; Sez. Unite n. 6591 del 1981) e all’ulteriore rilievo che nel regime anteriore a quello introdotto alla L. 5 gennaio 1994, n. 37, art. 4 (che, nel sostituire il testo dell’art. 947 cod. civ., ha espressamente escluso, per il futuro, tale eventualità), la sdemanializzazione tacita dei beni del demanio idrico non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, ma è ravvisabile solo in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino, non potendo desumersi una volontà di rinunzia univoca e concludente da una situazione negativa di mera inerzia o tolleranza (Sez. Unite, 29 maggio 2014, n. 12062).

2.2. Sotto il secondo profilo si osserva che – avuto riguardo al nucleo centrale della decisione impugnata, come sopra individuato – appare evidente che non vi è stata alcuna elusione della risposta alla domanda giudiziale. Invero le critiche del ricorrente – pur astrattamente parametrate sui criteri fissati da questa Corte (Sez. Unite n. 19881 del 2014) per individuare il “minimo costituzionale” di motivazione – risultano, nella sostanza, concentrate su un punto della decisione (l’incipit della parte motiva, a pag. 4 e 5) nelle quali il TSAP, lungi dal recepire la tesi del ricorrente circa l’inesistenza della spiaggia, si è limitato ad una sintesi dei motivi di appello, di tal chè la presunta “configurazione diacronica” del lago di (OMISSIS) risulta estranea all’impianto motivazionale della decisione. Allo stesso modo il tentativo di individuare, nell’iter argomentativo, affermazioni assolutamente inconciliabili (v. in particolare pag. 18 in ricorso) appare affidato al richiamo a quanto riportato (a pag. 4 della sentenza) in ordine alla decisione di primo grado, impropriamente riferendo al decisum parti della sentenza che risultano, anche graficamente appartenenti allo svolgimento del processo e non sono, perciò, contrapponibili all’impianto motivazionale.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Nulla va disposto per le spese, in quanto l’Agenzia del Demanio si è limitata a depositare “un atto di costituzione” ai fini della discussione orale, omettendo, poi, di parteciparvi.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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