Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22646 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. un., 08/11/2016, (ud. 13/09/2016, dep. 08/11/2016), n.22646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Pres.te f.f. –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente Sezione –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente Sezione –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Presidente Sezione –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente Sezione –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29634-2014 proposto da:

CENTRO DIAGNOSTICO DOTT. G.V. S.R.L., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA LATTANZIO 66, presso lo studio degli avvocati RUBENS

ESPOSITO e MARIO ESPOSITO, che la rappresentano e difendono, per

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE (A.S.P.) DI REGGIO CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 192/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 16/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2016 dal Presidente Dott. AMBROSIO ANNAMARIA;

udito l’Avvocato Rubens ESPOSITO;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

FRANCESCO MAURO, che ha concluso per la cassazione con rinvio al

giudice ordinario.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., innanzi al Tribunale di Reggio Calabria il Centro Diagnostico Dott. G.V. (di seguito, brevemente, “Centro Diagnostico” o anche “Laboratorio”) esponeva: che in data 17.06.2009, in quanto soggetto accreditato ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 199, art. 8 quater, operante nel territorio di (OMISSIS) aveva sottoscritto con la ex ASL di Locri (poi confluita nella ASP di Reggio Calabria) il contratto ai sensi del cit. D.Lgs., art. 8 quinquies, per la regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici nascenti nell’anno di riferimento; che il contratto, da un lato, obbligava sub art. 3 il Laboratorio ad eseguire prestazioni di specialistica ambulatoriale (analisi chimico – cliniche) in favore dei cittadini richiedenti per un volume massimo di n. 60.089, dall’altro, faceva obbligo alla ASL di remunerare le prestazioni entro il volume massimo concordato “in base alle tariffe tempo per tempo vigenti approvate dalla Regione”; che per le prestazioni erogate (o meglio, per quelle di esse contenute entro i limiti contrattuali, che avevano superato il controllo formale della ASL) il Laboratorio aveva emesso fatture con l’uso del tariffario previgente al D.M. 22 luglio 1996 (cd. decreto Bindi), atteso che quest’ultimo decreto era stato annullato dal C.d.S. (sentenza n. 1839/2001) così come era stato annullato dal G.A. il successivo D.M. 12 settembre 2006, dovendosi conseguentemente ritenere inefficaci sia la Deliberazione G.R. 169/2007 che imponeva l’uso delle tariffe del D.M. 12 settembre 2006, sia la Deliberazione G.R. 62/2009 che alla prima faceva riferimento; che, non avendo la Regione Calabria un suo tariffario approvato per l’anno 2009, l’unico tariffario nazionale in vigore nell’anno 2009 risultava essere quello previgente all’annullato D.M. 22 luglio 1996 e che, ciononostante, la ASL di Locri aveva restituito le fatture, provvedendo al pagamento sulla base del D.M. oramai annullato, secondo tariffe non più i vigore in tutto il territorio nazionale.

Tanto premesso e ritenuto che siffatto comportamento costituisse inadempimento dell’art. 3 del contratto, prevedente la remunerazione delle prestazioni secondo tariffe vigenti nel periodo coperto dal contratto, il Centro Diagnostico chiedeva la condanna della ASP di Reggio Calabria, quale soggetto succeduto alla disciolta ASL di Locri, alla corresponsione della differenza tra quanto dovuto in esecuzione del contratto e quanto, invece, effettivamente pagato; chiedeva, nel contempo, di dichiarare l’inadempimento contrattuale della ASL per avere, sempre nella fase esecutiva del rapporto e senza che la fonte negoziale venisse modificata, unilateralmente abbassato il tetto di spesa convenuto, decurtandolo del 20% del suo importo per l’errata applicazione della L. n. 296 del 2006.

Con ordinanza in data 29.03.2013, il Tribunale, pronunciando sul ricorso e ritenendo che con esso venisse formulata una richiesta di riderminazione della tariffa, quale prevista dalla delibera G.R. n. 62/2009 richiamata nel contratto, declinava la propria giurisdizione in favore del G.A..

La decisione, gravata da impugnazione del Centro Diagnostico, era confermata dalla Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza n. 192 del 15.05.2014.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Centro Diagnostico, svolgendo unico motivo.

Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte territoriale – richiamati in diritto i principi affermati da queste Sezioni unite con sentenza n. 10149 del 2012 e altre conformi – ha ritenuto che, correttamente il Tribunale avesse declinato la giurisdizione in favore del G.A., in quanto la controversia, lungi dal concernere una mera obbligazione di pagamento, riguardava pure la determinazione del corrispettivo e, dunque, gli atti posti in essere dalla ASL concedente nel corso dello svolgimento del rapporto, coinvolgendo aspetti autoritativi di applicazione e interpretazione della convenzione, con conseguenze dirette sulla determinazione delle tariffe e sul contenuto del rapporto medesimo.

1.1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione dei criteri di riparto della giurisdizione, degli artt. 24, 25 e 102 Cost. e dell’art. 1 c.p.c., con falsa applicazione dell’art. 103 Cost., comma 1 e della L. n. 1034 del 1971, art. 5 e D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, lett. c, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e degli artt. 1362 e segg. c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1 e 3). Al riguardo parte ricorrente – premesso che nei rapporti, qualificabili come concessione di pubblico servizio, i corrispettivi dovuti nell’attuale sistema sanitario al soggetto accreditato presentano aspetti contenutistici predeterminati da un soggetto, sovraordinato ad entrambi i contraenti che non possono ridiscuterli, qual è l’ente Regione, che li determina entro i valori massimi stabiliti con Decreto del Ministro della Salute e con l’osservanza dei criteri ivi previsti- deduce che il riferimento contenuto nell’atto introduttivo del giudizio alle deliberazioni di G.R. (n. 169/2007 e n. 62/2009) che avevano deciso di applicare per gli anni 2007/2009 i valori tariffari di cui al D.M. 12 settembre 2006, a sua volta applicativo del già annullato D.M. 22 luglio 1996, non era funzionale a ridiscutere le scelte discrezionali della P.A. per la semplice ragione che la relativa valutazione era già stata effettuata dal G.A. con l’annullamento dei tariffari indicati, trattandosi, piuttosto, di verificare, se e per quali aspetti, l’adozione da parte della ASL delle tariffe portate dal decreto ministeriale annullato non comportasse inadempimento o inesatto adempimento del contratto inter partes.

In particolare il Centro diagnostico ricorrente assume: che la clausola sub art. 4 del contratto, prevedente l’obbligo della ASL di remunerare le prestazioni secondo la tariffa “tempo per tempo vigente” contiene un rinvio “mobile”, nel senso che il richiamo alla regolamentazione esterna riporta nel contenuto del contratto solo quello che resta tale (ergo, che è ancora vigente) al momento dell’esecuzione; che, in ogni caso, stabilire se si è in presenza di un rinvio fisso o mobile attiene esclusivamente all’interpretazione del negozio, costituendo, dunque, attività riservata al giudice del contratto; che, nella specie, si era per l’appunto invocato il carattere “mobile” del rinvio, chiedendo al giudice ordinario di accertare se fosse stata fatta corretta applicazione delle tariffe, individuabili in quelle antecedenti al D.M. 22 luglio 1996, per effetto del già intervenuto giudicato amministrativo; che, pertanto, non si era richiesta nessuna verifica dell’azione autoritativa della ASL contraente suscettibile di incidere “sull’intera economia del rapporto concessorio”, come ritenuto dai Giudici a quibus, per il semplicissimo motivo che tale potere è sottratto alla stessa ASL e demandato da legge o da contratto “ad altra autorità che lo esercita attraverso un provvedimento destinato ad integrare il contenuto del contratto, se e in quanto vigente durante il periodo in cui il contratto ha esecuzione”;che siffatti principi valgono anche con riferimento all’altra delle doglianze esposte nel giudizio di primo grado (riduzione unilaterale del tetto di spesa contrattuale, effettuata dall’ASL in fase esecutiva con illegittima duplicazione dello sconto di cui alla L. n. 296 del 2006) dal momento che l’errata applicazione della norma finanziaria rileva, non in quanto tale, ma siccome producente inadempimento dell’obbligo di remunerare le prestazioni erogate sino alla concorrenza del volume e del budget concordati.

2. Il ricorso è fondato, non avendo la decisione impugnata correttamente qualificato la domanda proposta dall’odierno ricorrente, con conseguente errata applicazione della regola di riparto della giurisdizione.

2.1. In via di principio si osserva che, in forza degli artt. 5 e 386 c.p.c., la giurisdizione si determina in base alla domanda e che, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva, come acquisito nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, non tanto la prospettazione compiuta dalle parti, quanto il petitum sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (ex plurimis: Sez. Unite 28 maggio 2013, n. 13178; Sez. Unite ord. 11 ottobre 2011 n. 20902; Sez. Unite 25 giugno 2010 n. 15323).

Resta fermo che la decisione sulla giurisdizione, sebbene implichi l’apprezzamento di elementi che attengono anche al merito, non comporta che la statuizione sulla giurisdizione possa confondersi con la decisione sul merito nè, in particolare, che la decisione possa essere determinata secundum eventum litis (Cass. Sez. Unite, 05 dicembre 2011, n. 25927).

2.2. Costituisce principio altrettanto consolidato che le controversie, concernenti “indennità, canoni o altri corrispettivi” nei rapporti, qualificabili come concessione di pubblico servizio, tra le ASL e le case di cura o le strutture minori, quali laboratori o gabinetti specialistici, riservate alla giurisdizione del giudice ordinario sono sostanzialmente quelle contrassegnate da un contenuto meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra P.A. concedente e concessionario del servizio pubblico: contenuto in ordine al quale la contrapposizione tra le parti si presta ad essere schematizzata secondo il binomio “obbligo – pretesa”, senza che assuma rilievo un potere d’intervento riservato alla P.A. per la tutela d’interessi generali; mentre, se la controversia esula da tali limiti e coinvolge la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’intera economia del rapporto concessorio, il conflitto tra P.A. e concessionario si configura secondo il binomio “potere – interesse” e viene attratto nella sfera della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (Sez. Unite n. 22661/2006; n. 7861/2001). Invero appartiene alla giurisdizione del G.O. la controversia che abbia ad oggetto soltanto l’effettiva debenza dei corrispettivi in favore del concessionario, senza coinvolgere la verifica dell’azione autoritativa della P.A., posto che, nell’attuale sistema sanitario, il pagamento delle prestazioni rese dai soggetti privati accreditati viene effettuata nell’ambito di appositi accordi contrattuali, ben potendo il giudice ordinario direttamente accertare e sindacare le singole voci costitutive del credito fatto valere dal privato (cfr., ex plurimis, Sez. Unite, ord. 29 ottobre 2015, n. 22094; e ancora: ord. n. 2294 del 2014, sent. n. 10149 del 2012, ord. nn. 1772 e 1773 del 2011).

2.3. In particolare – pronunciando in materia sostanzialmente analoghe a quella in oggetto – queste Sezioni Unite hanno affermato il principio che, in ordine all’attività negoziale della Pubblica Amministrazione, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto tutti gli atti della serie negoziale successiva alla stipulazione del contratto, ovvero non solo quelle che attengono al suo adempimento e, dunque, concernenti l’interpretazione dei diritti e degli obblighi delle parti, ma anche quelle finalizzate ad accertare le condizioni di validità, efficacia, nullità od annullabilità del contratto, siano esse inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto. Altresì, devono includersi quelle derivanti da irregolarità od illegittimità della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli atti, accertabili incidentalmente dal giudice ordinario, cui le parti possono rivolgersi senza necessità del previo annullamento da parte del giudice amministrativo (Sez. Unite 14 gennaio 2014, n. 581; ord. 3 maggio 2013 n. 10298; ord. 5 aprile 2012 n. 5446).

In tale prospettiva le Sezioni Unite hanno stabilito che sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie, concernenti “indennità, canoni o altri corrispettivi”, nelle quali sia contestata l’applicazione della cosiddetta “regressione tariffaria” nei rapporti, qualificabili come concessione di pubblico servizio, tra le AUSL e le case di cura o le strutture minori, quali laboratori o gabinetti specialistici, laddove la controversia abbia ad oggetto soltanto l’effettiva debenza dei corrispettivi in favore del concessionario, senza coinvolgere la verifica dell’azione autoritativa della P.A., posto che, nell’attuale sistema sanitario, il pagamento delle prestazioni rese dai soggetti privati accreditati viene effettuata nell’ambito di appositi accordi contrattuali, ben potendo il giudice ordinario direttamente accertare e sindacare le singole voci costitutive del credito fatto valere dal privato (cfr. sentenze nn. 10149 e 10150 del 20 giugno 2012).

3. Questi i principi rilevanti in materia, ribaditi anche di recente dalle Sezioni unite in una controversia tra le stesse parti, dai contenuti, almeno in parte, similari a quella oggetto del presente giudizio (sentenza 22 luglio 2016, n. 15202), si osserva che con il ricorso introduttivo del giudizio il Centro diagnostico – prospettando il carattere “mobile” del rinvio contenuto nell’art. 4 del contratto “alle tariffe vigenti tempo per tempo stabilite dalla Regione” (con la precisazione dell’inesistenza di tariffe stabilite direttamente dalla Regione Calabria) e lamentando, nel contempo, l’erronea applicazione della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 796, lett. o), (“…fatto salvo quanto previsto in materia di aggiornamento dei tariffari delle prestazioni sanitarie dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 170, quarto periodo, come modificato dalla presente lettera, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, praticano uno sconto pari al 2 per cento degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal Decreto del Ministro della sanità 22 luglio 1996, pubblicato nel supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 216 del 14 settembre 1996, e pari al 20 per cento degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto”) – ha fatto valere una duplice pretesa creditoria, sul presupposto di un duplice inadempimento dell’Azienda rispetto alle obbligazioni contrattualmente assunte: e ciò (in tesi) per avere la ASL fatto applicazione di una tariffa diversa da quella ancora vigente pro tempore per effetto della declaratoria di illegittimità da parte del C.d.S. del decreto ministeriale di riferimento; nonchè per avere riconosciuto un tetto di spesa inferiore a quello contrattualizzato in conseguenza dell’erronea applicazione del parametro normativo di cui alla L. n. 296 del 2006.

Si tratta di pretese astrattamente riconducibili nell’alveo dei diritti soggettivi, radicando la giurisdizione, quale che sia il fondamento nel merito delle stesse pretese, innanzi all’A.G.O..

3.1. Sulla base del criterio del petitum sostanziale, l’oggetto della tutela invocata si risolve, non già nel controllo di legittimità dell’esercizio dell’azione autoritativa della pubblica amministrazione, bensì nella verifica dell’esatto adempimento dell’obbligazione di pagamento, previa interpretazione dei contenuti della clausola contrattuale sopra richiamata: attività, questa, sicuramente devoluta al giudice ordinario. In altri termini la domanda, così come proposta, non mira contestare la fonte dei compensi, bensì la sua corretta applicazione nell’anno per cui è causa e quindi l’entità dei compensi spettanti al Laboratorio che trovano titolo direttamente nella convenzione e non già in ulteriori atti rimessi alla discrezionalità dell’Amministrazione, sul presupposto storico dell’avvenuto annullamento del decreto ministeriale, cui la ASL ha fatto riferimento, nelle sede naturale sua propria (e cioè innanzi alla A.G.A.) e sull’assunto in diritto della natura mobile del rinvio contrattuale alle “tariffe vigenti”, in tal modo prefigurando un diritto soggettivo di pagamento che, quali che ne siano le voci costitutive, può essere direttamente accertato e sindacato dal giudice ordinario.

3.2. Merita puntualizzare che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario anche la pretesa afferente la praticata “scontistica”, non essendo ravvisabili nel procedimento di accertamento del quantum elementi di discrezionalità amministrativa implicanti valutazione comparativa degli interessi pubblici e di quelli privati, ma esclusivamente parametri normativi predeterminati, di cui si contesta la corretta applicazione (per essere, in tesi, stata erroneamente assunta la base di calcolo dello “sconto”) ed essendo, di conseguenza, la posizione giuridica soggettiva azionata astrattamente qualificabile come diritto soggettivo ad ottenere l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria.

In conclusione il ricorso va accolto e, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, va cassata la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, al Tribunale di Reggio Calabria quale giudice di primo grado. Invero va qui confermato il principio (cfr. Sez. Unite, 1 marzo 1979 n. 1316), secondo cui la cassazione della sentenza della Corte d’appello, che abbia erroneamente negato, a conferma di pronuncia del Tribunale, la giurisdizione del giudice ordinario, comporta il rinvio, in applicazione dell’art. 383 c.p.c., comma 3, al giudice di primo grado, al quale detta sentenza d’appello, se avesse rettamente giudicato, avrebbe dovuto a sua volta rimettere le parti.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; dichiara la giurisdizione del G.O. e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata, rimettendo le parti innanzi al Tribunale di Reggio Calabria, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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